Di Luca Cordero di Montezemolo si possono elencare diversi passi falsi. Lo ha fatto oggi in modo meticoloso Il Fatto Quotidiano: le perdite di Ntv (ferrovie), la partecipazione nella tutt’altro che brillante (anche se con margini operativi in ripresa) Grandi Navi Veloci, le perdite per 50 milioni di euro accumulate dal fondo lussemburghese Charme Investments e la liquidazione del marchio del cachemire Ballantyne, unico asset dell’altra società lussemburghese Charme Fashion Group. Si potrebbero aggiungere i passi falsi in politica: il suo think tank Italia Futura è rimasto un’eterna promessa e lo stesso Montezemolo ne ha lasciato la presidenza, dopo che il partito a cui aveva messo a disposizione le strutture, Scelta Civica, si è sgonfiato a seguito dell’uscita di scena di Mario Monti.
Il futuro prossimo è tutto da vedere. Montezemolo andrà con ogni probabilità alla presidenza di Alitalia. A farlo pensare c’è l’endorsement arrivato dall’ad di Atlantia (tra i principali soci di Alitalia, con il 7,44%), Giovanni Castellucci (“sarebbe un ottimo presidente”), e soprattutto il ruolo da lui giocato nel tenere i rapporti con i manager di Etihad durante le fasi più dure della trattativa. Raggiungere gli obiettivi che si prepone Alitalia è davvero una “sfida”, come è stata definita, considerato che la compagnia aerea dovrà svilupparsi nel mercato del lungo raggio, in competizione con compagnie decisamente agguerrite, da Lufthansa a Emirates.
Il manager che per 23 anni ha guidato la Ferrari è però lontano dalla caricatura dell’investitore che non azzecca una mossa. A Montezemolo viene riconosciuta la capacità di aver promosso l’immagine del Cavallino nel mondo, soprattutto nei Paesi arabi, grazie alla capacità di comunicare a livello internazionale. L’altro merito, tributatogli dallo stesso Sergio Marchionne, poco prima di scomunicarlo a Cernobbio, è stato quello di separare nettamente, durante la sua presidenza del Lingotto, il prodotto e il posizionamento sul mercato della Ferrari da quelli della Fiat, evitando pericolose sinergie (evocate, all’epoca tra gli altri da Berlusconi).
I dati economici della Ferrari sono lì a dimostrare che, se la parte sportiva è costante declino, quella economica ha continuato a marciare a pieno ritmo. Il marchio di lusso ha un fatturato di 2,33 miliardi di euro, che equivale a meno del 3 per cento di Fca, ma ha un Ebit di 364 milioni, che vale ben il 12% del gruppo. Nel 2013 il fatturato è cresciuto del 5% rispetto al 2012, quando era stato in salita dell’8% rispetto al 2011 e aveva raggiunto il record storico. Nella prima trimestrale del 2014 i ricavi hanno avuto un nuovo salto del 12,5% rispetto ai primi tre mesi dell’anno precedente, mentre i profitti netti sono stati in salita del 5% (a quota 57 milioni).
A questi risultati la Ferrari è arrivata pur riducendo le auto sul mercato. Nel 2013 gli esemplari consegnati alla rete sono stati 6.922, il del 2012. Nei primi tre mesi di quest’anno la discesa è stata di un altro 6 per cento. La decisione di non superare le 7mila vetture vendute ogni anno, d’altra parte, viene presentata come strategica da parte del Cavallino, per conservare l’esclusività del marchio.
Dietro i numeri positivi della casa di Maranello c’è stata soprattutto la capacità di presidiare i mercati che crescevano in più in fretta, almeno nel segmento del lusso, in primo luogo il Nord America e il Medio Oriente. Stati Uniti e Canada sono due mercati che continuano a crescere (+9% nel 2013 e +8% nel primo trimestre del 2014) e sono di gran lunga i maggiori per la Ferrari, con il 31% delle vendite globali 2013. L’area del Medio Oriente e Africa sale invece del 12% e ha toccato lo scorso anno le 605 vetture consegnate.
Le vendite nordamericane sono dieci volte tanto quelle rimaste in Italia, e il divario non può che allargarsi. Basta guardare l’ultimo bilancio di Fca, alla voce Ferrari.
Le vendite in Europa sono diminuite del 13% nel 2013 rispetto al 2012, con un totale di 2.722 vetture consegnate a cliente finale. La crisi economica dell’area Sud Occidentale (Italia, Francia, Penisola Iberica e Benelux) ha avuto un grande impatto sulle vendite che si sono ridotte del 23% rispetto al 2012 con 670 vetture consegnate.
Anche la Cina non è cresciuta, mentre Hong Kong e Taiwan hanno visto addirittura una discesa quasi un decimo in un solo anno.
Il valore del brand contribuisce per un bella fetta degli utili. I margini operativi da retail (i Ferrari store nel mondo sono 50), licenze e e-commerce nel 2013 valevano 92,5 milioni, con un margine operativo lordo di 52,4 milioni e un risultato netto pari a 50,8 milioni.
I numeri del merchandising sono rimasti alti nonostante dal 2008 le monoposto in Formula 1 non vincano un campionato. Potrebbero essere intaccati, così come l’intera immagine della Rossa, se le delusioni continuassero ancora a lungo. In questo senso si devono leggere le parole di Marchionne a Cernobbio:
«Vi ricordo che sono due le parti della realtà Ferrari che sono importanti per noi come azionista e per noi come azienda: la prima sono ovviamente i risultati economici, cosa su cui Luca ha fatto un grandissimo lavoro e gli faccio i miei complimenti. L’altra è la gestione sportiva. Il cuore di Ferrari è quello di vincere in Formula 1 e io stesso sono un tifoso da anni. Vedere la Ferrari in queste condizioni avendo i migliori piloti, ingegneri che sono veramente bravi, vedere quel sistema lì e vedere che non vinciamo dal 2008, beh…».
Per questo, è stato notato da più parti, Marchionne vuole presentarsi alla quotazione del 13 ottobre a Wall Street con un cambio di passo evidente. Anche se la questione sportiva sembra essere più un paravento, mentre le vere ragioni vanno viste nelle divergenze strategiche. Le parole di Montezemolo di oggi al Corriere della Sera – “la verità è che ormai la Ferrari è americana” – dicono molto sulla posta in gioco. La volontà di Fca di integrare maggiormente la Ferrari nelle strategie del gruppo, almeno dei marchi Luxury (assieme a Maserati e Alfa Romeo). In altre parole, come ha scritto oggi la Repubblica, «una Ferrari normalizzata, più interna al gruppo Fiat, così come accade per la Lamborghini alla Volkswagen», che «possa irrobustire il titolo» sulla piazza americana.