Appena fuori il centro di Benevento, bandiera del Papato in terra di Borbone, c’è una sorta di Wunderkammer (camera delle meraviglie) dove volare nel sistema solare, passeggiare tra le stelle, scendere nella bocca dei vulcani, guatare nel cuore di uno scontro a fuoco: è la sala dove la SpinVector mostra ai clienti (e ai giornalisti, in questo caso) le creazioni della sua officina. SpinVector si occupa di videogiochi, ambienti immersivi e life-size games, e il suo amministratore e cofondatore, Giovanni Caturano, 43 anni, è uno dei “campioni digitali” che riuniti da Riccardo Luna spingono per mettere al passo l’Italia con le opportunità di Internet. Con lui parliamo di impresa e di come possa essere un grande, serissimo divertimento.
Tutto nasce negli anni ’90 da tre ingegneri informatici mancati. Caturano con gli altri due fondatori, Carmine Della Sala e Lorenzo Canzanella, studia all’università di Napoli. Sono gli anni della “scena demo”, una sorta di controcultura della programmazione che si ritualizza – in occasione delle fiere informatiche e degli incontri specializzati – in veri e propri happening del virtuosismo programmistico. A quei ritrovi per iniziati manca la dose di creatività che invece i tre napoletani – «tecnicamente non eravamo “nerd” ma “geek”» spiega con acribia Caturano – introdussero, cogliendo in Germania, anno 1997, il loro primo premio internazionale grazie alla demo “Claudia”, che nell’ambiente degli sviluppatori è tuttora considerato una specie di mito soprattutto per le animazioni dei personaggi e l’uso dei riflessi.
Negli anni ’90 a Napoli allora c’erano tante comunità telematiche pre-Internet di massa, era un ambiente underground che ha fatto crescere tanti talenti poi maturati in giro per il mondo
«A Napoli allora c’erano tante Bbs, comunità telematiche pre-Internet di massa, era un ambiente underground che ha fatto crescere tanti talenti poi maturati in giro per il mondo. Non sembri strano se dico che a Napoli funziona davvero come nelle grandi metropoli, come a New York, a San Francisco: nascono cose che funzionano perfettamente in quel posto e lì rimangono. Il problema è che New York o San Francisco sono al centro del mondo tecnologico perciò quello che fanno lì lo sanno tutti, a Napoli invece non va così. Ma questo è un limite che appartiene assai più all’Italia che a quella città», spiega Caturano.
Il risultato è l’addio a ingegneria, a corsi ed esami, si comincia a lavorare. Ma c’è sempre il grande limite, allora come oggi: il sistema Paese. Lo Stivale non ha mai creduto davvero alla cultura dell’innovazione, «è la vecchia sindrome della pastasciutta: perché devo provare la cucina cinese se la nostra è così buona? La tradizione non è un freno, è un valore, ma c’è purtroppo una tendenza a confondere la tradizione con la stasi». L’apparente buonsenso che uccide la creatività viene superato in un amen: i tre se ne vanno in Francia dove un gruppo di investitori mette sul piatto 2 milioni di dollari e alta tecnologia. Il risultato è “Dronez”: se ne vende un milione di copie. «Tutto in grafica real time, un nuovo sistema di illuminazione senza limiti di sorgenti di luce e animazione procedurale, la Nvidia, colosso californiano dell’informatica, che lo sceglie come benchmark… In Francia impariamo a fare azienda, a valorizzare quello che fanno gli altri anche se non è sempre quello che piace a noi. Autolimitarsi e saper delegare sono due qualità che occorre assolutamente imparare».
I tre se ne vanno in Francia dove nasce “Dronez”: se ne vende un milione di copie e la Nvidia, colosso californiano dell’informatica, lo sceglie come benchmark
Poi però a Parigi nascono delle divergenze, i soci litigano, e intanto ci sono lavori da portare avanti. Lì non si può più stare e occorre trovare subito un’alternativa. Che fare? Andare dove si conosce tutto: a casa propria. È così che nel 2002 si fa ritorno a Benevento. «La città è piccola, le distanze non sono un problema, in pochi giorni affitto e arredo gli uffici, spiccio tutte le pratiche per partire». Il contatto con la realtà italiana fa capire alcune cose decisive: per fare imprese non servono necessariamente i fondi pubblici, anzi. «Il 2006 fu l’anno in cui stavo impazzendo – ricorda Caturano – Sviluppo Italia, a quattro anni dalla domanda, ci aveva concesso un finanziamento, ma in pratica eravamo diventati dei burocrati, tra carte e procedure. Alla fine decidemmo di rinunciare e concentrarci sulla ricerca, perché solo così la nostra azienda sarebbe cresciuta: abbiamo comunque restituito tutto il prestito fino all’ultimo euro».
Decisivo è l’interessamento da parte del Gruppo Intesa-Sanpaolo che con un’operazione di Venture Capital, tramite il fondo Avm, mette due milioni di euro. Spinvector sviluppa videogiochi su qualsiasi piattaforma, dal Pc alla Playstation 3, dall’iPhone al Mac, i suoi prodotti arrivano in 152 Paesi del mondo. È un crescendo di riconoscimenti: sono un successo clamoroso “Bang!” che si porta a casa ben tre premi tra cui due targati Nokia a Samsung, “From Cheese” che vince 200mila dollari e “Party Party” 100mila, consegnati da Mr. Samsung in persona, Won-Pyo Hong, e poi l’installazione immersiva realizzata per il Museo Archeologico Virtuale di Ercolano che ricostruisce l’eruzione del 79 d.C. vista dalla prospettiva del Vesuvio, il cofondatore Della Sala definito una delle menti più brillanti della programmazione al mondo da un dirigente della Nvidia…
Sono un successo clamoroso “Bang!” che si porta a casa ben tre premi tra cui due targati Nokia a Samsung, “From Cheese” che vince 200mila dollari e “Party Party” 100mila
Ma c’è un concetto che se vuoi fare impresa devi acquisire il prima possibile: non basta avere il prodotto per avere il mercato, non è sufficiente. Spiega Caturano: «Mi capita spesso di fare attività di mentorship e nei giovani imprenditori vedo puntualmente fare lo stesso errore: sottostimare le spese e i canali di vendita. D’altra parte spesso il piccolo imprenditore già in carreggiata crede che la sua immagine virtuale o digitale non sia importante, che il business plan e la comunicazione siano chiacchiere, che l’impresa si possa condurre a sentimento, fidandosi del proprio intuito. Non è così». E soprattutto occorre maneggiare con cura una parola di cui si abusa spesso e volentieri, innescando più di un equivoco: talento. «È importante capire che il talento non è mai un metodo: se Jimi Hendrix ha imparato a suonare da solo, su una chitarra scordata e senza tre corde, non è che si possa insegnare a suonare chiudendo qualcuno in soffitta con una chitarra scordata. Il nostro problema non è cercare il singolo talento, la singola eccellenza, e campare di quello, ma alzare il livello di base, per evitare che accanto a una creatività magari forte ci siano limiti di gestione che rischiano di far affondare l’intrapresa, tipo non contemplare strumenti da incentivare moltissimo come l’e-commerce. Occorre sviluppare una competenza manageriale, che non si improvvisa».
C’è poi il problema di come formare: «Purtroppo scontiamo un pessimo sistema di formazione, costruito sui modelli di Germania o Gran Bretagna, dove c’erano le grandi industrie, mentre noi siamo la patria delle Pmi e quindi occorre un altro modo di approcciare gli studi in vista del lavoro. Né possiamo immaginare che la nostra impresa continui a essere quasi solo familiare, un’eredità da trasmettere di padre in figlio. Nulla contro, ma non può essere l’unico modello a valere. Bisogna costruire dalle fondamenta una cultura d’impresa. E questo è il momento giusto, c’è tanta gente che ci prova, che rischia. Sta finendo la logica del posto fisso e del capitalismo relazionale. L’idea che la scorciatoia possa aiutarti mi auguro tramonti quanto prima: è chiaro che per me è importantissimo oggi poter telefonare a un dirigente di Microsoft o Intel e avere ascolto in amicizia, ma questo va fino a che lavoro bene, quando non sarà più così non sarò più per loro un referente attendibile: la relazione deve basarsi sul merito, sul lavoro».
Caturano: «Sta finendo la logica del posto fisso e del capitalismo relazionale. L’idea che la scorciatoia possa aiutarti mi auguro tramonti quanto prima»
Ragionando invece più strettamente sulla imprenditoria digital, Caturano è convinto che «l’approccio ingegneristico non funziona». Il punto non è tanto «risolvere un problema» ma offrire una esperienza di uso che piaccia. Il punto non è fare un social meglio di Facebook, ma convincere un miliardo di utenti a lasciare Facebook per venire da te. «L’iPhone non deve il suo successo ai problemi che risolve, ma a come ha reso piacevole l’uso del telefono. Oggi bisogna focalizzarsi sul far sentire l’utente appagato, gratificato, soddisfatto: sono modi difficili da tabellare, da classificare, ma sono il segreto per un prodotto che sia vincente. L’immagine che userei, per un imprenditore a caccia della sua idea, è quella del labirinto: per uscirvi non serve trovare la strada ma abbattere i muri, cioè trovare percorsi non convenzionali».
«L’immagine per l’idea che deve cercare un imprenditore è il labirinto: per uscirvi non serve trovare la strada ma abbattere i muri, cioè trovare percorsi non convenzionali»
La rete dei Campioni digitali va proprio nella direzione di diffondere una nuova cultura nell’uso del web e nello sviluppo del digitale. Entro marzo si punta ad avere un referente per ogni comune italiano, 8 mila luci accese su tutta la Penisola. «Il problema gigantesco è che ci sono ancora sindaci che pensano che le Wi-Fi aperte siano pericolose, come ci sono parlamentari che si lamentano di giochi inadatti ai bambini, quando l’età media del videogiocatore italiano è 30 anni. È una mentalità da cambiare. E importante sarà arginare il sensazionalismo, spesso il complottismo, che dilaga sul web, rimpolpato attraverso i social media… Bene sta facendo Facebook a perfezionare il suo algoritmo che identifica le probabile bufale e le segnala. Internet è una cosa seria, e può seriamente determinare la crescita nel nostro Paese. Per questo ci vuole la giusta consapevolezza per gestire come entra nelle nostre vite».