È tornato Alessandro Baricco, re del Midcult

È tornato Alessandro Baricco, re del Midcult

Settimana scorsa è uscito, per i tipi della casa editrice Feltrinelli, l’ultimo libro di Alessandro Baricco, un breve romanzo di poco meno di 100 pagine intitolato Smith&Wesson.

Può far piacere o meno, ma che Alessandro Baricco sia uno dei più influenti uomini di cultura italiani dei nostri tempi è innegabile. Da quando con un programma televisivo come Pickwick e con la fondazione della scuola Holden, a metà degli anni Novanta, iniziò a evangelizzare l’Italia alla religione dello storytelling e a parlare in modo diverso e frizzante dei libri era già chiaro che l’allora trentaseienne scrittore torinese si stava costruendo uno scranno d’eccezione.

Quella che si stava costruendo sotto i piedi era una strada che si preannunciava lunga e di gran successo. L’obiettivo era chiaro, diventare il punto di riferimento della cultura italiana.

Baricco è sempre stato un grande ingegnere, sia della parola scritta — le cui regole e alchimie domina alla perfezione — sia delle strade del successo. Non è certo un caso che, quando qualche mese fa Matteo Renzi si trovò a dover mettere insieme la sua prima squadra di governo, uno dei primi con cui parlò fu proprio Alessandro Baricco, che in molti davano per certo allo scranno più alto dell’establishment culturale italiano — lo Stabilimento, avrebbe detto Luciano Bianciardi — quello del Ministero della Cultura.

Matteo Renzi e Alessandro Baricco, due uomini che hanno tanto in comune, due esponenti — i migliori del mazzo, bisogna ammetterlo, un mazzo che annovera anche i nomi di Riccardo Luna, Massimo Gramellini, Fabio Fazio e molti altri esponenti del panorama politico, sociale e culturale italiano — di quel fenomeno socioculturale post berlusconiano che sta conquistando l’Italia, due personaggi che, in due discipline diverse — la cultura e la politica — rappresentano forse la definitiva affermazione del Midcult in Italia.

Il Midcult è una categoria creata dal sociologo Dwight Macdonald, che all’inizio degli anni Sessanta la utilizzò per definire un terzo livello culturale che stava in mezzo tra la cultura di massa e la cultura alta. Così l’ha definito Umberto Eco:

Macdonald delineava un terzo livello, il Midcult, una cultura media rappresentata da prodotti d’intrattenimento che prendevano a prestito anche stilemi dell’avanguardia, ma che era fondamentalmente Kitsch. E, tra i prodotti Midcult, MacDonald poneva per il passato Alma Tadema e Rostand, e per i tempi suoi Somerset Maugham, l’ultimo Hemingway, Thornton Wilder […]

Così invece commentava Vittorio Giacopini, nell’introduzione al libro, ristampato qualche anno fa da edizioni e/o:

Più di trent’anni dopo, possiamo ammetterlo. Il Midcult ha vinto. È diventato la “norma della nostra cultura”, il suo ventre molle. Midcult oggi sono (quasi tutte) le pagine culturali dei quotidiani e i programmi colti della Tv. Midcult sono l’università il giornalismo, il lavoro culturale, che ogni giorno che passa diventano sempre più “ereditari”, chiusi, angusti, autoreferenziali. […] il Midcult non è solo uno stile culturale ma una strategia, un programma di sistematica ricostruzione del privilegio culturale dentro le forme della democrazia

Smith&Wesson è un libro un po’ particolare, ma che non esce di un centimetro dal solco midcult che ha caratterizzato lo scrittore torinese. È scritto in forma di pièce teatrale in due atti. Anzi, ne è proprio la sceneggiatura, o meglio, la simulazione di una sceneggiatura, e infatti contiene anche quelle indicazioni per il Lettore Unico che solo una sceneggiatura contiene, ossia interventi in cui a parlare è l’autore reale, Alessandro Baricco stesso, che spiega al suo Lettore Unico, ossia il regista, come si immagina la scena, come vuole che si muovano i personaggi sul palco, a che velocità vuole che parlino, etc… Eccone un esempio:

Tutto il movimento va eseguito a velocità che definirei piuttosto forsennata. […] penso ad esempio che potrebbero incessantemente cambiarsi di costume secondo una sequenza che li porta a ogni frammento col costume giusto. Ma naturalmente è solo un suggerimento.

Smith&Wesson è un libro agile, si legge in meno di un’ora, il che, chiariamo, in sé non costituisce affatto un problema. Il problema è che, come ogni prodotto Midcult, dietro all’impalcatura c’è il nulla: la trama è riassumibile in due tweet, tanto da rendere la sinossi sul risvolto di copertina completamente esaustiva; la lingua è totalmente normalizzata sull’italiano standard, senza scarti tra le voci dei personaggi, che parlano tutti la stessa lingua.

In superficie questo libro contiene anche po’ delle solite trovate brillanti a cui, negli anni, Baricco ci ha abituato. C’è anche una venatura di sano umorismo. Ma, in entrambi i casi, c’è qualcosa che non va. L’umorismo è piuttosto fiacco, come quando, per sfuggire all’omonimia tra i cognomi della coppia di protagonisti e quelli dei fondatori dell’azienda statunitense di armi da fuoco, Baricco li caccia dritti dritti in un’altra omonimia, quella con Tom&Jerry. E anche le trovate non sono altro che quel genere di situazioni costruite solo per stupire. Tutto profondamente Midcult.

Dal punto di vista letterario c’è una sola cosa da dire: quello che il lettore si trova a leggere è una scatola sotto vuoto pneumatico, per alcuni versi simile a quella botte riempita di ossigeno pressurizzato dentro cui Rachel viene lanciata dalle cascate del Niagara dai due maldestri protagonisti, Tom Smith e Jerry Wesson (e così ci siam tolti anche il riassunto della trama in meno di due tweet).

Intendiamoci, è una scatola in cui il lettore ci si infila suo malgrado volentieri, soprattutto a causa della abilissima gestione della tensione da parte di Baricco, che nel finale riesce nel capolavoro di far preoccupare il lettore della sorte di un personaggio di cui non gli frega niente e di cui, appena chiusa l’ultima pagina del libro, non ricorda neppure più l’esistenza.

Perché Alessandro Baricco è questo: un formidabile tecnico della parola, un provetto alchimista che avrebbe potuto scoprire la pietra filosofale, ma che ha scelto di fare altro e diventare il più grande degli impacchettatori di vuoto, il re del Midcult italiano.

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