«Allerta terrorismo: l’aeroporto di Roma è vulnerabile»

«Allerta terrorismo: l’aeroporto di Roma è vulnerabile»

Quattro piste, 355 banchi check-in, 110 gate, 125 piazzole per gli aeromobili. Ma soprattutto 36,3 milioni di passeggeri nel 2013. Il “Leonardo Da Vinci” è il primo aeroporto italiano e il settimo d’Europa. Una “città” le cui dimensioni sono paragonabili a quelle di Cagliari, una superficie complessiva pari a 1600 ettari e 250mila metri quadri di aerostazioni. Hub di Alitalia, snodo strategico per i voli intercontinentali e cuore del trasporto aereo italiano verso il mondo. Da qui si va in America e in Israele, in Africa e nei paesi arabi. «Ma se non siamo in grado di dotare gli operatori di polizia di giubbotti antiproiettile e attrezzature idonee non riusciremo mai a garantire standard di sicurezza europei». Saturno Carbone è il segretario romano del Siulp, la sigla sindacale più rappresentativa della Polizia di Stato.

Dopo la strage di Parigi l’allerta terrorismo ha coinvolto migliaia di obiettivi sensibili in giro per l’Italia. Mentre il ministro dell’Interno Angelino Alfano ripete che «abbiamo un livello di allerta altissimo», nei telegiornali scorrono le immagini degli agenti in piazza San Pietro coi giubbotti antiproiettile o i fucili puntati negli scali aeroportuali. Dietro il galateo del racconto mediatico, però, i sindacati della Polizia denunciano le criticità di un sistema che non sarebbe esattamente a prova di bomba. «In Italia – spiega Carbone a Linkiesta – abbiamo sottovalutato l’aspetto della sicurezza, che non viene vissuto come un servizio ai cittadini ma solo come una spesa, non come un investimento per la crescita ma come un costo».

Il “Leonardo da Vinci” non fa eccezione, luogo cruciale in un momento in cui foreign fighters e sospetti jihadisti circolano indisturbati tra le capitali europee. Le forze dell’ordine vivono la pressione dell’innalzamento dei dispositivi di sicurezza da conciliare con criticità strutturali. «I tagli ci hanno flagellato». Non si possono fare miracoli dall’oggi al domani. A Fiumicino «mancano uomini, giubbotti antiproiettile, divise adeguate e soprattutto automobili. Gli armamenti sono all’annozero e per garantire i servizi di sicurezza quotidiani dobbiamo ricorrere agli straordinari, che però sono stati tagliati». Ma allora gli agenti coi fucili che si vedono nelle immagini di repertorio? «Sono tiratori scelti e sono pochi». Addirittura gli operatori della squadra Laser, l’unità speciale di sicurezza antiterrorismo, «non hanno il giubbotto antiproiettile sottocamicia e sono ancora più esposti al pericolo».

Cinquecento telecamere vigilano sull’aeroporto sotto la regia delle sale operative di Adr, la società che gestisce lo scalo. Negli ultimi giorni il sistema ha dovuto affrontare il falso allarme bomba su un volo diretto a Vienna e una procedura antiterrorismo scattata a causa di un cittadino pakistano diretto a Londra con il passaporto falso. Massima allerta, rischio psicosi. Al “Leonardo Da Vinci” lo stress degli agenti è palpabile, «c’è estrema preoccupazione». Pochi e mal equipaggiati, devono controllare un’area vastissima: solo i quattro terminal passeggeri si estendono su una superficie di 350mila metri quadrati, dove ogni giorno transitano almeno 120mila persone. E nelle ore notturne, raccontano dallo scalo, «non si arriva a 30 poliziotti». 

Dal “Leonardo da Vinci” alla Capitale corrono 28 chilometri. Ma a sentire il segretario del Siulp, la musica non cambia. «In questo momento Roma e il suo aeroporto sono molto vulnerabili». Centinaia gli obiettivi sensibili, gran parte nel centro storico. Il rischio è ovunque. «Un plauso al prefetto che ha chiesto l’invio di altri 500 uomini in città, ma dobbiamo tener presente che se l’impostazione del sistema di sicurezza resta quella di oggi non ne basteranno nemmeno 5mila in più. Non possiamo pensare solo ad aumentare il numero di agenti ogni volta che si presenti un’emergenza. Serve un progetto di coordinamento strutturale tra tutte le forze dell’ordine, compresa la Polizia Municipale. Bisogna ottimizzare le risorse sul territorio per controllarlo meglio, creare una sala operativa unica. Che sia reale, non virtuale».

Così, prosegue Carbone, si eviterebbero le duplicazioni e gli squilibri di oggi «come le decine di auto di diversi corpi di polizia dispiegate nel centro storico solo perché “ognuno” deve farsi vedere». Con la conseguenza che molte aree, magari periferiche, rischiano di rimanere sguarnite. Il caso di scuola lo offre il Commissariato Casilino che, racconta Carbone, «ha una giurisdizione su un territorio più esteso dell’intera città di Napoli». Siamo nella periferia est della Capitale, una zona che comprende quartieri difficili come Tor Bella Monaca e nuove borgate come Ponte di Nona. «Negli ultimi anni è aumentata la popolazione ma sono diminuiti i poliziotti, da 120 a 80. La notte, se va bene, il Commissariato ha due volanti». L’allerta terrorismo può dormire sonni tranquilli.

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