Giù le mani da Draghi, nell’interesse dell’Italia

Giù le mani da Draghi, nell’interesse dell’Italia

Lo scenario è già stato allestito e il teatrino della politica italiana si arricchisce di una nuova pièce che spiega in gran parte l’improvviso rialzo della temperatura politica, le allusioni alla massoneria, l’insistenza di Matteo Renzi sui poteri forti, quando è evidente a tutti quanto sia ormai debole il potere della finanza e dell’industria italiana.

Il copione non è ancora scritto, ma la trama c’è e conduce dalle sponde del Tevere a quelle del Meno, coinvolgendo anche Mario Draghi. Eccola qua. Giorgio Napolitano annuncia urbi et orbi che considera conclusa la sua lunga e irrituale esperienza al Quirinale, forse lo farà una volta approvata la finanziaria, forse nel messaggio di fine anno. A questo punto il risiko politico si fa frenetico perché il grande scontro di potere oggi più che mai riguarda la presidenza della Repubblica, e si muovono le grandi pedine.

C’è Romano Prodi il quale si tira fuori, ma viene sospinto da quello stesso coté che lo ha lanciato, composto dalla borghesia cattolico-progressista del nord. Esce dal silenzio anche Massimo D’Alema le cui ambizioni non sono affatto placate. Perse l’occasione nel 2006 battuto da Napolitano e il presidente attuale non tiferebbe per lui nonostante siano stati compagni nel partito comunista. Si parla di donne, da Emma Bonino a Roberta Pinotti, soluzione debolissima quest’ultima, poco probabile la prima. Scaldano i motori in molti, tra i quali la seconda carica della Repubblica, il presidente del Senato Pietro Grasso che non fa mancare sue uscite politiche anche sulla stampa.

Ma il vero convitato di pietra, lo sanno tutti, è Draghi il quale sarebbe la soluzione preferita dallo stesso Napolitano, per il rapporto di lunga data tra i due, ma soprattutto per le capacità che “Supermario” ha mostrato in questi tre anni alla guida della Bce. È l’ombra lunga di Draghi, dunque, a gettare scompiglio in una situazione politica italiana di nuovo malmostosa, anzi caotica. Ciò va di pari passo con il peggioramento della congiuntura economica e con il tramonto delle illusioni sui poteri taumaturgici della rottamazione renziana.

Un bel guaio perché finisce per rendere ancor più ingovernabile il paese. Ma il guaio ancora peggiore sarebbe gettare Draghi nell’arena. Chi entra papa esce cardinale, si dice; peggio ancora, la storia lo insegna, capita a chi viene designato presidente in pectore. La preoccupazione non riguarda le sorti personali di Draghi, bensì l’indebolirsi qui e ora della sua leadership europea. Siccome nessuno è fesso nemmeno in Germania, il venticello ha raggiunto la Cancelleria ed è facile immaginare che il fuoco preventivo contro un ipotetico acquisto di titoli, anche pubblici, sul mercato sia legato a tutto questo ronzio politico.

I tedeschi sono convinti che Draghi abbia sempre lavorato per aiutare l’Italia e, forte dell’alloro di salvatore della nazione, torni in patria da Cesare vincitore. Nella conferenza stampa prima delle vacanze un giornalista ha chiesto a Draghi: ora andrà in Italia per le ferie e aiuterà il suo paese a superare la crisi? La dice lunga sull’opinione che gira. Quando poi Renzi è andato ad incontrarlo in privato nella casa di campagna vicino a Città della Pieve, si possono immaginare le risatine e i colpi di gomito. In realtà, sembra che quel colloquio sia stato una doccia fredda per il capo del governo italiano. Tuttavia Draghi è stato poi costretto a fare il giro delle sette chiese d’Europa. E non è una coincidenza che da allora in poi le critiche tedesche siano salite di tono.

Per l’Italia sarebbe disastroso se Draghi finisse ostaggio dell’oltranzismo teutonico. Non perché la Bce stia facendo favori o sconti, anzi ha messo il governo di Roma con le spalle al muro insistendo sull’art.18. Ma perché è in corso uno scontro di potere in Europa che passa sulla testa dell’Italia, anche se la coinvolge direttamente: se si conclude con la sconfitta di Draghi, la sopravvivenza dell’unione, non solo monetaria, non sarà più garantita.

Un economista che bazzica l’alta finanza internazionale spiega che l’Italia è diventata la cerniera che può aprire le porte dell’euro o chiuderle del tutto. Se Renzi fa queste benedette riforme e tiene dritta la barra del bilancio pubblico, Draghi potrà allentare ancora le redini (vediamo quanto e fino a quando), comprando altro tempo. È quel che stanno facendo, del resto, tutte le banche centrali: pompano moneta in cambio di tempo, sperando che da qualche parte venga innescata la ripresa.

Gli Stati Uniti forse sono ripartiti davvero, allora la Federal Reserve potrà rialzare i tassi, rivalutando il dollaro. Questo farebbe scendere l’euro aiutando le esportazioni europee. Una boccata d’ossigeno fondamentale per l’Italia, paese che vive di esportazioni. Tutto ciò a condizione che Draghi tenga fede alla propria linea. Finora l’ha fatto. Se resterà, lo farà ancora. Ma se sarà messo all’angolo dal cerchio di ferro della Germania e dei suoi alleati, la politica monetaria cambierà, la Bce seguirà la Fed riducendo il flusso di liquidità e mezza Europa sarà fritta.

Draghi sarebbe interessato a mettersi in gioco per il Quirinale? Secondo alcuni proprio la spaccatura nella Bce e le sue difficoltà con i tedeschi gli hanno fatto capire che sarà difficile durare fino al 2019 senza ridursi una marionetta (cosa che non fa parte della sua natura). Dunque, meglio uscire con il vento in poppa, chiamato a gran voce da un coro potente e autorevole. Altri non escludono che Draghi perda in ogni caso la sua battaglia, ma se si dimettesse in contrasto con la Merkel non gli mancherebbero certo le proposte d’impiego.

E se vincesse? Sì, il presidente della Bce potrebbe anche riuscire, tenendo conto delle difficoltà economiche che cominciano a manifestarsi in Germania e del fatto che l’arrogante ostinazione teutonica ha rotto le scatole a tutti, non più solo agli americani i quali ormai sospettano apertamente della lealtà tedesca (lo si vede in politica estera, nei rapporti con la Russia e nel caso non ultimo dello spionaggio). Gli Stati Uniti non vogliono un quarto Reich, mentre anche in Francia cresce l’irritazione contro i diktat di Berlino. Dunque, i giochi europei sono aperti, però se Draghi si fa invischiare in quelli italiani, allora è finita davvero. Conclusione: giù le mani da Supermario, nell’interesse dell’Italia e della stessa Europa.

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