I dieci anni di “Battlestar Galactica”

I dieci anni di “Battlestar Galactica”

Ogni volta che voglio convincere qualcuno a guardare Battlestar Galactica faccio una scommessa: «guarda la prima puntata, se poi non ti piace e non hai voglia di andare avanti, ti offro una birra». Non ho mai dovuto offrire birre a nessuno.

Battlestar Galactica è una serie televisiva iniziata il 18 ottobre 2004, dieci anni fa esatti, sul canale statunitense SyFy (al tempo si chiamava ancora Sci-Fi Channel). È il remake di un’altra serie dallo stesso titolo, andata in onda nel 1978 e figlia dell’onda del successo di Guerre Stellari e Star Trek. È una serie di fantascienza che è tutto l’opposto delle serie classiche di fantascienza, dove le astronavi non sono il punto della faccenda ma piuttosto un’ambientazione. Ed è una delle cose più belle mai andate in onda in televisione.

La storia di Battlestar Galactica inizia con una robinia da nulla: lo sterminio quasi totale della popolazione umana da parte di una razza di robot intelligenti. E della base stellare Galactica, un astronave da guerra così vecchia che il suo software non viene intaccato dall’attacco dei robot e della flotta di navi che protegge. A bordo della flotta, c’è tutto quello che rimane della popolazione umana: 50mila persone. Sono persi nello spazio, inseguiti dai robot, e alla disperata ricerca di un pianeta perso nelle leggende che potrà diventare la loro nuova casa.

Se non l’avete mai vista, sia perché la fantascienza vi tiene a distanza o perché non ne avete mai sentito parlare, a 10 anni dalla prima puntata faccio con voi la stessa scommessa che faccio con chiunque altro. E vi do dieci buone ragioni per cominciare a guardare (o riguardare) quel capolavoro di Battlestar Galactica.
 

Il conto alla rovescia

Sulla flotta guidata dalla Galactica c’è quanto rimane dell’umanità. E dell’umanità, a essere sinceri, non rimane poi molto. Ogni puntata si apre con il conteggio di quanti esseri umani ancora vivi ci sono nell’universo. È l’orologio della serie, un conto alla rovescia che influenza ogni comportamento dei personaggi. E che, da solo, riesce a tenere noi spettatori sull’orlo della sedia (o del divano).
 

I Cyloni

I Cyloni (cylon in originale) sono i robot che attaccano l’umanità all’inizio della serie. Sono l’aspetto più fantascientifico di Battlestar Galactica e non sono per niente fantascientifici. Nati come robot di metallo cromato nella serie originale, ritornano nel Battlestar Galactica del 2004 con una faccia completamente diversa: sono robot, ma sono uguali in tutto e per tutto agli esseri umani. Si nascondono tra la popolazione sopravvissuta allo sterminio e nessuno sa chi siano, nessuno sa che faccia abbiano. Ce ne sono otto modelli in tutto, potrebbero essere tra di noi e tradirci in qualsiasi istante. Ma i cyloni sono molto più che un semplice nemico, sono uno specchio in cui gli umani sopravvissuti si riflettono. Perché, anche se sono nati come robot, sono uguali a noi. Provano, soffrono, pensano, ridono e piangono. Ci odiano e noi odiamo loro. Sono un’altra umanità, un po’ diversa ma simile con cui scontrarsi e confrontarsi. Ed è lì che si gioca tutta la partita di Battlestar Galactica, non suoi missili e non sulle astronavi.
 

È profondo come un pozzo

Genocidio. Libero arbitrio. Guerre di religione. Non c’è tema di fronte a cui Battlestar Galactica si tiri indietro. E non c’è tema che non affronti con intelligenza. La flotta guidata dalla Galactica, in fondo, è una società in miniatura con tutti i problemi di quella in grande. Lo stesso discorso vale con la guerra contro i cyloni, che mostra in ogni episodio quanto in basso possa arrivare l’umanità. I robot hanno sterminato la razza umana, sì. Ma cosa ha fatto e cosa continua a fare la razza umana ai robot?
 

The West Wing con le astronavi

Quando i cyloni attaccano la popolazione umana, sulla Galactica si sta tenendo una cerimonia per mandare in pensione l’astronave, ormai troppo vecchia per continuare a prestare servizio (la Galactica è una specie di Amerigo Vespucci dello spazio). A presidiare la cerimonia c’è Laura Roslin, ministro dell’Educazione mandato lì in rappresentanza del governo della repubblica delle Dodici Colonie. Dopo l’attacco da parte dei cyloni, Roslin si ritrova a essere — quarantatreesima in linea di successione — il membro più alto in carica del governo ancora vivo. E, di lì a poco, presta giuramento come nuovo presidente di (quel che resta) della repubblica delle Dodici Colonie. Da qui Battlestar Galactica diventa anche un thriller politico, un The West Wing con le astronavi, con una lotta di potere costante tra la politica e i militari (il capitano della Galactica, nel frattempo, è diventato per gli stessi motivi di Roslin, comandante dell’esercito). Perché, a ogni scelta, si gioca letteralmente il destino della razza umana.
 

La lingua: so say we all. Frak. Oh my gods. Toaster. 

Scrivere una serie di fantascienza è complicato non tanto perché è difficile immaginarsi un futuro credibile, ma perché è difficile rendere credibile il futuro. In Battlestar Galactica gran parte di questo lavoro è fatto col linguaggio. Gli abitanti delle Dodici Colonie parlano una lingua simile alla nostra ma con i propri modi di dire, le proprie espressioni, i propri riferimenti culturali. A dimostrare che sono come noi, ma un po’ diversi da noi. E allora nascono cose come «oh miei dei» al posto di «oh mio dio», perché la religione principale delle Dodici Colonie è politeista. O il «così diciamo tutti» usato alla fine dei discorsi come negli Stati Uniti viene usato «god bless America». O, ancora, «Frak», un’espressione che viene dalla serie originale di Battlestar Galactica ed è un’imprecazione usata per sostituire «fuck». Anche qui, però, non basta la parola: in Battlestar Galatica l’intero universo degli insulti è basato su frak invece che su fuck. C’è Frak you, frak me, frakkin’, motherfraker
 

Battlestar Galactica (2003)

Prima di quello che è, formalmente, il primo episodio della serie tv Battlestar Galactica, SyFy ha sviluppato due film tv di 90 minuti che sono serviti a tastare le acque e sono la premessa da cui parte la serie (raccontano quello che raccontavo all’inizio: l’attacco da parte dei Cyloni alle Dodici Colonie, lo sterminio della razza umana, la fuga della flotta di navi capitanate dalla Galactica). Vanno visti prima della serie e sono tra le più belle tre ore di televisione che siano mai state prodotte.
 

I remake possono funzionare

Ogni volta che vengono annunciati i remake di film o serie televisive classiche, il primo pensiero di molti è: «ma inventarsi qualcosa di nuovo?». Battlestar Galactica è la dimostrazione che, se fatti bene, i remake sono un ottimo modo per inventarsi qualcosa di nuovo. Battlestar Galactica prende tutto quello che la serie tv del 1978 ha costruito come punto di partenza e ci sviluppa sopra qualcosa di nuovo. Il partire già con qualcosa in mano — un universo di riferimenti, astronavi, nomi, nemici — permette a Battlestar Galactica di non fermarsi a reinventare la ruota, ma di concentrarsi sulle interazioni tra i personaggi e le fazioni. Un vantaggio mica da poco.
 

Il cast

Abbinare gli attori giusti con i personaggi giusti non è facile, specialmente per una serie con un budget contenuto. Ma Battlestar Galactica ci riesce praticamente sempre. Quasi tutti i personaggi sono perfetti per gli attori che li interpretano, e alcuni sono stati scritti e ispirati dagli attori stessi. La personalità del pilota di caccia “Starbuck”, ad esempio, è stata sviluppata insieme all’attrice che la interpreta: Katee Sackhoff. Uno degli sceneggiatori ha detto: «abbiamo visto un intero altro lato [di Starbuck] grazie a Katee: vulnerabilità, insicurezza, disperazione. Abbiamo iniziato a sentirci più liberi di esplorare le debolezze del personaggio perché sapevamo che Katee sarebbe riuscita ad esprimerle senza compromettere la forza del personaggio». Ma forse il caso più emblematico di un casting riuscitissimo è quello di Numero 6 (la donna vestita di rosso), uno degli otto modelli di cyloni umanoidi. Quando è stata scelta per la parte, Tricia Helfer era una modella e non aveva nessuna esperienza come attrice. Ma si è rivelata così brava e adatta al ruolo che gli sceneggiatori hanno dato sempre più spazio al suo personaggio, trasformandolo in uno dei più importanti della serie.
 

Bear McCreary (ovvero: la colonna sonora)

Come suona una cultura così distante da noi nel tempo e nello spazio? Come qualsiasi cosa che abbiamo mai sentito e come nessuna cosa che abbiamo mai sentito. Bear McCreary è il compositore di quasi tutte le musiche di Battlestar Galactica e ha creato per la serie un suono unico, che mescola la tradizione asiatica, mediorientale e l’approccio orchestrale occidentale. E poi c’è quella perfetta cover di All Along the Watchtower di Bob Dylan fatta col sitar.

 https://www.youtube.com/embed/cUchAD44xA8/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Per il binge watching

Il binge watching è quella cosa che, finito un episodio, ne vuoi vedere subito un altro. E poi un altro. E poi un altro ancora. Battlestar Galactica è una serie perfetta per fare binge watching. A differenza della sorella Lost (iniziata anche lei 10 anni fa esatti), BSG soddisfa quasi sempre i colpi di scena di fine episodio. Iniziate con la prima puntata, guarderete le seguenti cinque tutte di fila senza fermarvi un secondo. Arriveranno le due di notte e non avrete nemmeno capito cosa è successo. Buon Battlestar Galactica.

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