Rubrica Scienza&SaluteIl déjà vu? È un “inganno emozionale”

Il déjà vu? È un “inganno emozionale”

Più dell’80% delle persone ha sperimentato nella propria vita il fenomeno psichico del déjà vu. Praticamente tutti quindi almeno una volta abbiamo avuto la sensazione di aver già vissuto un’esperienza, visitato  un luogo, o avuto un dialogo con una determinata persona, anche se in realtà era una circostanza del tutto originale, mai vissuta prima. Nonostante l’ampia diffusione del fenomeno e il fascino che da sempre l’accompagna però, solo negli ultimi anni gli scienziati hanno cercato di dare una spiegazione scientifica al déjà vu. Secondo studi di alcuni anni fa, il déjà vu sembrava fosse dovuto a un’alterazione mnemonica. Ci sembrava quindi di aver già vissuto un determinato momento perché nel cassetto della nostra memoria, per sbaglio, era stato depositato un ricordo falso.

Uno studio dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm) del Cnr di Catanzaro e della clinica neurologica dell’università di Catanzaro, pubblicato qualche giorno fa su Cortex, spiega però che non è esatto parlare di ricordi fasulli nelle persone sane. In realtà questo è quello che si verifica nelle persone che soffrono di epilessia del lobo temporale, nel 10% dei quali alcune forme di crisi parziali semplici sono caratterizzate dal déjà vu. Nei soggetti sani però il fenomeno benché porti alle stesse sensazioni ha un’origine diversa: deriva da un “inganno emotivo”. «Entrambi riferiscono la sensazione di aver già visto o vissuto un evento – spiega a Linkiesta Angelo Labate, professore di neurologia dell’Università Magna Graecia di Catanzaro e associato all’Ibfm-Cnr, che ha diretto lo studio– ma le aree cerebrali coinvolte che determinato l’espressione cerebrale di questo fenomeno sono completamene diverse. Sono aree temporali negli epilettici, ippocampo in particolare, e l’insula che ha il compito principale di convogliare tutto le informazioni sensoriali all’interno del sistema limbico che regola l’emotività, nei soggetti normali».

Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno confrontato per la prima volta al mondo il cervello di 63 volontari affetti da epilessia del lobo temporale metà dei quali presentava il fenomeno del déjà vu, e quello di 39 controlli sani metà dei quali avevano vissuto l’esperienza del déjà vu. Entrambi i gruppi sono stati sottoposti al medesimo test di verifica per lo screening del déjà vu, a un elettroencefalogramma durante la veglia e il sonno, e a una  risonanza magnetica del cervello tradizionale e di morfologia avanzata. «Per la prima volta abbiamo condotto uno studio di risonanza magnetica avanzata negli epilettici e nei soggetti sani che hanno vissuto questa esperienza. Finora infatti non esistevano dati in letteratura perché derivati esclusivamente da studi di psicologi o psicanalisti che vedevano in questo fenomeno una forma di alterata sensorialità che aveva una forte base inconscia».

L’idea di approfondire l’origine del déjà vu, come continua a spiegare Labate, che da circa 15 anni si occupa di epilessia, nasce da uno studio pubblicato nel 2012 su Cortex. Il lavoro, condotto su volontari sani dimostrava come il meccanismo del fenomeno psichico era dovuto probabilmente a un’alterazione di un network talamo-corteccia temporale e in particolare dell’ippocampo. «Lo studio mi ha incuriosito – continua Labate – perché il network cerebrale descritto era quello dell’epilessia del lobo temporale  pertanto mi sono chiesto se erroneamente avessero analizzato soggetti epilettici e non sani.  E in realtà era davvero così».

Nei soggetti sani le aree coinvolte sono quelle dell’emozione, ed è come se si verificasse un inganno percettivo. Chi ha un déjà vu ha la sensazione di aver già vissuto quel momento perché suscita determinate emozioni vissute in precedenza. Sono le emozioni quindi che abbiamo già vissuto e non l’esperienza in sé. « Il 90% delle informazioni che ci passano davanti ogni giorno non vengono registrate dal nostro cervello coscientemente ma passano sotto la coscienza. Per questo il  déjà vu è un inganno percettivo, è una rievocazione emotiva di un fenomeno che abbiamo visto o vissuto in precedenza» afferma Labate. «È il richiamo di un ricordo che ha determinato una particolare emozione, immagazzinata nel nostro cervello sotto coscienza, che poi viene richiamata in un nuovo contesto. Noi pensiamo di aver già visto quel posto o vissuto quel momento, ma in realtà è la sensazione che abbiamo provato nel vederlo che ci richiama uno stimolo mnestico precedentemente associato. Ed è per questo che il déjà vu è così frequente nelle persone sane, altrimenti non si spiegherebbe come mai un fenomeno simile si verifichi nella quasi totalità della popolazione».

Diversa invece è l’esperienza del déjà vu nelle persone che soffrono di epilessia e in particolare del lobo temporale. In questo caso si ha davvero un’alterazione della memoria. Si ha quindi una falsa memoria nell’epilettico, e una falsa percezione nel soggetto sano. «Nei soggetti epilettici il ricordo sembra reale perché l’area coinvolta è quella della memoria, ma in realtà è falso» precisa Labate. «In questo caso si evidenziano alterazioni radiologiche localizzate nella corteccia visiva e nell’ippocampo, cioè nelle aree cerebrali deputate al riconoscimento visivo e alla memorizzazione a lungo termine. Le illusioni déjà vu sono, in realtà, manifestazioni ictali derivanti dalle scariche epilettiche all’interno del cervello. Queste aree cerebrali coinvolte sono diverse (funzionano male) nel paziente epilettico che presenta il sintomo. Ovviamente la strada è ancora lunga per dare una risposta definitiva ma nel prossimo futuro cercheremo di dare ulteriori soluzioni attraverso studi già in itinere di risonanza magnetica funzionale nella stessa popolazione».

Nonostante ci possano essere periodi in cui capiti di sperimentare il fenomeno del déjà vu più di frequente o quasi mai, nelle persone sane si verifica in modo del tutto casuale. Non sembra quindi che sia dovuto a forti emozioni, stress o altro. La scienza oggi è riuscita a spiegare che il fenomeno è legato all’emotività, ma almeno per ora, sulla sua origine molto resta ancora da studiare. 

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