«Il momento di agire o tacere è arrivato, mi dicono. Il mio piano è di non seguire il consiglio. Di continuare a bloggare qui anche se normalmente è considerato irresponsabile, per un ministro delle Finanze, indulgere in forme di comunicazione così rozze». Così ha scritto sul suo blog Yanis Varoufakis, il neoministro delle Finanze del governo Tsipras, a poche ore dal giuramento del governo. Il post, in inglese, ha un titolo piano che suona come ironico: «Il ministero delle Finanze rallenta il blog ma non lo chiude».
Martedì 27 gennaio, quindi, il diretto interessato ha dato la conferma di quello che si anticipava già dalla vittoria di Syriza di pochi giorni fa: il nuovo ministro delle Finanze sarà l’economista Yanis Varoufakis. La lista, già anticipata in tarda mattinata dal Guardian, lo vede a fianco dell’altro economista Giorgos Stathakis allo Sviluppo – che avrà competenze ampliate e rafforzate – nel primo governo di Syriza insieme alla formazione di destra dei Greci Indipendenti (al cui leader Kammenos andrà quasi certamente la Difesa). Il vice di Varoufakis sarà l’economista educato ad Oxford Euklid Tsakalotos.
Nonostante si definisca «economista per caso», Varoufakis è indicato da tempo come uno dei consiglieri economici di riferimento di Alexis Tsipras. È un personaggio molto noto dentro e fuori della Grecia, con una forte presenza online – il suo profilo Twitter ha quasi 128 mila seguitori, quasi il doppio dell’ account ufficiale di Tsipras – e una preferenza per le immagini forti e il discorso schietto.
Alle conferenze o in televisione si veste con jeans e camicie sgargianti e ha commentato la vittoria elettorale di domenica citando una delle poesie più celebri del gallese Dylan Thomas: «La democrazia greca ha scelto oggi di smettere di andare docile nella notte. La democrazia greca si è decisa ad arrabbiarsi contro il morire della luce».
In passato, Varoufakis ha paragonato la Grecia al «canarino nella miniera», che con la sua morte avvisa i minatori dei gas pericolosi, e ha commentato il piano Juncker dicendo: «Non smetto di stupirmi della stupidità del progetto Juncker. È come dare un’aspirina a un morto». Nelle ultime settimane ha chiarito più volte il suo pensiero: vista l’entità dell’emergenza sociale in Grecia, pensare di usare i soldi per ripagare i creditori è una follia.
Le frasi forti di Varoufakis non devono però trarre in inganno. È un economista che ha esperienza e che secondo molti commentatori abbandonerà i toni più accesi una volta che verrà il momento di sedersi al tavolo dei negoziati. A lui, infatti, andrà il compito non certo facile di ridiscutere i termini del bailout greco, il piano di prestiti da 240 miliardi di euro con le istituzioni internazionali. Diciassette miliardi sono dovuti nel solo 2015, e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, per parte sua, ha già avvertito che una riduzione del debito «non è sui radar».
Da dove viene Yanis Varoufakis
Nato ad Atene nel 1961, ma in possesso anche della cittadinanza australiana, Varoufakis ha studiato economia all’università dell’Essex, nel Regno Unito, e ha ottenuto poi posizioni accademiche in diverse istituzioni del mondo anglofono, da Cambridge a Sydney. Negli ultimi anni ha tenuto corsi ad Atene e all’università del Texas ad Austin, che ha lasciato pochi mesi fa per partecipare alla campagna elettorale greca.
Non è un personaggio assolutamente nuovo nella politica greca: tra il 2003 e il 2006 è stato tra gli uomini che scrivevano i discorsi sui temi economici di George Papandreou, il primo ministro del Pasok oggi in digrazia che si trovò al governo all’apice della crisi, tra il 2009 e il 2011. Inizialmente attratto dalla personalità di Papandreou, Varoufakis ha dichiarato qualche anno fa di essersene allontanato per il suo stile di gestione imprevedibile e caotico.
Nel 2010 venne contattato da Tsipras per partecipare al suo progetto politico, SYRIZA, che veniva da un 4,6 per cento alle politiche del 2009 tutt’altro che esaltante. Con il tempo – e con i post del suo blog con cui commentava l’evolversi della crisi greca – è diventato uno degli economisti più ascoltati dalla leadership del partito, per cui era candidato alle ultime elezioni in una circoscrizione di Atene.
Un analista citato dal Guardian parla di Varoufakis come di «Keynes con un pizzico di Marx», il che lo pone quasi tra i moderati del partito, visto che il responsabile economico di SYRIZA John Milios definisce il proprio pensiero «marxista» senza mezzi termini. A guardare le sue proposte concrete di politica economica, Varoufakis sembra infatti da un lato uno strenuo avversario della Troika, ma dall’altro un convinto sostenitore della necessità di una maggiore integrazione europea. Proprio dalle istituzioni comunitarie, dice da tempo, devono arrivare le risorse per risolvere davvero la crisi.
A luglio del 2013 ha pubblicato sul suo sito la quarta e ultima versione della Modesta proposta per risolvere la crisi dell’Eurozona, firmata insieme agli economisti Stuart Holland (già parlamentare britannico con il Labour) e James K. Galbraith. Anche in questo caso, non sfugge l’ironia del titolo: il riferimento è alla celebre satira di Jonathan Swift, che suggeriva agli irlandesi di vendere i propri figli come cibo per i ricchi per superare le difficoltà economiche.
Ma la Modesta proposta, lunga una quindicina di pagine, utilizza l’ironia solo nel titolo e unisce un certo pragmatismo con l’ambizione: si propone di «non introdurre nuove istituzioni europee» e di «non violare nessun trattato esistente».
Le sue idee principali sono che le banche in difficoltà prendano a prestito direttamente dall’ESM, il Meccanismo europeo di stabilità, senza che i governi nazionali facciano da intermediari prendendo a prestito i soldi per poi girarli a loro. I governi, aggiunge la proposta, dovrebbero anche avere d’altra parte la possibilità di salvare direttamente le banche, chiamando in causa la BCE in un secondo momento.
Sul fronte del debito pubblico, la proposta parla di convertire la parte di debito che eccede il 60 per cento del PIL – a richiesta degli stati – in una nuova forma di prestiti in cui la BCE serva da intermediario tra gli investitori e gli stati membri. Insomma, una forma di eurobond, anche se con qualche limitazione per non violare il principio che la BCE monetizzi il debito pubblico.
La parte più propositiva della proposta riguarda un grande piano di investimenti guidato dall’Unione Europea «per invertire la recessione, rafforzare l’integrazione europea, ristabilire la fiducia del settore privato» e rispettare i trattati che si impegnano a un miglioramento delle condizioni di vita degli europei. In questo piano, il ruolo fondamentale sarebbe svolto dalla Banca Europea degli Investimenti e dal Fondo Europeo per gli Investimenti – emettendo obbligazioni “europee”, senza alcuna garanzia dei singoli stati – un pensiero che Varoufakis ha ribadito anche negli ultimi giorni.
L’altro punto su cui Varoufakis e i suoi coautori mette al centro della sua proposta è che «l’Europa si impegni immediatamente in un Programma di Solidarietà Sociale di Emergenza» che assicuri a tutti gli europei un minimo garantito di cibo ed energia, da finanziare tramite i fondi della Commissione Europea.
Proprio per l’emergenza sociale, a sentire le interviste, Varoufakis si oppone da tempo alle politiche di austerità: fin dal 2012, parlando del mancato accordo dei paesi europei sui famigerati Eurobond, aveva detto che «la Germania non vuole veramente un alleggerimento del tasso di interesse per la Periferia in difficoltà. Per qualche ragione, su cui non mi dilungherò qui, la signora Merkel sente che il waterboarding fiscale è quello di cui la Periferia ha più bisogno in questi giorni».
L’espressione waterboarding fiscale – con chiaro riferimento alle pratiche di tortura dei servizi segreti americani durante gli interrogatori in seguito all’11 settembre – sembra particolarmente adatta a Varoufakis, che l’ha ripetuta anche a Repubblica in un’intervista ai primi di gennaio e in un’altra intervista radiofonica con BBC ieri.
In quell’occasione, Varoufakis aveva esposto il suo piano per i conti pubblici greci: trasformare il debito verso i creditori internazionali – oltre 250 miliardi di euro – in «un maxi-bond a scadenza illimitata». La Grecia comincerà a ripagarli «quando le condizioni lo permetteranno» e il paese avrà raggiunto «una crescita almeno del 3-3,5%».
Venerdì prossimo, 30 gennaio, arriverà ad Atene il capo dei ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, per incontrare il nuovo governo greco: promette di essere un incontro interessante, perché lo stesso Dijsselbloem ha commentato i risultati elettorali dicendo che i membri dell’UE devono «rispettare le regole e gli impegni».
Nonostante le parole dure contro le istituzioni finanziarie internazionali, puntualizzava ieri il corrispondente economico del Telegraph Peter Spence, Varoufakis non è uno «zelota radicale» o un «agitatore socialista». Nel corso della sua carriera, ad esempio quando lavorava come consulente per la società di giochi informatici Valve, ha citato tra i suoi riferimenti dei giganti del pensiero liberista più classico, come Friedrich Hayek e Adam Smith.
Come scrive Francesco Giubileo, la situazione economica che Varoufakis si trova a fronteggiare è ancora disastrosa, in un paese che ha perso oltre un quarto del suo prodotto interno lordo dall’inizio della crisi. Varoufakis dovrà trattare con le istituzioni europee, e anche se è difficile che otterrà di poter ripagare i debiti solo «quando ce ne saranno le condizioni», probabilmente porterà a casa qualche concessione. Ma di lì alla ripresa, per il suo paese e per l’Europa, la strada è ancora lunga, e la scommessa su un maggior peso delle istituzioni comunitarie suona come un grido di aiuto che la Grecia e non solo lancia da molto tempo – finora, senza fortuna.