Non ha partecipato alla Cernobbio dei salotti (Workshop Ambrosetti) né al Meeting di Comunione e Liberazione, ma l’inchiesta della procura di Milano sull’Eni in Nigeria rischia di toccare il premier e segretario del Pd Matteo Renzi, con il marchio di uno storico faccendiere della Prima Repubblica, quel Luigi Bisignani che a distanza di decenni continua a essere protagonista nel bene e nel male della politica italiana. Non devono essere momenti facili a palazzo Chigi. Dicono i ben informati che la notizia del Corriere della Sera sull’indagine per corruzione internazionale a carico dell’amministratore delegato Claudio Descalzi – voluto proprio dal rottamatore fiorentino alla guida del cane a sei zampe in maggio – possa incrinare soprattutto i già difficili rapporti interni al “giglio magico” renziano, a quel gruppo di persone, tra cui il sottosegretario Luca Lotti e il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, che hanno in questi mesi consigliato il presidente del Consiglio in diverse scelte economico-politiche, tra cui quelle per i nuovi numeri uno delle aziende di stato.
Nel circolo vicino al premier, infatti, c’è chi avrebbe in queste ore già puntato il dito su chi davvero sponsorizzò in aprile l’avvicendamento tra l’ex amministratore delegato Paolo Scaroni e Claudio Descalzi. Sarebbe stato in particolare Marco Carrai, il Richelieu fiorentino, il gran ciambellano di Matteo Renzi, coinvolto nello scandalo dell’affitto della casa di Firenze in via degli Alfani, a consigliare di percorrere la scelta di un “interno” cresciuto alla corte del manager vicentino per guidare il colosso petrolifero italiano. Del resto Carrai e Scaroni sono grandi amici, basta guardare gli invitati all’ultimo matrimonio del primo, con la famiglia del secondo al gran completo. Carrai è invidiato e temuto nel giglio magico. Vanta un ottimo rapporto solo con Renzi e la first lady Agnese. Di lui il premier si fida. Eppure le notizie sul fatto che Descalzi potesse essere travolto dalle inchieste sullo scandalo del campo di ricerca e di esplorazione petrolifera ‘Opl-245’ in Nigeria erano note da anni. Ne aveva parlato oltre che la stampa italiana anche quella internazionale, dall’Economist a Globalwitness. Che i rivoli di quell’indagine potessero quindi andare a lambire il nuovo amministratore delegato erano in sostanza abbastanza scontati. E allora perché proprio Descalzi? Un rischio calcolato per tenere a bada i vecchi poteri forti italiani?
Come ha spiegato spesso Emanuele Macaluso, ex direttore dell’Unità, vecchio amico del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la caduta di Enrico Letta a febbraio fu dettata anche dalla necessità di Renzi di mettere mano proprio alle nomine nelle grandi aziende pubbliche della scorsa primavera. Si parlava di rivoluzione, di rottamazione per i vecchi boiardi di stato. Il file Eni fu il più difficile. Scaroni tentò in tutti i modi di rimanere in sella, persino come presidente, ma alla fine la spuntò Descalzi, già capo della Divisione Exploration & Production a San Donato. In quei mesi ci furono incontri a 360 gradi tra i protagonisti, ma fu soprattutto Carrai a gestire i capitoli Eni e Enel. La rottamazione rimase in pratica a metà, secondo i più assidui conoscitori del Cane a sei Zampe. Perché “l’Africano” (soprannome con cui viene definito l’attuale amministratore delegato, sposato con una donna del Congo ndr) è sempre stato vicino a Scaroni e al suo gruppo di potere.
Descalzi è adesso indagato per corruzione internazionale per fatti risalenti al 2011. «Non cambierà assolutamente nulla» spiega un vecchio manager del gruppo. Non ci saranno avvicendamenti nè in azienda paventano ripercussioni. L’inchiesta è molto intricata. Si perde in diverse scatole finanziarie dove sarà difficile per i magistrati dimostrare il pagamento di tangenti. In pratica, stando alla ricostruzione dell’accusa, l’Eni per ottenere la concessione di ‘Opl-245’, un campo di ricerca e di esplorazione petrolifera su un tratto di mare in Nigeria, avrebbe versato 1 miliardo e 92 milioni di dollari all’allora ministro nigeriano del Petrolio, Dan Etete, titolare della concessione, secondo le indagini, attraverso la società Malabu. Secondo l’accusa, per avere il via libera i manager dell’Eni (la società è indagata in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti) avrebbero dovuto pagare una presunta tangente da 190 milioni di dollari.
I magistrati stanno seguendo il flusso di denaro. Le autorità londinesi ieri hanno sequestrato in via preventiva, su richiesta dei pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, circa 80 milioni di dollari su un conto inglese dell’intermediario nigeriano Emeka Obi. Bisignani nel frattempo si difende. E si definisce «cornuto e mazziato», perchè «come si evince chiaramente dagli atti e dalle intercettazioni che circolano da tempo, ho avuto solo modo di segnalare anni fa all’Eni un’opportunità che mi veniva rappresentata e che è stata peraltro accantonata». Le indagini continuano. Ma nel frattempo le scosse arrivano a un giglio magico renziano in difficoltà. E il Movimento Cinque Stelle inizia a rumoreggiare. «A seguito dell’indagine della procura di Milano» – si legge in una nota – «aperta nei confronti dell’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, e visto il conflitto di interessi che riguarda anche la presidente Emma Marcegaglia, coinvolta in passato in un’altra vicenda giudiziaria relativa a presunte tangenti versate dalla sua azienda per aggiudicarsi alcuni appalti della controllata del Tesoro, il MoVimento 5 Stelle chiede l’immediato commissariamento della società partecipata».