Dietro alle polemiche tra Matteo Renzi e il Partito Democratico sull’articolo 18 c’è in realtà l’incertezza sulla legge di stabilità e il rischio di un incidente per andare al voto anticipato. È questa la convinzione di buona parte della vecchia ditta – gli ex Ds ora in minoranza – che da un paio di giorni hanno iniziato a bombardare il premier e segretario sul fronte della riforma del lavoro in arrivo martedì 23 settembre in aula, proponendo persino un referendum interno, tra i non del tutto confermati venti di scissione in cui ci sarebbe lo zampino di Massimo D’Alema. Sull’ex ministro degli Esteri continua a circolare una battutata dello scorso mese. «Se non ci sarà pace in Europa, ci sarà guerra in Italia», avrebbe detto Max, un riferimento nemmeno troppo velato all’impasse su Mr Pesc e alla nomina di Federica Mogherini in Europa. E alla possibilità che alla fine il Pd si spacchi per davvero.
In realtà, come spiegano i dissidenti del Nazareno a microfoni spenti «sull’articolo 18 sembra esserci una finta polemica, anche perché la legge delega è molto vaga in materia, forse Renzi vuole trovare l’incidente per andare a votare…». La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’intervista di Maurizio Sacconi sulla riforma del lavoro della scorsa settimana. L’ex ministro, ora capogruppo del Nuovo Centrodestra a Palazzo Madama, continua a rincarare la dose: «L’ipotesi avanzata da settori del Pd e del sindacato è assolutamente inaccettabile perché peggiorerebbe addirittura la legislazione vigente. Introdurre un contratto a due fasi, la prima senza e la seconda con la sanzione della reintegrazione, riducendo contestualmente le flessibilità in entrata rappresenterebbe una riedizione della legge Fornero».
Se Sacconi parla quasi come Renzi («Cascate male, io cambio» si legge su Repubblica), Renato Brunetta, il capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, è ancora più categorico. È vero che sarete pronti a votare il Jobs act di Renzi? «Assolutamente sì» dice Brunetta «basta che Renzi non faccia marcia indietro, perché se Renzi fa l’accordo con la vecchia guardia saremo ferocemente contrari. O di qua o di là». È in questo dualismo tra Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani, tra Denis Verdini, rinviato a giudizio per finanziamento illecito, e Stefano Fassina che si gioca la stabilità dei prossimi mesi di governo, come quelli del futuro del centrosinistra a trazione renziana. C’è chi dice che D’Alema e Bersani siano già pronti alla scissioni, chi invece sostiene sia solo tattica.
Non è un caso che persino Pippo Civati, altra ala dissidente del Pd, abbia deciso di pubblicare sul suo blog un video del 2012, quando Renzi durante la trasmissione Servizio Pubblico di Michele Santoro parlava dell’articolo 18 e del come non fosse un problema per gli imprenditori italiani. Deborah Serracchiani, vicesegretario, spiega che c’è la «sensazione che qualcuno voglia strumentalizzare il tema del lavoro per una resa dei conti nel Pd». Afferma, «andranno rispettate le decisioni della direzione perché siamo un partito non una ditta né una bocciofila». Direzione che si terrà lunedì prossimo, 29 settembre.
Appare chiaro però a tutti i piddini che se Renzi decidesse di andare al voto, ci andrebbe con il cosiddetto Consultellum, un proporzionale che dopo le elelezioni lo obbligherebbe a un’alleanza con Berlusconi e Forza Italia. Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, lo dice fuori dai denti: «Sulle questioni economiche del lavoro dovrebbe essere rifiutato il soccorso azzurro. È chiaro che se fossero determinanti i voti di Forza Italia per tenere in piedi il governo su questo argomento ci sarebbe anche una conseguenza politica. Non vorrei che Renzi riuscisse a fare sui temi del lavoro quel che non è riuscito a fare Berlusconi».
Anche Stefano Fassina, ex viceministro dell’Economia, lo ha detto con un tweet: «Sacconi e Forza Italia cheerleaders del #JobsAct. Sono diventati di sinistra o Pd segue la destra?». Al momento la minoranza Pd di Camera e Senato si riunirà domani sera a Montecitorio per discutere del jobs act. L’intenzione è quella di insistere sulle modifiche che riguardano la possibilità di reintegro per il lavoratore. In mattinata il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, incontrerà invece i senatori democratici. Filippo Taddei, responsabile Economia e Lavoro della segreteria dei Democratici, definisce intanto «avvilente» il fatto che si voglia «ridurre tutto a un derby sull’articolo 18». E aggiunge: «Cerchiamo di fare di più, io per parte mia cercherò di favorire una discussione che sia il più possibile chiara. Lunedì siamo in direzione proprio per parlare di questo».