Potrebbe anche essere un omaggio al Francesco, massimo storico della letteratura e ministro cavouriano della Pubblica Istruzione che proprio qui nacque quasi due secoli fa, se nell’irpina Morra De Sanctis si sta realizzando il Poema, Polo europeo microfusioni aerospaziali, che è nei piani uno dei centri produttivi all’avanguardia nell’industria europea dell’aerospazio. Desta forse qualche sorpresa che questo accada in un posto lontano dai principali luoghi industriali, distante dalle grandi città, impervio e incastonato nell’appennino sul quadrante di una provincia frettolosamente legata nel racconto pubblico al devastante terremoto del 1980 e a un’intera generazione di big democristiani (proprio di Morra è Giuseppe Gargani, lunghissima storia dc prima di approdare a Forza Italia e poi all’Udc, dove ha ritrovato Ciriaco De Mita, segretario nazionale della Balena Bianca, che nella natale Nusco – due passi da Morra – è ritornato in primavera per indossare il tricolore del sindaco).
La sorpresa presto svanisce a considerare che capofila dell’impresa è quella Ema, Europea microfusioni aerospaziali, tra le più rimarchevoli realtà internazionali nel suo settore, e indicata dal premier Renzi tra le realtà modello dell’industria meridionale nella visita compiuta a fine novembre in occasione del 34esimo anniversario del sisma (ovviamente presente De Mita, per un piccolo siparietto con l’attuale suo successore a Palazzo Chigi, già lupetto fanfaniano del biancofiore: «Quanto dista da qui Nusco – gli ha chiesto Renzi – Allora siamo a casa tua…», ha concluso dopo la risposta di De Mita accompagnata da un buffetto sulla guancia).
Nata grazie alle leggi post-terremoto per l’industrializzazione come joint venture tra Finmeccanica e Rolls-Royce, la Ema da Morra ha scalato rapidamente posizioni, sganciandosi dal colosso pubblico nel 2010 per diventare 100% britannica. Con piena soddisfazione dei coronati: non è un caso che l’ambasciatore britannico Christopher Prentice, che ha accolto Renzi a Morra insieme con il capoazienda Otello Natale, indichi in ogni occasione proprio la Ema come modello virtuoso e vincente dei legami industriali tra i due Paesi.
Ma cosa si fa alla Ema, quale il motivo di tanta gloria? In buona sostanza, le palette. La paletta è l’anima, il cuore di un motore perché è la paletta che produce energia, che fa girare il circuito, che in sostanza tiene su l’aereo a chilometri e chilometri da terra. La Ema è dunque una fonderia ad altissima precisione, che nel suo bagno incandescente e millimetrico lavora superleghe di nichel e cobalto per palette con l’anima di ceramica. Escono dagli stabilimenti di Alta Irpinia per finire in alta quota, montati sui caccia Tornado, gli Eurofighter, gli Airbus oppure i Boeing (ma anche su motori marini e turbine di energia per centrali elettriche).
La qualità delle palette è fondamentale, sono sottoposte a pressioni e temperature assai elevate (oltre 1.500 gradi), e solo cinque aziende al mondo possiedono la tecnologia per prodotti del genere. Peraltro quello aeronautico è un settore che va crescendo rapidamente: saranno 36 mila gli aerei che saranno costruiti, la flotta commerciale è destinata a raddoppiare, gli uomini si muovono, così le merci, i trasporti devono essere rapidi, l’aereo acquista sempre maggiore centralità, e così occorre perfezionare la sua struttura, dev’essere più pulito, più silenzioso, più funzionale.
Un futuro industriale dalle potenzialità enormi per aziende come la Ema, che alla ricerca e sviluppo dedica quote di investimento di molto superiori alla media italiana. A oggi nello stabilimento di Morra ci sono 500 dipendenti. Erano meno di 50 quando s’iniziò, quindici anni fa. Nel frattempo sono stati prodotti qualcosa come 1 milione e 200 mila pezzi (con 70 milioni di euro investiti), per clienti come – oltre a Rolls-Royce, naturalmente – la Ansaldo Energia, Snecma, Siemens e Alstom. L’ultimo bilancio restituisce un fatturato di 49 milioni di euro.
Ma per un’azienda centrata sulla costante innovazione fermarsi è impossibile. E dunque la Ema da deciso di aprire un altro cantiere: il Polo europeo microfusioni aerospaziali. Il Poema, appunto. L’azienda morrese guida la rete di nove aziende che compongono una filiera in cui il processo industriale è perfettamente realizzato dalle fasi preparatorie, alla produzione fino al completamento finale, fatto di lavorazioni meccaniche ad alta precisione e rivestimenti superficiali. Il polo coordina l’intera attività offrendo al cliente la possibilità di comprare il semilavorato o affidare l’intero ciclo.
Partecipano all’iniziativa realtà locali, cioè dell’Irpinia, come la Omi di Lacedonia, che si occupa di lavorazioni meccaniche, la Mosaico, società nata come costola del dipartimento di ingegneria dell’Università del Sannio, che si occupa di realizzazione di sistemi integrati di automazione e controllo di impianti industriali, ma anche realtà del Nord Italia, come la Aviotecnica di Sesto Calende, provincia di Varese, attiva nella produzione dei componenti di motori aeronautici, la brianzola Flame Spray, che realizza trattamenti termici e rivestimenti superficiali anticorrosione, la Ecor di Schio in Veneto, leader nei processi robotizzati di saldatura laser. Gli altri tre attori del consorzio sono Reim, Strazza e Tecnologica.
L’idea è che tutte le aziende stabiliscano una presenza in capannoni contigui allo stabilimento Ema nell’area industriale di Morra, per ottimizzare i tempi e flussi di produzione. E’ di questi giorni l’installazione dei primi impianti e apparecchiature. L’investimento delle nove aziende di Poema, con il contributo di Invitalia e del Ministero dello Sviluppo Economico, è di 35 milioni di euro. Il piano 2010-20 prevede che tra dipendenti del polo e indotto si arriverà ad oltre 1.000 occupati nel 2018, 150 assunzioni all’Ema sono previste già entro il prossimo anno.
Sono numeri importanti, specie se calati in una realtà che soffre come tutto il Sud di una drammatica difficoltà occupazionale. La Ema risalta anche in un contesto locale di industrializzazione che presenta molte ombre, con molte aziende chiuse, altre scomparse, incassati i contributi pubblici, nell’opacità del fondo perduto. Gli italo-britannici rilanciano intanto sull’innovazione e sull’alta tecnologia, indicandole come campo privilegiato per uscire dalle secche. Una piccola lezione che arriva dalla piccola Morra. E non l’unica.