La guerra e l’arte dell’inganno

La guerra e l’arte dell’inganno

Fin da quando Ulisse ebbe quella pensata del cavallo di legno, la guerra è sempre stata una questione di inganni. Anche i cavalieri del Medioevo, che a volte immaginiamo come fedeli ai codici d’onore più stringenti, ascoltavano nelle canzoni di gesta una lunga serie di stratagemmi e veri e propri tradimenti, da parte di eroi come Guglielmo d’Orange, per conquistare le città e sconfiggere i nemici.

Dalle nebbie della storia e delle sue rappresentazioni ai moderni campi di battaglia, inganni, trucchi e stratagemmi hanno solo aumentato il loro ruolo. Non c’è esempio più chiaro, per illustrare il concetto, dell’evoluzione delle uniformi durante la Prima guerra mondiale. All’inizio della guerra, nell’estate del 1914, i corazzieri a cavallo erano vestiti più o meno come durante le guerre napoleoniche e la fanteria francese andò al fronte con uniformi azzurre e pantaloni rossi.

Il contrasto dei colori li rendeva ottimi bersagli per i soldati tedeschi, come dimostrarono le pesanti perdite delle prime settimane della guerra. Il rapido passaggio a uniformi meno appariscenti, se poteva dispiacere a qualche nostalgico, fu una necessità dettata dal puro buon senso.

Pittori e imbroglioni

La Prima guerra mondiale, non a caso, è il punto di partenza di A Genius for Deception (Oxford University Press, 2009), un libro recente dello scrittore Nicholas Rankin, a lungo giornalista del BBC World Service. Centrato sulla storia militare britannica, il libro mostra come l’inganno, la controinformazione, il camuffamento diventarono una parte essenziale sia del modo di condurre la guerra sul campo che delle strategie per nascondere i veri piani di attacco durante le due guerre mondiali.

Rankin racconta, ad esempio, come si arrivò a impiegare reti da pesca coperte di frasche per mascherare i cannoni di artiglieria, l’invenzione di coperture mimetiche per confondere i sottomarini che davano la caccia alle navi e come un rispettato pittore della Royal Academy di nome Solomon J. Solomon costruì – e consegnò sul campo – finti alberi di metallo come posti di osservazione per le trincee francesi. Più tardi, Solomon mise in piedi una “scuola di camuffamento” a Hyde Park (visti i diversi colleghi di Solomon che compaiono nel libro si potrebbe pensare a una storia della Prima guerra mondiale solo attraverso le storie dei pittori che aiutarono gli sforzi bellici).

Certo, parlare di inganni è una garanzia di aver a che fare con persone poco affidabili, e così incontriamo il maggiore Richard Meinertzhagen, nonostante il cognome un suddito della corona britannica. Quando incontrò Adolf Hitler nel 1934, vide il dittatore alzare il braccio teso pronunciando: « Heil Hitler!». Al che lui, un poco confuso, sollevato il braccio, ribatté con «Heil Meinertzhagen!».

Aneddoto delizioso, non fosse che fu completamente inventato da Meinertzhagen stesso. Chissà quante altre falsità sono scritte nei settantasei volumi dei suoi diari, mentre è lecito sperare che meno siano state raccolte nei suoi vari studi di ornitologia, un’altra delle sue passioni.

Meinertzhagen era uomo di dubbia moralità, come dimostrano i tre processi davanti alla corte marziale che gli costò la strage, a colpi mitragliatrice, di ventitré nativi locali in Kenya. Allora era la fine del 1905 e Meinertzhagen faceva parte dei King’s African Rifles. Di lì a qualche anno lo ritroviamo in Medio Oriente, dove raccontò di aver pensato e portato a termine in prima persona la cosiddetta “beffa dello zaino”.

In quell’episodio, il 10 ottobre del 1917, Meinertzhagen disse di essere deliberatamente finito sotto il tiro di una pattuglia dell’esercito ottomano, che allora controllava la Palestina, e di aver abbandonato di proposito il suo zaino con i piani di un attacco contro Gaza. I piani erano un falso, e il vero attacco britannico, che colse i turchi di sorpresa, fu sferrato contro Beersheva, diversi chilometri a est. Pochi anni fa, in un libro del 2007, è emerso che molto probabilmente anche quella storia è una menzogna: il piano fu in realtà pensato da un altro uomo e portato avanti da un certo Arthur Neate, quasi un mese prima.

L’operazione Mincemeat

Come che siano andate le cose, il caso più spettacolare dell’arte dell’inganno durante la Seconda guerra mondiale ha più di una somiglianza con la “beffa dello zaino”. L’operazione Mincemeat (“carne macinata”) coinvolse però le massime autorità militari tedesche, Hitler incluso, e contribuì al successo di una delle operazioni più delicate della guerra. Il piano era tutto sommato semplice: convincere i tedeschi che gli Alleati sarebbero sbarcati in forze nell’Europa meridionale in una grande operazione a tenaglia tra i Balcani e la Francia, in modo da distrarre uomini e mezzi dal luogo del vero sbarco, le coste della Sicilia.

La storia da fornire ai tedeschi era questa: la Dodicesima armata britannica in Egitto – in realtà inesistente – avrebbe dovuto attaccare la Grecia a maggio e poi, dopo aver convinto la Turchia ad entrare in guerra con gli Alleati, si sarebbe diretta a nord per attaccare alle spalle le forze tedesche in Russia. Ai primi di giugno, l’Ottava armata britannica sarebbe sbarcata nel sud della Francia, mentre gli americani si sarebbero diretti in Corsica e Sardegna.

I preparativi per l’operazione Barclay, come vennero chiamati i finti attacchi nel Mediterraneo, andarono avanti per mesi. Furono organizzati finti concentramenti di finte truppe nella Libia orientale, a simulare la Dodicesima armata. Sette aeroporti vennero forniti di finti aeroplani, mentre venne creata dal nulla una Ottava divisione corazzata munita di campi di addestramento e carri armati (anch’essi finti).

In Africa bisognava simulare i preparativi per la partenza; in Grecia invece quelli di uno sbarco imminente. Gli Alleati comprarono dracme al mercato del Cairo e mandarono in giro avvisi che cercavano ufficiali britannici a conoscenza del greco. Compirono azioni di sabotaggio con piccoli commando in Grecia, dopo di che i tedeschi mandarono una divisione corazzata di rinforzo dalla Francia. Il piano cominciava a funzionare.

Il comitato congiunto dei servizi segreti britannici, il cosiddetto Double Cross Committee, se ne uscì allora con un’idea ancora più ardita. Bisognava far cadere in mano ai servizi segreti tedeschi qualche prova tangibile che l’attenzione dei massimi comandanti alleati era rivolta alla Sardegna e alla Grecia.

La cosa migliore, pensarono al Double Cross, era far ritrovare qualche lettera e qualche documento, ma per rendere il tutto più credibile pensarono che ci volesse anche un ufficiale che li portasse con sé. Quell’ufficiale, però, non poteva essere vivo, perché sacrificarne uno per lo scopo – che avrebbe potuto svelare l’inganno, magari sotto tortura – sembrava troppo anche per i capi dello spionaggio britannico. Il luogotenente Charles Cholmondely della RAF, distaccato presso l’MI5, uno dei servizi segreti britannici, suggerì che l’ideale sarebbe stato usare un cadavere, lanciato dall’alto, per simulare un incidente aereo.

Cholmondely e Ewen Montagu, dei servizi segreti della Marina, contattarono allora un medico legale di Londra, Bentley Purchase. Serviva un morto recente, per una causa che potesse essere scambiata per annegamento (l’idea di usare un aereo era stata scartata per un più sicuro sottomarino). Il medico indicò il corpo di un 34enne morto di polmonite nel gennaio del 1943, descritto come «un po’ un buono a nulla» dal medico stesso e il cui corpo era conservato all’obitorio cittadino. Si chiamava Glyndwr Michael. Le autorità britanniche ottennero dalla famiglia il permesso per fare di Michael un servitore, per quanto postumo, della causa bellica.

Il cadavere venne vestito con un’uniforme da campo dei Royal Marines, un cappotto e un giubbotto di salvataggio. Alla cintura del cappotto venne attaccata con una catena una borsa di pelle nera, l’oggetto centrale dell’elaborato piano per sviare i tedeschi sul futuro della guerra in Europa.

I documenti all’interno della borsa identificavano l’uomo come il maggiore William Martin e includevano tre lettere. Una era firmata da lord Louis Mountbatten, comandante delle operazioni coordinate (nonché zio dell’attuale duca di Edimburgo Filippo) e conteneva un curioso accenno a “sardine” ( sardines) che l’uomo avrebbe portato con sé, un riferimento che poteva essere facilmente ricondotto alla Sardegna.

Un’altra era firmata dal generale Nye in persona, vicecomandante dell’esercito imperiale britannico, ed era diretta al generale Harold Alexander, il comandante delle truppe britanniche in Tunisia, che di lì a un mese avrebbe inflitto un pesante sconfitta ai tedeschi. Nella lettera si parlava degli imminenti attacchi in Grecia e in Sardegna e un’azione in Sicilia, si notava, non era altro che una manovra diversiva per distrarre l’attenzione dai due sbarchi principali.

Per rendere il contenuto della borsa ancora più corposo, si allegavano anche due copie di un vero libro illustrato sulle operazioni coordinate alleate tra il 1940 e il 1942, con una terza lettera (anch’essa firmata da Mountbatten) che pregava il generale Eisenhower di scrivere un’introduzione per l’edizione americana. Il tutto era arricchito dalle finte lettere del padre del “maggiore Martin”, della fidanzata Pam – con tanto di fotografia in spiaggia – scontrini di un sarto, due biglietti per il teatro, sigarette e fiammiferi, un mazzo di chiavi e tutto quanto possa comporre il plausibile contenuto delle tasche di un fedele ufficiale di Sua Maestà in viaggio per una missione importante.

Il “maggiore Martin” venne chiuso in una grande cassa d’acciaio su cui c’era scritto “Strumenti ottici”, riempita di ghiaccio secco. Dopo che la missione fu approvata da Churchill e da Eisenhower in persona, un sottomarino della marina britannica, il Seraph, salpò con il carico dalla Scozia e arrivò al largo di Huelva, sulla costa sudoccidentale spagnola, nelle prime ore del 30 aprile 1943.

Il capitano pronunciò qualche parola dal servizio funebre e il corpo venne messo in acqua verso le quattro e mezza del mattino, seguito poco dopo da un canotto di gomma.

Il corpo venne ritrovato dagli spagnoli poco dopo e una rapida autopsia dichiarò l’uomo morto per annegamento. All’ambasciata britannica di Madrid, con studiato tempismo, cominciarono ad arrivare comunicazioni urgenti da Londra che chiedevano notizie della borsa e del suo contenuto. Si mosse l’ambasciatore in persona, sir Samuel Hoare, che ne chiese la restituzione. La borsa venne riconsegnata il 13 maggio, apparentemente intatta, ma i servizi segreti tedeschi avevano già fotografato tutto quello che c’era dentro.

Dieci giorni prima, il “maggiore Martin” era stato seppellito al cimitero cattolico di Huelva, sotto una lapide che ricordava i genitori di Cardiff, in Galles, e una corona di fiori inviata da “Pam” e famiglia (ai piedi dell’iscrizione è stato aggiunto il vero nome, dopo la guerra). Ma prima di quel 13 maggio il contenuto della borsa e i piani che sembrava provare erano già arrivati a Berlino, dove vennero presentati dai servizi segreti all’ammiraglio Dönitz, al generale Keitel e a Hitler in persona.

I massimi gradi dell’esercito tedesco cascarono in pieno nel tranello dell’operazione Mincemeat e delle altre azioni portate avanti in quei mesi in Grecia e in Africa. Alcune navi furono spostate dalla Sicilia al mar Egeo, dove vennero minate tre nuove aree di mare. La prima divisione Panzer della Wehrmacht, una delle migliori dell’esercito tedesco, fu spostata dalla Francia alla Grecia a maggio e il generale Rommel fu spedito a Salonicco a luglio per prepararsi all’attesa invasione.

Questa arrivò il 10 luglio 1943, ma in diverse spiagge della Sicilia sudorientale. L’isola era già stata scelta come luogo dello sbarco nell’incontro tra Churchill e Roosevelt a Casablanca, sei mesi prima. La Sicilia fu conquistata in soli trentotto giorni invece dei novanta previsti.

L’operazione Mincemeat è uno degli stratagemmi più famosi della Seconda guerra mondiale, fin da quando uno dei suoi organizzatori, il già citato Ewen Montagu, la descrisse nel 1953 in un libro molto appropriatamente intitolato The Man Who Never Was. Molte altre operazioni simili sono rimaste probabilmente sconosciute, visto che, come nota Rankin, i servizi segreti (e i governi) sembrano molto gelose delle loro gesta anche a decenni di distanza.

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