Cannabis terapeutica, in Italia è ora di piantarla

Cannabis terapeutica, in Italia è ora di piantarla

Lucia Spiri ha poco più di 30 anni. A 20 le hanno diagnosticato la sclerosi multipla. Dopo aver provato un farmaco chemioterapico che l’ha costretta a muoversi su una sedia a rotelle, da qualche anno ha scoperto i benefici della cannabis. Per combattere i sintomi della sua malattia, dai dolori ai tremori, assume sette grammi di marijuana al giorno. In parte la fuma, in parte la vaporizza, in parte la mangia nelle torte al cioccolato e nei biscotti che suo marito William le prepara a colazione. «Nonostante questo, è lucidissima», assicura lui con un sorriso. «All’inizio può provocare un senso di sbandamento, ma poi il corpo si abitua». Sono loro due, Lucia e William, le teste dietro LapianTiamo, associazione no profit e primo cannabis club italiano nato in provincia di Lecce (Racale) nel 2013 da un’idea di Lucia e Andrea Trisciuoglio, anche lui malato di sclerosi multipla, diventato ormai il punto di riferimento dei pazienti che in Italia faticano a curarsi con la marijuana. 

In Italia il ricorso ai medicinali cannabinoidi è legittimo ormai dal 2007, quando l’allora ministro della Salute Livia Turco ha riconosciuto l’uso terapeutico del Thc, principale principio attivo della cannabis, e di altri due principi simili di origine sintetica, il Dronabinol e il Nabilone. Ma, a distanza di sette anni, arrivare ad assumere i farmaci che contengano Thc nel nostro Paese è ancora «un vero e proprio calvario, una meta irraggiungibile per molti», dicono. Tra la resistenza dei medici a prescriverli e delle farmacie a venderli, le procedure burocratiche da seguire e i costi altissimi dovuti all’importazione del prodotto, i malati spesso si vedono costretti a rivolgersi agli spacciatori di strada. «Seguendo le procedure legali», racconta William, «il prezzo in Italia varia dai 30 fino ai 75 euro al grammo che ci ha segnalato un paziente ligure. Dallo spacciatore, invece, trovi la marijuana anche a tre euro. Alcuni scelgono addirittura l’autocoltivazione, con tutti i rischi penali che questo può comportare».

Coltivare la marijuana in Italia è illegale. Tutta la marijuana utilizzata a uso terapeutico viene importata dall’Olanda dal ministero della Salute a un prezzo che varia dagli 11 ai 15 euro al grammo. La coltivazione non è ancora possibile, con le sole eccezioni delle autorizzazioni concesse dal ministero alle coltivazioni per scopi scientifici e sperimentali. Nessuna azienda farmaceutica italiana ha chiesto questa autorizzazione. Al momento, l’unico centro autorizzato a coltivare marijuana per uso terapeutico in Italia è il Cra-Cin (Consiglio per la ricerca in agricoltura) di Rovigo, che fa capo a ministero dell’Agricoltura, e svolge ricerche genetiche sui cannabonoidi. Ma anche qui, una volta seccate, le piante vengono sequestrate e bruciate dalla Guardia di Finanza. Gianpaolo Grassi, a capo dell’equipe di ricerca, per ordini ricevuti dall’alto non può più rilasciare interviste ai giornalisti. L’argomento è uno di quelli sensibili, capace puntualmente di scatenare polemiche politiche. E i dirigenti del ministero sono attenti a non fare troppo rumore. Anche da Roma rispondono la stessa cosa: «Non è possibile rilasciare interviste anche se solo a carattere scientifico e divulgativo».

Arrivare ad assumere farmaci che contengano Thc in Italia è una meta irraggiungibile per molti

Il Veneto, dove il centro di ricerca si trova, è una delle nove regioni italiane (con Toscana, Liguria, Marche, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Abruzzo, Sicilia e Umbria) ad aver approvato specifiche leggi regionali per l’utilizzo dei farmaci a base di cannabinoidi per la terapia del dolore e altre cure, garantendo il rimborso per i pazienti affetti da specifiche malattie, sclerosi multipla e Sla in testa. Da anni Gianpaolo Grassi cerca di spiegare quali potrebbero essere i vantaggi anche economici di una coltivazione della cannabis, e da anni sostiene che le piante del suo laboratorio anziché essere distrutte potrebbero venire utilizzate dalle case farmaceutiche per produrre cannabis medicale. Per le varietà selezionate a Rovigo da lui e dal suo gruppo di ricercatori, il centro è stato contattato dal Colorado, dalla California e anche dall’Uruguay. In Italia, invece, le sue piante finiscono in fumo.

A settembre 2014, però, qualcosa si è mosso. Il ministero della Difesa e quello della Salute hanno dato il via libera alla produzione della marijuana di Stato a uso terapeutico. A produrla, sarà l’esercito italiano nello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, che oltre a soddisfare le esigenze sanitarie delle forze armate, produce già farmaci difficilmente reperibili sul mercato, è già in possesso delle autorizzazioni per la fabbricazione di medicinali e l’impiego di sostanze stupefacenti e psicotrope e ha una superficie di 55mila metri quadrati, sufficiente per avviare la coltivazione di cannabis. Gianpaolo Grassi, ma anche il senatore Pd Luigi Manconi, che sul tema ha presentato un disegno di legge, in passato avevano indicato più volte Firenze come soluzione ideale per coltivare marijuana in un regime di alta sicurezza. Il Cra-Cin di Rovigo – da quando si apprende finora – collaborerà con lo stabilimento di Firenze, continuando a fare ricerca sulla marijuana che sarà invece prodotta dai militari.

(Getty Images/Uriel Sinai)

I primi prodotti farmaceutici saranno pronti entro il 2015, dopo che sarà definito un programma operativo per la produzione (incluso il fabbisogno in relazione alle tipologie e le tariffe) tramite un accordo tra il ministero della Difesa e della Salute, quello delle Politiche agricole e forestali, centro farmaceutico militare fiorentino, l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), l’Istituto superiore di sanità, le Regioni e delle Province autonome. Spetterà poi al Consiglio superiore di sanità dare il via libera alla produzione dopo l’esame del protocollo. Si prevedono produzioni a uso terapeutico per quasi una tonnellata ogni anno. Le regole da rispettare sono severe, visto che di farmaci si tratta. La cannabis deve essere conservata in frigoriferi o in stanze con chiusura blindata sotto protezione. Mentre la produzione per uso farmaceutico deve avvenire in una serra controllata all’interno di un capannone blindato, dove lampade a 600 Watt forniscono alle piantine selezionate la luce necessaria a crescere in un ambiente incontaminato.

Si parla di 600-900mila potenziali pazienti che in Italia potrebbero usufruire della marijuana di Stato. Le malattie per le quali questi farmaci sono indicati vanno dalla Sclerosi multipla (i malati italiani sono oltre 58mila) alla Sla (Sclerosi laterale amiotrofica), dalla fibromialgia al glaucoma, ma anche neuropatia, lesioni midollari, morbo di Chron e perfino il cancro. Si tratta soprattutto di malattie croniche, resistenti alle terapie analgesiche tradizionali. I cannabinoidi, come si legge nelle storie raccolte dall’Associazione Luca Coscioni nel documento “La cannabis fa bene, la cannabis fa male”, alleviano i sintomi, rilassano i muscoli, aiutano a dormire e a sentire meno dolore. Eppure solo pochissimi pazienti italiani finora sono riusciti a comprarli.

Dal 2015 verrà prodotta 1 tonnellata di marijuana medicale all’anno nello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze

I dati del ministero della Salute parlano chiaro: nel 2013 sono state rilasciate 213 autorizzazioni all’importazione di medicinali a base di cannabis dall’Olanda. Dal momento che ogni paziente è tenuto a importare il farmaco per un dosaggio non superiore alla necessità di tre mesi di terapia, deve inoltrare la richiesta di importazione per quattro volte in un anno. Il numero 213, quindi, va diviso quindi per quattro. Il risultato è che nel 2013 meno di 60 persone sono riuscite a ottenere i farmaci.

Dall’aprile 2013, l’unico medicinale a base di cannabis autorizzato all’immissione in commercio in Italia è il Sativex, registrato dalla britannica Gw Pharamceuticals e distribuito in Italia dalla Novartis. Si tratta di uno spray da spruzzare sotto la lingua composto da due estratti della cannabis, Cbd (Cannabidiolo) e Thc. Probabilmente, ma ancora non è confermato, nello stabilimento chimico militare di Firenze, si proverà a produrre anche questo spray, sulla base delle autorizzazioni fornite dall’Aifa. Il farmaco è indicato unicamente come trattamento per i pazienti affetti da sclerosi multipla che non abbiano manifestato una risposta adeguata ad altri medicinali. È stato classificato dalla Agenzia italiana del farmaco in classe H, cioè a carico del sistema sanitario nazionale, ma dipende se la regione in cui si vive ha approvato una legge ad hoc e se ha inserito il farmaco nel prontuario. A prescriverlo deve essere un centro ospedaliero o un neurologo tramite una piattaforma web dell’Aifa con una prescrizione medica limitativa, da rinnovare di volta in volta. Ma è rimborsabile solo se fornito in ambito ospedaliero, altrimenti il costo al pubblico per una confezione contenente tre flaconi da 10ml è di 726 euro. «Per avere l’effetto di una canna», spiega William, «devi fare almeno 124 puff in bocca».

Poi ci sono le infiorescenze. In Italia vengono importate solo i prodotti dell’Office for medicinal cannabis del ministero della Salute, del welfare e dello sport olandese. Si tratta di quattro tipi diversi di fiori di marijuana, tutti prodotti dall’azienda olandese Bedrocan, che si differenziano per le percentuali di Thc e Cbd contenute.

La procedura per farsi prescrivere un cannabinoide, però, è ancora di lotteria e varia da regione a regione. In genere, la spesa dei farmaci cannabinoidi importati dall’estero (come quelli assunti da Lucia) è rimborsabile dal Servizio sanitario regionale. L’inizio del trattamento, però, deve avvenire in ambito ospedaliero e quindi il medico richiedente deve essere alle dipendenze di una struttura pubblica o privata convenzionata. «Trovare un medico che prescriva la cannabis è difficilissimo», spiega William. Molti non lo fanno per motivi ideologici – la cannabis «per molti resta una droga e basta – alcuni semplicemente perché non sanno di poterlo fare. «All’interno di un ospedale devi trovare un oncologo, un terapista del dolore o un neurologo disposti a prescriverlo. E poi passare dalla farmacia dell’ospedale, che molto spesso mette i bastoni tra le ruote, soprattutto quando si tratta di un paziente nuovo. Perché l’idea che passa è che si stia vendendo droga». Le farmacie ospedaliere, poi, «anziché importare direttamente la cannabis dall’estero in grossi stock a 8 euro al grammo, si servono molto spesso di ditte farmaceutiche italiane che fanno da fornitori autorizzati dal ministero, facendo così lievitare i costi».

Chi invece parte dalla prescrizione del medico curante, dovrà prima rivolgersi alla Asl, che farà da tramite con il ministero della Salute, il quale a sua volta dovrà rilasciare un nulla osta in modo che la farmacia possa contattare direttamente la ditta estera e ordinare il farmaco prescritto. In questo caso, nonostante i passaggi burocratici, il prezzo non avrà altri rincari rispetto al prezzo di vendita del fornitore olandese e la rimborsabilità è a discrezione dei servizi sanitari regionali. Il costo al grammo è di circa 11 euro. Per un paziente che ne assume 2 grammi al giorno, la spesa si aggira intorno ai 600 euro. A queste vanno aggiunte le spese di importazione.

(Getty Images/Uriel Sinai)

Se invece al paziente viene prescritta una preparazione galenica, possibilità prevista dal decreto Baluzzi del 2013, nonostante il salto dei passaggi burocratici, il prezzo di vendita può crescere anche del 2-300 per cento. I farmacisti acquistano direttamente le infiorescenze dai fornitori italiani autorizzati dal ministero, che le acquistano a loro volta a un prezzo di 15 euro al grammo. Le farmacie, in base alla Tariffa nazionale dei medicamenti del 1993, raddoppiano il prezzo di acquisto, arrivando così a un prezzo di 40 euro al grammo, a carico del paziente se a fare la prescrizione non è uno specialista ospedaliero. Per questo succede che molti medici privati, davanti a un paziente che ha bisogno di queste cure, portino le prescrizioni sulle scrivanie dei colleghi in ospedale per avere una firma che dà accesso alla gratuità. Ci sono addirittura pazienti che preferiscono emigrare in Spagna, dove la marijuana medicale costa intorno ai 3 euro al grammo e tutto è più semplice. E poi c’è chi si coltiva la marijuana da solo e chi si rivolge allo spacciatore, soluzione a volte consigliata dagli stessi medici. Con tutti i pericoli, sia di sicurezza sia legali, che in entrambi i casi una coltivazione non controllata comporta. Si tratta di «farmaci verdi, devono essere coltivati indoor e seguendo specifiche procedure per garantire l’assenza di contaminazione», spiega William. Il Bedrocan, ad esempio, la medicina a base di infiorescenze di canapa che assume ogni giorno Lucia, in Olanda viene trattata addirittura ai raggi gamma, per assicurare la sterilità e renderla utilizzabile anche per i sieropositivi.

Per superare tutti gli ostacoli legati alle procedure burocratiche e ai costi altissimi, l’associazione Lapiantiamo da tempo lavora a un progetto pilota per coltivare in Puglia cannabis a uso medicale a 1,55 euro al grammo. Grazie alle sovvenzioni dei soci sostenitori, hanno comprato un terreno di 5mila e 800 metri quadrati, dove contano di produrre un farmaco simile al Bedrocan, anziché importarlo dall’Olanda. «A bilancio zero», precisano. «Abbiamo creato una società», raccontano William e Lucia, «e ora stiamo invitando le istituzioni, l’università e l’Asl a prenderne parte per garantire una coltivazione controllata». Il 22 luglio scorso il progetto è stato approvato all’unanimità dalla Regione Puglia e ora si attendono le autorizzazioni nazionali. I membri di Lapiantiamo, intanto, fanno informazione, organizzano convegni scientifici sul tema e addirittura visitano a casa i malati che non possono muoversi. Ora hanno anche chiesto di partecipare agli incontri tra i rappresentanti dei ministeri della Salute e della Difesa per stabilire i protocolli per la coltivazione della cannabis nello stabilimento militare di Firenze. Lo ha scritto anche Rita Bernardini, segretaria nazionale dei Radicali italiani e presidente onorario di Lapiantiamo: il gruppo di lavoro deve coinvolgere anche i «malati, veri destinatari delle cure in oggetto», in modo da «arricchirsi dell’apporto qualificato di chi già da anni sperimenta sul proprio corpo i benefici dei farmaci cannabinoidi». 

Secondo Coldiretti la produzione della cannabis a uso medicale potrebbe fruttare 1,4 miliardi di euro e 10mila posti di lavoro

E nella discussione è intervenuta pure la Coldiretti, che nella coltivazione della cannabis medicale vede anche una possibilità di ripresa dell’ortofloricoltura italiana piegata dalla crisi. Solo utilizzando gli spazi già disponibili nelle serre dismesse lungo tutto il territorio italiano, avremmo già a disposizione mille ettari di terreno al coperto, dicono. Al Forum internazionale di Cernobbio sull’agricoltura di metà ottobre l’associazione di categoria ha presentato uno studio sulle potenzialità economiche e occupazionali della coltivazione, trasformazione e distribuzione della cannabis a uso terapeutico in Italia. Un business, dicono, da 1,4 miliardi di euro, che potrebbe garantire almeno 10mila posti di lavoro, dai campi fino alla commercializzazione dei farmaci. E gli italiani sarebbero d’accordo: due su tre (64%) sono favorevoli alla coltivazione della cannabis a uso terapeutico in Italia per motivi di salute ma anche economici e occupazionali. «Un’opportunità», dicono da Coldiretti, «che va attentamente valutata per uscire dalla dipendenza dall’estero e avviare un progetto di filiera italiana al 100 per cento, che unisce l’agricoltura all’industria farmaceutica». Negli anni Quaranta, con 100mila ettari coltivati, l’Italia era il secondo produttore mondiale della cannabis per uso tessile. E nel 2014 la coltivazione della canapa a scopo tessile, edile e cosmetico è cresciuta del 150 per cento, soprattutto in Puglia e Piemonte, ma anche Veneto, Basilicata, Friuli, Sicilia e Sardegna. «L’agricoltura italiana oggi è pronta a recepire le disposizioni emanate dal governo e a collaborare per la creazione di una filiera controllata capace di far fronte a una precisa richiesta di prodotti per la cura delle persone affette da malattia», ha detto il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. 

Nel resto del mondo, intanto, si stanno attrezzando con legislazioni snelle e semplificate per poter facilitare ai malati l’accesso alla marijuana terapeutica. In Germania, da luglio 2014 i malati cronici hanno il diritto di coltivare cannabis a scopo terapeutico se viene dimostrato che nessun altro antidolorifico ha effetto sul paziente. A Berkley, negli Stati Uniti – dove l’uso cannabis per scopi terapeutici è legale in più di 20 Stati – il consiglio comunale della città ha approvato l’8 luglio una legge che stabilisce che ai pazienti che non possono permettersi di comprarla la cannabis verrà fornita gratuitamente. E anche il governo federale australiano sta per approvare una nuova legge di modo che il farmaco sia prescrivibile dai medici senza speciali procedure di autorizzazione, autorizzando la coltivazione e la distribuzione agli imprenditori agricoli in base a specifici requisiti di qualità e senza ingerenze da parte del governo.

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