Tra le varie battaglie (perse) che LinkPop conduce dalla nascita ce n’è anche una grammaticale: la lotta disperata contro l’uso di “piuttosto che” come disgiuntivo. Una sciagura. Una iattura. Per chi crede che stiamo esagerando, basti pensare che, se scritto, non si capisce. Facciamo un esperimento. Se leggete una frase come questa: “Si può bere un caffè piuttosto che un bicchiere d’acqua” voi cosa capite? Che è meglio bere un caffè che un bicchiere d’acqua. Invece no. Il parlante voleva dire che “si può bere un caffè oppure un bicchiere d’acqua”. La cosa è diversa, eccome.
Bene. A combattere insieme a noi c’è l’Accademia della Crusca, che la pensa così:
Non c’è bisogno di essere dei linguisti per rendersi conto dell’inammissibilità nell’uso dell’italiano d’un piuttosto che in sostituzione della disgiuntiva o. Intendiamoci: se quest’ennesima novità lessicale è da respingere fermamente non è soltanto perché essa è in contrasto con la tradizione grammaticale della nostra lingua e con la storia stessa del sintagma (a partire dalle premesse etimologiche); la ragione più seria sta nel fatto che un piuttosto che abusivamente equiparato a o può creare ambiguità sostanziali nella comunicazione, può insomma compromettere la funzione fondamentale del linguaggio.
E ancora:
«Un vezzo di origine lombarda, ma ormai molto diffuso, è quello di usare la parola “piuttosto” […] nel senso di “oppure”», osservava criticamente un paio d’anni fa, sulla rivista L’esperanto, anno 31, n° 3, 5 aprile 2000, il direttore Umberto Broccatelli (scrivendo però “piuttosto” in luogo di “piuttosto che”). Il lancio vero e proprio del nuovo malvezzo lessicale, avvenuto senza dubbio attraverso radiofonia e televisione (e inizialmente – è da presumere – ad opera di conduttori settentrionali), sembra potersi datare dalla metà degli anni Novanta.
Ma non bisogna disperare:
Basterà avere un po’ di pazienza: anche la voga di quest’imbarazzante piuttosto che finirà prima o poi col tramontare, come accade fatalmente con la suppellettile di riuso
Nel frattempo l’Accademia, almeno sui social, ha indetto bandi su bandi per correggere questa stortura, e ha promosso tutte le iniziative possibili. Tra cui quella di un musicista: si chiama Giacomo Lariccia e ha composto una canzone intitolata “Piuttosto”, che parte dall’abuso linguistico e finisce per parlare d’altro. «È uno spunto grammaticale, per dire che si è stufi di chi abusa delle parole. Una metafora per parlare dell’Italia in generale». Usare “piuttosto che”, che è gergo di origine settentrionale, in particolare milanese, «implica rivolgersi contro una particolare situazione politica. Se dovessi farlo ora, per descrivere l’Italia, dovrei usare dei modi di dire fiorentini», spiega a LinkPop. Lariccia vive a Bruxelles da 14 anni: lì ha studiato al Conservatorio e ha continuato a vivere. Dalla sua postazione estera può guardare all’Italia «con attenzione, certo, ma anche con distacco». Uno straniero a metà, si può pensare.
La cosa notevole è che, per creare la clip di “Piuttosto” ha indetto una sorta di concorso, invitando tutti coloro che sostengono la sua battaglia contro l’abuso di “piuttosto che” a inviare immagini e video. «Sono stato sommerso da mail», dice. E questo fa ben sperare.