Il 21 maggio del 2005, davanti alla classe di laureati del Kenyon College di Gambier, in Ohio, David Foster Wallace cominciò il suo discorso con una storiella che in seguito è diventata molto famosa:
Ci sono questi due giovani pesci che nuotano tranquilli e a un certo punto capita loro di incontrare un pesce più vecchio che nuota nella direzione opposta, fa loro un cenno e dice: «’giorno, ragazzi. Com’è l’acqua?» E i due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, fino a quando uno dei due si volta verso l’altro e gli fa: «Ma che diavolo è l’acqua?»
Non sono un fanatico del David Foster Wallace narratore, apprezzo decisamente di più la profondità e l’acume dei suoi reportage che la dispersione un po’ annacquata del paio di suoi romanzi che ho letto, ma questa storiella mi ha sempre stregato per la sua semplicità, e, insieme, per la sua profondità.
Se la cito ora, per iniziare a parlare di un fumetto di Nicolò Pellizzon che si intitola Gli amari consigli ed è appena uscito per i tipi di Bao Publishing, è perché il rapporto di quei pesci con l’acqua mi sembra la figura perfetta per descrivere il complicato rapporto che noi abbiamo con la nostra, di acqua: quella realtà, presente e contemporanea, in cui nuotiamo ogni giorno, che è poi — almeno mi sembra — il territorio più difficile da affrontare per chi prende la parola in un fumetto, in un romanzo, in un film o in una qualsiasi opera d’arte narrativa.
Descrivere il presente, difatti, è molto più complicato che raccontare il passato o inventarsi pazzeschi futuri. E se probabilmente questa affermazione è stata vera per tutti gli artisti della storia e per tutti i rispettivi presenti nei quali nuotavano, ho l’impressione che in questi anni sia ancora più difficile.
Posso tranquillamente sbagliarmi, ma ho l’impressione che questi anni, insieme ai loro temi portanti — dalla precarietà lavorativa all’incertezza esistenziale, passando per la globalizzazione, la desolazione interiore e il deserto sociale che il crollo delle ideologie si è lasciato dietro — siano difficilissimi da affrontare anche per lo scarto tecnologico e contemporaneamente esistenziale che hanno segnato rispetto al passato prossimo, quello che ci siamo da poco lasciati alle spalle.
È per questo, forse, che ho apprezzato ancora di più questo ultimo fumetto di Nicolò Pellizzon — un ragazzo veronese, classe 1985, il cui tratto non è meno potente della allucinatoria fantasia — che mi sembra proprio essere riuscito a trovare la sua strada per affrontare il presente, una strada che è sostanzialmente prendere la rincorsa sulle macerie della realtà e spiccare il volo.
Gli amari consigli — almeno per come l’ho letto io — è proprio la storia di una rincorsa. Una rincorsa che parte da un’esistenza apparentemente normale, quella di Sara, ventenne precaria che come tanti della sua generazione non sa che fare della propria vita e che intanto vivacchia, passando da un call center a un negozio di abbigliamento; un’esistenza che però, tra le pieghe della normalità — ogni tanto pure un filo stereotipata — porta con sé una vita parallela fatta di pazzesche allucinazioni e di voci inquietanti: il baratro più profondo della vita di Sara e, contemporaneamente, l’unica rampa disponibile per saltarlo.
Ormai sono quasi due le generazioni la cui normalità — la cui acqua, direbbe Wallace — è l’incertezza totale, la precarietà esistenziale prima ancora che lavorativa. È una realtà complicata da vivere, chiaramente, ma ancor più complicata da rappresentare.
Se Pellizzon ce la fa è proprio perché riesce a rappresentare l’estrema contraddittorietà e follia del presente senza impantanarcisi. Ci riesce facendo collidere la realtà con il più perturbante dei fantastici — un immaginario che va a nozze con la tricromia arancio-nero-rosa — senza cercare di porre domande, né di dare risposte. Portandoci a ridosso dell’abisso per prendere la rincorsa.
E ora qualche tavola: