I fatti li hanno raccontati i telegiornali. Nella notte tra giovedì 12 e venerdì 13 marzo a Terni un marocchino ubriaco uccideva il ventisettenne David Raggi con un collo di bottiglia. Il motivo? I fumi dell’alcool e la rabbia per essere stato allontanato da un locale. Espulso dall’Italia nel 2007, Aamine Assoul era tornato sbarcando a Lampedusa e facendo richiesta di asilo. Respinta anche questa, era in attesa dell’esito del ricorso. David Raggi, studente di medicina, ha consegnato le ultime parole da vivo ai soccorritori del 118: «Non ce la faccio ad arrivare in ospedale, dite alla mia famiglia che le voglio bene».
Tra indignazione e polemiche la vicenda scala ben presto l’agenda mediatica. Più della cronaca nera, abbondano gli ingredienti dello scontro politico: Mare Nostrum, immigrazione clandestina, sicurezza nelle città. I classici temi da campagna elettorale. E i politici cominciano a sparare col cannone, assecondati da alcuni talk show televisivi. In prima fila Matteo Salvini: «Un altro morto sulla coscienza degli amici di Mare Nostrum, per l’assassino niente galera in Italia, troppo comodo. Espulsione immediata a calci in culo nel suo Marocco dove potrà davvero marcire in una galera adatta a un verme come lui». Al leader leghista risponde, tra gli altri, Silvia Decina, capo della segreteria di Ignazio Marino: «Ma a questo schifoso non lo arresta nessuno?». E via con la guerra. Intanto i soliti talk spingono l’acceleratore sulla questione immigrazione, invitano ospiti fumantini, si collegano con le piazze urlanti e spargono sale sulle ferite.
Solita trama, si dirà. Eppure a Terni va in scena un altro film. Non ci sono sommovimenti di piazza o scatti d’ira, né la caccia all’immigrato. Ancor prima che politici e televisione comincino a sparare, la famiglia Raggi spegne ogni entusiasmo guerrafondaio. Organizza una veglia e invita al ricordo senza rancore. Il fratello e gli amici di David mettono in chiaro che il razzismo non c’entra, a uccidere il ragazzo poteva essere «un italiano o un americano». Chiedono giustizia, stanno in silenzio, magari piangono. Il dolore diventa occasione di riflessione collettiva. La famiglia di David incontra gli esponenti della comunità marocchina di Terni: abbracci e parole commosse senza retorica. Ai funerali ancora uno scambio di fiori. L’unico episodio di rabbia, un’aggressione al fratello del presunto killer, viene subito stigmatizzato dalla famiglia Raggi: «Così David ce lo ammazzano un’altra volta». Dall’Umbria lanciano un messaggio che però il circo mediatico sembra cogliere solo “di striscio”, come dimostra anche il servizio di Giorgia Domeniconi per Tv Talk.
Terni gioca d’anticipo rispetto a tv e politica. Parenti, amici e concittadini di David disarmano le strumentalizzazioni nell’aria. Lo fanno perché ci credono. Al massimo chiedono una piazza intitolata al ventisettenne. Non montano gogne, anzi rilanciano con messaggi antirazzisti. Danno senso a un delitto pazzesco. Eppure il racconto mediatico quasi se ne infischia. La chiave narrativa del clandestino che sgozza l’italiano, con rivolta popolare annessa, è troppo gustosa per essere accantonata. Lo show deve andare avanti e così la manipolazione delle notizie. La confezione finale è un teatrino di sangue e autoreferenzialità, ma per fortuna Terni è un’altra cosa.