La Russia è un Paese grande. Ed è anche un mercato grande. Almeno, a guardare i dati della ricerca CreSV dell’Università Bocconi, le prospettive sono buone, ma il potenziale non è compreso dal mondo impreditoriale e politico italiano. Lo studio è stato presentato al IV Forum Italia-Russia, organizzato dalla stessa Bocconi e da General Invest, la holding italiana presieduta da Vincenzo Trani – e proprio il banchiere napoletano, che da anni vive in Russia, ha guidato una tavola rotonda del Forum. Lo studio parla chiaro: “La Russia mostra importanti sviluppi dal punto di vista della compettività della capacità del contesto di business di attrarre risorse e investimenti”, dice. È migliorata la reperibilità della manodopera, è più facile avviare nuovi business, si può registrare la proprietà in meno tempo.
Tutti gli indici considerati dalla ricerca evidenziano buone prospettive per chi vuole fare affari: secondo il Doing Business Index 2014, la Federazione Russa è al 92esimo posto su 189 come Paese in grado di attrarre business. Non è proprio una posizione brillante ma, se confrontata al 111esimo del 2013, mostra un passo da gigante. Per il Global Competitivness Index del World Economic Forum, poi, la Russia è 53esima su 144, ma è comunque nove posizioni sopra rispetto al 2013. «Parliamoci chiaro: la Russia equivale a un settimo delle terre emerse; ha 140 milioni di abitanti, che sono pochi, intelligenti e capaci; la burocrazia è molto meglio che in Italia. Non investire lì sarebbe una follia», dice Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentari e ad di Inalca. Per quanto riguarda l’interscambio commerciale, la Russia è il decimo mercato per importanza per l’Italia (il 4,2%), ma l’Italia è il quarto Paese per valore delle importazioni in Russia. Significa che, soprattutto per il mercato alimentare, la meccanica e i prodotti di lusso, l’Italia ha buone carte da giocare. O meglio, avrebbe: perché il problema non è tanto economico, ma politico.
La guerra in Ucraina e le sanzioni economiche dell’Europa hanno costituito un rallentamento. L’Italia, dice la ricerca, è uno dei Paesi più esposti: le importazioni russe sono diminuite, e di conseguenza le ricadute nell’economia italiana si sono fatte sentire. «La situazione è complicata: siamo di fronte a una discrasia», spiega Maurizio Dallocchio, professore di Finanza Aziendale alla Bocconi e organizzatore del convegno. «Da un lato c’è una domanda di interscambio commerciale fortissima: i prodotti italiani in cambio dell’energia russa. Dall’altro c’è una tensione politica che non si trasforma, da energia potenziale, a energia reale». Cioè, traduzione libera, costituisce un impedimento agli investimenti, provocando un danno a tutta l’economia del sistema. La soluzione allora, è la «Realpolitik: i provvedimenti [le sanzioni] vanno contro gli interessi delle nazioni. E le forze politiche dovrebbero avere sensibilità dei numeri». Per non dimenticare che avrebbero conseguenze anche sociali: «Ci sono 105mila famiglie che rischiano la povertà a causa dell’embargo», conclude.
Del tutto d’accordo è Matteo Marzotto, che è presente e interviene in qualità di presidente della Fiera di Vicenza. «La crisi geopolitica sta facendo molti danni: ci sono interessi sulle commodities e sul lusso che meritano maggiore attenzione», spiega a Linkiesta. Anche se, «per quanto riguarda i prodotti di alta gamma, come i gioielli frutto del superartigianato italiano, la questione è diversa: gli acquirenti sono persone che viaggiano, e che preferiscono comprare all’estero. Ad esempio, uno dei punti di scambio maggiori, e in crescita, è l’Armenia». Ma serve comunque maggiore attenzione: lo ripete anche Alberto Bombassei, presidente della Brembo e vice-presidente di Confindustria. Lui, con la sua impresa, non è presente in Russia. «Ma vorrei entrare. Certo, senza fretta e con le cose fatte per bene. Serve trovare una quadra». E finché l’impasse continua, le cose saranno difficili: «Renzi ha cercato all’inizio di attenuare la tensione, ma l’Europa poi è andata in una direzione, e non si può andare altrimenti. Ma ci devono ripensare. E anche Putin dovrebbe», spiega. Scordamaglia è più duro: «Quando Renzi sarà solo presidente del Consiglio e non più presidente di questa Europa, deve fare una cosa: dal primo gennaio andare in Russia e dire “ci siamo sbagliati”». Altro che Realpolitik.
Nel frattempo i problemi sono sempre lì: le sanzioni restano ferme, la Russia si avvicina alla Cina, il petrolio scende e il rublo crolla. Ma questo non è un problema. O meglio, «non è collegato al calo del prezzo del petrolio. È una risposta, pilotata, dalla banca centrale», spiega Vincenzo Trani. La Russia, come ha scritto in questo articolo, “si è allineata a quanto da tempo stanno facendo i Paesi della nuova alleanza euroasiatica, a cominciare dalla Cina e che coinvolge anche Sudafrica e Brasile: le svalutazioni competitive”. Una situazione che, dal punto di vista commerciale, potrebbe essere vantaggiosa per l’Italia e per chi volesse investire in modo diretto in Russia. Ma le sanzioni hanno bloccato tutto.