Domani esce in libreria l’ultimo e molto atteso fumetto di Zerocalcare, il fumettista romano — anzi, di Rebibbia — che negli ultimi due anni ha, nell’ordine, quasi rotto internet con le sue storie del lunedì, stupito tutti con un esordio virale su carta e aggiornato con moltiplicatori nell’ordine del x10 la scala delle vendite di un fumetto nel mercato italiano, portandola a una dimensione inedita. Quest’ultimo nato in casa Calcare si intitola Dimentica il mio nome , ed è pubblicato, come al solito, per i tipi della casa editrice milanese Bao Publishing.
Tre cose, prima di tutto
La prima: chi legge con attenzione e da qualche tempo queste pagine saprà che non sono un fan della prima ora di Zerocalcare, anzi, mi è anche capitato, qualche mese fa, proprio su Linkiesta, di prendere le parti dell’accusa in un Ring che mi vedeva, in qualità di accusatore, opposto al difensore Adriano Ercolani.
La seconda: nelle righe che seguono non parlerò direttamente del contenuto del fumetto in questione, non ne racconterò la trama e non ne sottolineerò gli elementi centrali. Sono cose che farete già benissimo da soli quando avrete per le mani il fumetto in questione e non mi sembra proprio il caso di bucarvi il pallone prima che cominciate a giocare.
La terza: Dimentica il mio nome mi è piaciuto un sacco e mi ha fatto cambiare opinione sulla direzione che stava prendendo l’opera di Zerocalcare. Le righe che seguono sono il tentativo di spiegare perché ho cambiato idea e, soprattutto, perché quest’ultima prova di Zerocalcare è un grande fumetto, a differenza dei primi quattro, che a questo punto definirei come l’allenamento propedeutico e necessario all’atleta Zerocalcare per saltare l’asta del suo record personale e diventare finalmente un autore maturo.
Cosa fa di un fumetto un grande fumetto
Ho sempre pensato che l’arte, quando è vera arte, è sempre contraddistinta da tre fattori incatenati, necessariamente compresenti perché legati a doppio filo l’uno all’altro: l’onestà dell’atto, la fedeltà ai propri demoni e l’ossessione per il tempo e per la memoria. Devo questa convinzione alla frequentazione, prima universitaria poi letteraria, di un professore e scrittore che questa dinamica ha spesso descritto (da professore e saggista) e vissuto (da scrittore) Michele Mari. E non ho ancora cambiato idea.
Partiamo dal primo: l’onestà, ché forse è il termine più delicato da spiegare. Parlando di onestà in campo artistico, infatti, non intendo certo dire che l’arte deve esser priva di menzogne, tutt’altro: l’arte è sempre menzogna, come la famosa pipa di Magritte non mai è una pipa. No, quando parlo di onestà intendo un legame di necessità che dovrebbe sempre legare un autore alla propria opera, una necessità che è l’antitesi della convenienza.
Il secondo è legato fortemente al primo, ed è la fedeltà (o schiavitù) ai propri demoni, vero marchio di garanzia dell’urgenza e della necessità — quindi dell’onestà — di un prodotto artistico, che sia un racconto di Borges, una canzone di Bob Dylan, un film di Sergio Leone, una poesia di Montale o un murales di Blu. O, come in questo caso, un fumetto di Zerocalcare.
Questa volta, a differenza soprattutto dell’ultimo, Dodici, l’urgenza e la necessità del materiale personale che Zerocalcare affronta è lampante — ed è questo che ne garantisce l’onestà. E il primo sintomo, a mio parere, è la messa a fuoco da parte di Zero dello strumento delle citazioni, che fino a ora occupavano molto, forse troppo spazio, tanto che non sembravano più al servizio della storia, ma quasi preponderanti e in primo piano, e che ora, finalmente, al servizio della storia lo sono per davvero.
A proposito di demoni e di fedeltà/schiavitù degli scrittori ad essi, il già citato Michele Mari, nel primo degli scritti che formano quel gran libro che è I demoni e la pasta sfoglia, scrive questa cosa bellissima:
«Scrittori al servizio della propria nevrosi, pronti ad assecondarla e a celebrarla: scrittori che hanno nell’ossessione non solo il tema principale […], ma l’ispirazione stessa, sì che nessuna interpretazione mi pare fuorviante come quella che ne riconduce l’opera a un intento salvifico, quasi la scrittura sia solo un surrogato della pratica psicoanalitica. Al contrario, è proprio scrivendo che essi finiscono di consegnarsi inermi agli artigli dei demoni che li signoreggiano, finché, posseduti, essi diventano quegli stessi demoni»
Il terzo e ultimo, legato a doppio filo ai primi due, è l’ossessione per il più grande dei demoni che inseguono l’uomo da sempre: l’ossessione per il tempo perduto, per la sua inarrestabilità, e quindi anche per la memoria, il primo e più incerto strumento a nostra disposizione per fermare il tempo, o quantomeno per darci l’illusione di poterlo fare. Gran parte dell’arte occidentale è al servizio della memoria, ma non è soltanto un suo prolungamento, è un completamento e lo è per un motivo molto semplice. Ha un’arma potentissima a disposizione per completare gli strappi, le mancanze della memoria e reinventarne i frammenti: la finzione.
Memoria e finzione, due strumenti che Zerocalcare questa volta usa, domina e incastra perfettamente, come scoprirete leggendolo.
Con Dimentica il mio nome, infatti, Zero — per quanto mi riguarda finalmente — prende in mano frammenti del suo vissuto famigliare, li mischia con una sana (e potente, e funzionale, e ben gestita) dose di reinvenzione fantastica, affrontando — anche qui, per quanto mi riguarda, finalmente — le proprie ossessioni faccia a faccia, andando a inseguire i vuoti della memoria, riempiendoli con il proprio immaginario, risolvendo narrativamente i conti con un passato, quello famigliare, mai affrontato.
Ricapitoliamo: onestà, fedeltà (o schiavitù?) ai propri demoni, ossessione per il tempo perduto, per il passato. Se fin qui vi ho annoiato con questioni che potrebbero sembrare tecniche — o, come alcuni di voi forse staranno pensando, inutili pippe mentali — è per introdurre un cambiamento di opinione, quello su Zerocalcare che accennavo all’inizio di questo articolo, un cambiamento di opinione che mi son trovato — ben volentieri — ad affrontare appena terminata la lettura di Dimentica il mio nome, l’ultimo fumetto di Zerocalcare, che esce domani per Bao Publishing e che segnerà la meritata consacrazione del fumettista romano come autore tra i migliori del panorama italiano del fumetto.
Insomma, con Dimentica il mio nome Zerocalcare mette in fila tutte e tre i fattori di cui prima parlavo e dà alle stampe un libro maturo, potente, appassionante e anche toccante da quanto è sincero in alcune delle sue parti, paradossalmente quelle più “fantastiche”.
E quando i suoi appassionati lettori che fin qui lo hanno assediato alle presentazioni affronteranno le 236 pagine di questo fumetto ne usciranno più maturi anche loro, e forse questa volta saranno sul serio portati a tornare in fumetteria e comprarsi un bel po’ di grandi fumetti.
Intanto, nell’attesa, ecco quattro tavole in anteprima…