C’è una melassa instabile, una corrente dai contorni indefinibili all’interno del Partito Democratico di Matteo Renzi. Così difficile da delineare che il segretario sarebbe in apprensione per i voti che arriveranno da quest’area durante le votazioni per il nuovo presidente della Repubblica. Si parla di una pattuglia di almeno una sessantina tra deputati e senatori che potrebbe essere un ago della bilancia fondamentale nei già delicati equilibri tra la minoranza Pd di Pier Luigi Bersani e gli ayatollah renziani. Si tratta di Areadem, una delle correnti piddine più corpose che si insediò nel 2013 dopo le elezioni politiche, la seconda dopo i bersaniani, ma che nel corso degli anni ha acquistato nuovi deputati e ne ha persi altrettanti a favore delle truppe renziane. Ma allo stesso tempo Areadem, da sempre capitanata dal ministro ai Beni Culturali Dario Franceschini, annovera tra le sue fila pure ex esponenti dei Ds — Il Foglio ci colloca il sindaco di Torino Piero Fassino e i suoi — o per esempio Emanuele Fiano o Franco Mirabelli. Sta qui, secondo alcuni deputati democratici, la chiave per capire quale potrebbe essere il nome segreto che Renzi rivelerà per il Colle. Perché l’ex sindaco di Firenze potrebbe avere sorprese dai renziani dell’ultima ora come dagli ex bersaniani. Non è un caso che in queste ore siano più che mai attivi Lorenzo Guerini e Luca Lotti, il poliziotto buono e il poliziotto cattivo che stanno provando a ricucire la trama per non fare brutte figure.
Del resto, al momento è nebbia fitta su quali siano le reali intenzioni del premier, su chi davvero proporrà nei prossimi giorni prima della prima votazione, anche se ha già spiegato che le prime tre saranno bianche mentre solo la quarta di sabato sarà quella decisiva. Di nomi ne circolano molti. Da Pier Carlo Padoan, il ministro dell’Economia, fino Sergio Chiamparino, il governatore del Piemonte. Eppure la situazione è troppo fluida per capire cosa deciderà il leader del centrosinistra. Durante l’incontro con i senator Renzi non ha fatto altro che ripetere le parole dei giorni scorsi, non escludendo quindi dalla rosa dei nomi uno dei più caldi, quello di Anna Finocchiaro, considerata un indipente e slegata dalle correnti: per Renzi «è un’anomalia che non ci sia mai stato un presidente donna». In sostanza, per il presidente del Consiglio quello di questa settimana non deve essere un «referendum né sul governo né su di me e va tenuta separata dalle riforme o dalla legge elettorale. La figuraccia del 2013 è nel curriculum vitae di tutti. Oggi abbiamo una occasione di riscatto, un passaggio fondamentale sulla credibilità del Pd. Non scommetto sulla vostra fedeltà ma sulla vostra intelligenza, noi crediamo nel Pd, luogo di discussione».
Durante l’incontro con i senatori a replicargli sono stati in due, Walter Tocci, civatiano dissidente e Federico Fornaro. Il senatore piemontese ha chiesto «una riunione di tutti i grandi elettori PD dopo gli incontri con i partiti e prima del primo voto». Renzi aveva già accettato la proposta. A questo punto, si ragiona sui divanetti di Montecitorio, dalle riunioni di lunedì 26 gennaio tra Renzi e i deputati emerge che «il prossimo presidente della Repubblica dovrà essere autorevole, autonomo con conoscenza meccanismi parlamentari ed un’esperienza o conoscenza internazionale». E i nomi che circolano con questo profilo sono in realtà pochi, come quello di Giuliano Amato, di Sergio Mattarella e Romano Prodi. Ma su questi tre si continua a tambureggiare. Silvio Berlusconi, leader del centrodestra, ago della bilancia forte del Patto del Nazareno, preferirebbe il primo e non il secondo. Sul terzo, invece, le voci continuano a essere contraddittorie.
Meglio tornare quindi in Area Dem, corrente centrale, da dove, non a caso, arrivano la maggior parte delle seconde linee candidate al Quirinale in questi giorni sui giornali. Si è parlato di Fassino o dello stesso Dario Franceschini, persino il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Ma un nome che in molti danno come molto caldo e coperto sarebbe quello di Graziano Delrio, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, anche lui proveniente da Areadem. I detrattori di Delrio al Colle sostengono che l’ex presidente Anci sia troppo vicino a Renzi: la sua candidatura sarebbe troppo di parte. Altri invece sostengono che Delrio potrebbe essere un candidato vincente, a cui mancherebbe però lo standing internazionale, anche se ha buoni rapporti con Israele dove ha studiato in passato. Non solo. Delrio gode persino di una sua corrente dentro Areadem, quella Anci, dove si trova il renziano Angelo Rughetti.