Sono pochi a godere di una autorevolezza indiscussa come la sua. Soprattutto in un momento in cui i giornali, il giornalismo e il giornalismo di inchiesta vivono numerose difficoltà (ma il problema non è italiano, dice: è «mondiale»). Milena Gabanelli, con il suo programma Report, riesce a distinguersi per serietà dell’informazione e qualità degli approfondimenti, tanto che, nel 2013, risultò tra i nomi desiderati per il Quirinale dal Movimento Cinque Stelle – erano le “quirinarie”. Per tutta risposta, oltre al rifiuto, sollevò alcune domande («Che fine fanno i proventi del blog di Grillo» e «quanto guadagna le Casaleggio e associati dalla pubblicità sul sito») che non vennero prese molto bene. Non c’è da aspettarsi che venga riproposta per il 2015. Ma chissà.
Dopo i fatti di Parigi, il tema dell’informazione e della libertà di espressione, con tutte le contraddizioni e le difficoltà del caso, sono tornate alla ribalta. Ma oltre al terrorismo i problemi sono numerosi: l’autocensura, dice, e le leggi molto permissive che permettono di «trascinare in tribunale i giornalisti con cause intimidatorie». Allargando il raggio, il cittadino avverte un senso di crisi e di inutilità. Questo spiega il calo di partecipazione alle urne e la crisi dei giornali, anche se nessuno «ha rinunciato a essere informato». Il problema è l’abitudine, l’attitudine a ricevere l’informazione gratis. Se non si riuscirà ad arginare «l’idea della gratuità» ci potrebbero essere «ricadute devastanti».
Con la vicenda di Charlie Hebdo, si è (ri)sollevata la questione della libertà di stampa e di satira, a livello globale. Come si pone?
Metterò sempre la mia firma e la mia faccia sotto qualunque appello che difenda la libertà di stampa e di satira. Rivendico il mio diritto a non amare particolarmente le vignette di Charlie Hebdo, ma di fronte ad un atto di terrorismo, sono disposta ad incatenarmi per difendere la loro libertà.
Se ti occupi di costume nessuno ti rompe le scatole
Esiste un problema di libertà di stampa e libertà di satira in Europa in generale? In Italia? Per un lungo periodo si è additato Berlusconi e le sue leggi-bavaglio come una minaccia alla libertà. Adesso che non è più al governo è cambiato qualcosa?
Credo che l’autocensura, almeno in Italia, sia molto più potente. In 18 anni di Report non mi è capitato una sola volta di dover limitare il raggio d’azione… certo è faticoso reggere il peso delle pressioni, ma fa parte del mestiere. Se ti occupi di costume nessuno ti rompe le scatole, se vai a fare le pulci alla classe dirigente, lei reagisce e cerca di ostacolarti. Avviene in tutti i paesi del mondo. Quello che nel nostro paese manca invece è una legge che punisca chi trascina in tribunale i giornalisti con cause intimidatorie. Nei paesi anglosassoni il codice di procedura civile prevede multe che arrivano fino ad un multiplo del risarcimento richiesto, quando è palesemente infondato. In Italia se non hai alle spalle un’editore solido non puoi permetterti di affrontare cause milionarie, che durano anni, anche se sono infondate. Anche per questa ragione si è costretti a “volare bassi”.
Come si fa a silenziare una notizia?
In base alle proprie sensibilità, alla “qualità” delle evidenze, alla contingenza.
Se non si troverà il modo di arginare l’idea della gratuità saremo seppelliti dal rumore di fondo
Lei ha detto che l’informazione è essenziale, perché, se informate, le persone possono scegliere. La crisi dei giornali sembra rivelare però che siano sempre meno le persone disposte a pagare per essere informate. È perché non si ritiene più importante essere informati? Oppure è perché non si ritiene più importante dover scegliere?
Non c’è dubbio che si stia vivendo un senso di inutilità, di impressione che le proprie scelte non vengano considerate (ragion per cui cala l’affluenza alle urne), ma non mi pare che i cittadini abbiano rinunciato ad essere informati, anzi… se poi sono meno disposti a pagare è perché possono avere le informazioni gratis! Solo che dietro ad un buon articolo di solito c’è anche un giornalista che ha investito tempo e risorse, e una testata che gli paga lo stipendio. Quindi se non si troverà il modo di arginare l’idea della gratuità, saremo seppelliti dal rumore di fondo. È un problema mondiale, con ricadute che potrebbero essere devastanti per la qualità dell’informazione…
Come sceglie i temi che affronta nelle puntate di Report? Quanto conta l’interesse degli spettatori, lo share e la risposta del pubblico?
Report esiste perché molta gente lo guarda (siamo al 18esimo anno di vita), questo vuol dire che la costruzione delle puntate tiene certamente conto delle esigenze del pubblico.
Le piace ancora il suo mestiere o vorrebbe cambiare? Si parla molto di digitale e innovazione: anche lei, all’epoca, propose una formula nuova, con telecamera senza operatore. Servono formule nuove anche ora?
Non saprei rispondere perché mi identifico molto con il mio mestiere… mi assorbe tutto il tempo da tanti anni. Per quel che riguarda la formula, in realtà quella di Report è molto classica, non credo che l’inchiesta giornalistica richieda particolare creatività, anzi più è secca, meglio è. Quello che di nuovo avevo introdotto era il metodo di lavoro, e questo deve continuare a stare al passo con i tempi. L’aggiornamento tecnologico è cruciale: fa risparmiare tempo e dà qualità. Per esempio: nel racconto di una storia complessa è più efficace l’uso del touch screen che non una tabella grafica.
Si riguarda in televisione?
Assolutamente sì, solo quando vedo la puntata in onda capisco dove ho sbagliato.
E cosa le piace di più e cosa le piace di meno del suo lavoro?
La costruzione dell’inchiesta è molto coinvolgente, la parte burocratica mi uccide.
A livello personale, quale è stata l’esperienza giornalistica che le ha dato più soddisfazione?
Quella del 1995, in Cecenia con Ettore Mo.
E di quale invece è più pentita?
Non sono pentita di nulla perché ho sempre fatto tutto in buona fede. Caso mai mi vergogno di un intero periodo: il mio inizio. La puntigliosità di oggi è figlia degli errori, superficialità, ingenuità commesse quando ho cominciato, da autodidatta, senza una guida.
È difficile far capire che i programmi di inchiesta sono diversi dai talk show
E quale è l’inchiesta che non ha mai fatto e che non ha mai potuto fare?
Finora abbiamo sempre fatto quello che era possibile.
Qual è la reazione più diffusa delle persone che vengono interessate dalle sue inchieste?
La reazione più diffusa è quella di non concedere interviste. Oppure a condizione che avvenga “in diretta”. È difficile far capire che i programmi di inchiesta sono diversi dai talk show.
Nel 2013 era tra i nomi che erano usciti dal blog di Grillo per la presidenza della Repubblica. All’epoca rifiutò, dopo averci riflettuto, la candidatura. Che effetto le fa, a quasi due anni di distanza (e con molte cose cambiate), ripensare a quell’episodio? Si è sentita strumentalizzata?
All’epoca non ci ho riflettuto, semplicemente non avevo preso sul serio la cosa. Solo quando Grillo mi ha detto «fra due ore porteranno in aula il tuo nome» ho pensato che era bene fare un comunicato. Ripensandoci oggi mi sembra quello che mi sembrava allora: “uno scherzo”.