Era la prima edizione. Qualcosa come il numero zero di un evento, Book Pride, organizzato per la prima volta ai Frigoriferi Milanesi dal 27 al 29 marzo, che puntava a proporsi come nuovo punto di incontro degli editori indipendenti e che, a poche ore dalla chiusura, sembra proprio aver ottenuto quel che sperava, o quanto meno di aver messo la prima pietra di qualcosa di importante.
«124 editori, 20mila presenze e circa 20mila libri venduti», recita l’orgoglioso comunicato stampa di fine evento
«124 editori, 20mila presenze e circa 20mila libri venduti», recita l’orgoglioso comunicato stampa di fine evento, ma la sensazione che l’esperimento sia riuscito supera l’opinione degli organizzatori, la cui opinione, come per le manifestazioni, è utile sempre relativizzare. A confermare la sensazione sono infatti gli editori, quasi tutti sorpresi dall’esito della tre giorni — in realtà una due giorni e mezzo — che ha richiamato pubblico e addetti ai lavori di un settore clamorosamente in crisi, l’editoria libraria, che, di questi tempi, aveva parecchio bisogno di qualche buona notizia alla quale aggrapparsi.
I nomi sono quelli di Marcos y Marcos, Edizioni Sur, Eleuthera, edizioni e/o, per restare a quelli che siamo riusciti a raggiungere, nomi importanti per la piccola e media editoria indipendente italiana, che formano quel gruppone di editori che stanno cercando di sopravvivere, più o meno faticosamente, a quella che sembra proprio essere la più grande crisi del settore di sempre.
Un pubblico numeroso, molto informato e nient’affatto casuale, quindi anche pronto a spendere, ma, soprattutto, un pubblico giovane
Un pubblico numeroso, molto informato e nient’affatto casuale, quindi anche pronto a spendere, ma, soprattutto, un pubblico giovane, la cui fascia più rappresentata e visibile è quella tra i venti e i trent’anni. È proprio la parola giovane quella che si sente più spesso, e con il tono più piacevolmente sorpreso, nella voce degli editori, abituati, forse quasi rassegnati ormai, a trovarsi davanti un pubblico in costante e inesorabile invecchiamento.
I più entusiasti sono quelli di Eleuthera, storica casa editrice milanese specializzata in antropologia e politica, che, anche per il fatto di giocare in casa e poter abbattere i costi di trasporto, pernottamento e stand (decisamente meno cari, come è normale che sia, del Salone del Libro o di altre fiere del settore), non nascondono l’entusiasmo dato da vendite ben oltre le aspettative, quasi comparabili, se relativizzate sui due giorni, a quelle dei cinque giorni del Salone di Torino.
Se non tutti condividono al 100% l’entusiasmo Eleuthera, tutti confermano invece la tendenza: buoni successi di vendita, ma soprattutto di un pubblico che ha superato la media abituale per interesse e gioventù.
«Già il fatto di essere riusciti a organizzare a Milano una fiera editoriale seria è una notizia buona e nient’affatto scontata»
«Già il fatto di essere riusciti a organizzare a Milano una fiera editoriale seria è una notizia buona e nient’affatto scontata» dice edizioni e/o, una delle realtà più solide tra gli indipendenti e che, grazie anche a un catalogo che vanta nomi del calibro di Massimo Carlotto ed Elena Ferrante, sta vivendo un periodo di ribalta anche internazionale. E, pur essendo più cauta dei colleghi di Eleuthera, aggiunge: «Forse non è ancora paragonabile a Più libri, più liberi di Roma, ma come prima edizione è un ottimo punto di partenza e fa ben sperare».
Oltre al successo di pubblico e all’incoraggiante dato sociologico, durante il Book Pride di Milano è successa un’altra cosa da tener d’occhio. È successo sabato, all’incirca all’ora di pranzo, quando in una sala dei Frigoriferi Milanesi dal cortazàriano nome di Axolotl, si sono dati appuntamento gli editori che formano ODEI (Osservatorio degli Editori Indipendenti) la cui battaglia a favore del pluralismo editoriale di questi tempi sta cercando di fare un passo avanti e arrivare in parlamento con una proposta di legge.
L’obiettivo dichiarato è superare la Legge Levi, quella che regola gli sconti nel mondo editoriale, una legge molto criticata, che per molti addetti ai lavori è inadeguata a salvaguardare la pluralità del settore, ma che tutti avevano difeso circa un mese fa, quando aveva rischiato di essere stralciata dal DDL Concorrenza, rischiando di riportare il settore a uno stato da Far West .
Prima la difendevano, ora la attaccano. Ma non è affatto un paradosso, perché, come spiega il presidente di ODEI, Gino Iacobelli, sentito da Linkiesta, «L’opinione degli editori indipendenti non è cambiata: la legge non ha risolto i problemi del settore, ma resta un argine di difesa, ed è per questo che l’abbiamo difesa». Ma a ogni difesa corrisponde un contrattacco quando in gioco, più che una battaglia, c’è l’intera guerra.
«Il problema riguarda una politica culturale complessiva sulla lettura che in Italia è ancora molto deficitaria»
Il contrattacco di ODEI, che sabato a Book Pride ha voluto incontrare anche i librai indipendenti, l’Associazione Italiana Editori e il pubblico, vuole essere forte e condiviso. «La legge Levi riguarda solo un aspetto del problema», continua Iacobelli, «dopo averla difesa ora dobbiamo superarla, perché il problema del mondo editoriale italiano non è solo la politica degli sconti, ma riguarda una politica culturale sulla lettura che è ancora molto deficitaria».
L’incontro e le discussioni di sabato non hanno ancora portato a una bozza ufficiale di proposta di legge che però, nelle prossime settimane, verrà ultimata in modo da poterla portare avanti, sperano, fino in parlamento; qualcosa di interessante sul tavolo già c’è. Sono 6 punti, 6 temi su cui punterà la proposta degli editori indipendenti per arrivare finalmente a una legge che possa salvaguardare l’editoria italiana nel suo complesso.
Oltre alla regolamentazione degli sconti, il cui tetto si vorrebbe equiparato a quello in vigore nella maggior parte dei paesi europei — ovvero il 5%, contro il 15% della legge Levi — le proposte degli editori indipendenti sembrano voler mirare a costruire una solida politica della lettura, che si basi su: incentivi all’acquisto di libri, non solo scolastici, grazie a detrazioni fiscali e equiparazione dell’IVA tra cartacei e digitali; istituzione di un registro di librerie di qualità da sostenere e agevolare fiscalmente; rafforzamento del fondo per la dotazione delle biblioteche, troppo spesso dimenticate dalle politiche governative; una politica di esportazione della letteratura italiana tramite il rafforzamento del fondo per i contributi agli editori stranieri che ci traducono; reintroduzione di sostegni e agevolazioni per le piccole e medie imprese editoriali.
Insomma, quello che ha lasciato Book Pride sembra un mondo dell’editoria leggermente migliore di quello che aveva trovato: un mondo un po’ più speranzoso e ottimista grazie all’attenzione di un pubblico che in molti forse davano ormai per perso, ma anche un mondo leggermente più unito. La parola “consorzio” legata ai piccoli e medi editori di qualità è ancora ben lontana dall’essere pronunciata nelle sale e nei corridoi della fiera, ma qualcuno, davanti a un caffè o durante una pausa sigaretta, inizia ad apprezzarne il suono senza mettersi a ridere come si ride delle utopie dei ragazzini.
E in mesi come questi, che potrebbero sancire la nascita del più grande colosso editoriale di sempre, quel gigante che ha già nomi spaventosi da bestiario latino come Mondazzoli (dalla fusione di Mondadori e Rizzoli libri), anche soltanto aver visto, per una volta e due giorni e mezzo, che l’unione fa la forza, potrebbe non essere stato tempo sprecato.