Nessuno decide e la sanità calabrese cade a pezzi

Nessuno decide e la sanità calabrese cade a pezzi

In Calabria di sanità si muore. Parrebbe un controsenso, ma è esattamente così che stanno le cose. E mentre i reparti chiudono, gli ospedali sono al collasso e i casi di malasanità all’ordine del giorno, sono novanta giorni ormai che in Calabria manca il commissario per il piano di rientro. Un vulnus non da poco considerando che senza commissario nessun provvedimento in ambito sanitario – dalla nomina dei dirigenti delle cinque aziende sanitarie provinciali fino all’organizzazione della rete ospedaliera – può essere preso. Uno stallo che sta condannando la Calabria al precipizio, mentre la sanità resta ostaggio di clientele e interessi dei singoli.

Dal 2008 è cambiato poco (o nulla)

Nel 2008 su 39 ospedali 36 erano irregolari, delle 63 strutture sanitarie (guardie mediche, laboratori di analisi, case di cura convenzionate, S.E.R.T., poliambulatori) erano irregolari 38. 

Per capire di cosa stiamo parlando bisogna partire da principio. Era il 14 aprile 2008 quando la commissione ministeriale cosiddetta “Serra-Riccio” presentò alle Camere una relazione “sulla qualità dell’assistenza prestata dal servizio sanitario della regione Calabria”. Il quadro che emergeva era a dir poco desolante: «La ‘metodologia’ del disservizio – si legge nella relazione – risulta essere l’aspetto prevalente del sistema sanitario in Calabria, mostrando sempre le stesse caratteristiche di un sistema caratterizzato da debolezza strutturale in una micidiale combinazione tra governo regionale che non riesce a imporre scelte di rinnovamento, governo aziendale troppo spesso senza capacità di gestione, degrado e inadeguatezza strutturale dei presidi sanitari, disorganizzazione amministrativa e gestionale, comportamenti professionali non adeguati, che a volte può risultare fatale, e che pregiudica le esigenze assistenziali». Non solo: la relazione evidenziava anche che su 39 ospedali 36 erano irregolari, sulle 63 strutture sanitarie (guardie mediche, laboratori di analisi, case di cura convenzionate, S.E.R.T., poliambulatori) erano irregolari 38. Insomma, un disastro. Tanto che il governo fu costretto, appunto, a nominare un commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal debito sanitario. Fu scelto, come voleva la prassi, il governatore della Regione, allora Giuseppe Scopelliti, rimasto in carica fino all’aprile scorso quando, a causa di una condanna per abuso d’ufficio a sei anni, si è dovuto dimettere da presidente di giunta. E già allora la nomina del successore di Scopelliti destò non pochi problemi: soltanto il 19 settembre 2014 (cinque mesi dopo dunque) il consiglio dei ministri deliberò che il sub-commissario Luciano Pezzi (ex generale della Guardia di Finanza) prendesse il posto di Scopelliti, almeno fino alle elezioni regionali che si sono tenute lo scorso 23 novembre.

Renzi contro Oliverio

Arriviamo, così, ai giorni nostri senza che però la situazione sia cambiata di una sola virgola: nonostante, come detto, Mario Oliverio sia il nuovo presidente della Calabria, ancora nessuna nomina è stata fatta. Si va avanti a suon di rinvii. L’ultimo? Pare che il ministro Lorenzin non sia riuscito a mettersi in contatto telefonico con Oliverio. Sarebbe bastato questo per impedire la nomina del nuovo commissario.

Che la tesi sia assolutamente poco credibile lo rivela il fatto che, come detto, sono ormai novanta giorni che governo nazionale e regionale avrebbero dovuto tirare le somme. Quali, allora, le reali motivazioni che si nascondono dietro questo spaventoso ritardo? Parliamo, manco a dirlo, di ragioni politiche. Partiamo da un dato: Mario Oliverio non è mai stato renziano. Sembrava, però, che i due si fossero in qualche modo avvicinati, piaciuti, dopo l’elezione di u’ lupu (questo il soprannome di Oliverio) a governatore. Ma, come si suol dire, altro non è stato che un fuoco di paglia. A irritare Matteo Renzi è stata la mancata nomina ad assessore di Maria Carmela Lanzetta, dopo le dimissioni (più o meno imposte) da ministro agli Affari Regionali. Ecco allora che il giro pian piano si allarga: l’ex “ministro-fantasma” del governo Renzi, infatti, avrebbe dovuto trovare un posto nella giunta di Oliverio. Questo perlomeno era il piano del premier, sfumato miseramente a causa dell’insistenza del governatore su un altro nome, quello di Antonino De Gaetano, attuale assessore – appunto – della giunta regionale con delega ai Lavori Pubblici. Domanda: perché al nome di De Gaetano la Lanzetta ha deciso di fare un passo indietro, scatenando l’ira di Renzi contro Oliverio? Semplice: il nome di De Gaetano è finito tra le carte dell’operazione antimafia “Il Padrino” che ha colpito le cosche calabresi Tegano e De Stefano lo scorso dicembre. La presenza di De Gaetano (comunque non indagato) non sarebbe andata giù a Lanzetta, che da ex sindaco di Monasterace si trovò a vivere sotto scorta proprio per le sue denunce contro le cosche.

Assunzioni? Solo – guardacaso – quando si vota

La guerra tra Renzi e Oliverio sta condannando la Calabria a vivere senza una sanità operativa

Risiederebbe qui, dunque, il motivo della partita di nervi tra Renzi e Oliverio. Una partita, però, che sta condannando la Calabria a vivere, in pratica, senza una sanità operativa. Senza la presenza di un commissario, la sanità diventa spesso terreno di clientele e interessi che poco hanno a che fare con la cura e la salute dei cittadini. Un esempio su tutti. Secondo quanto denunciato in un’interrogazione dalla parlamentare del Movimento cinque stelle Dalila Nesci (una delle più attive a riguardo, tanto da creare anche un punto d’ascolto per raccogliere le denunce dei cittadini calabresi sul malfunzionamento della sanità), proprio a ridosso delle elezioni sarebbero stati assunti, come lavoratori socialmente utili, 133 calabresi dall’aziendasanitaria di Cosenza. Bene, si dirà, vista la pesante carenza di personale nelle strutture ospedaliere. E invece no, dato che tra gli assunti spuntano nomi di persone legate a questo o a quel politico. In perfetta dinamica bipartisan: da Carlo Guccione, attuale assessore della giunta Oliverio, ai fratelli Pino e Antonio Gentile, entrambi alfaniani, il primo vicepresidente del consiglio regionale, il secondo senatore. Ma, a quanto pare, in regione è così che vanno le cose: la procura di Reggio, come se non bastasse, sta indagando su un ente in house, “Calabria Etica” (partecipata che si occupa essenzialmente di welfare e politiche sociali) a causa – manco a dirlo – di alcune assunzioni sospette (sarebbero circa 700 in totale) disposte durante e subito dopo le ultime elezioni regionali.

“Tengo famiglia”

D’altronde, non è la prima volta che l’assenza di un commissario lascia spazio agli interessi familistici. Prima che Oliverio diventasse presidente, a capo della giunta regionale c’era la facente funzione (in sostituzione di Scopelliti) Antonella Stasi. Ebbene, secondo la denuncia di diversi parlamentari, grazie alla vicinanza della presidente al ministro Lorenzin (entrambi del Nuovo Centrodestra), era stato inserito in un decreto del governo Renzi una norma che permetteva alle regioni di concedere autorizzazioni e concessioni alle strutture sanitarie private senza più la verifica di compatibilità. In pratica, ogni struttura privata avrebbe potuto ricevere fondi pubblici anche se, per dire, i numeri di posti letto in un determinato reparto erano già sufficienti. Sarà solo un caso, ma proprio il marito della Stasi, Massimo Marrelli, in quel preciso periodo stava aprendo a Cosenza una clinica oncologica. Alla fine il codicillo è saltato grazie all’opposizione di Pd e M5S che hanno reintegrato la norma della verifica di compatibilità regionale. Insomma, quello che emerge è che in Calabria si fa un po’ come si vuole in assenza del commissario. Una situazione di comodo, forse, che accontenta tutti.

Ospedali alla deriva

All’ospedale Annunziata di Cosenza ci sono 350 medici su 622 previsti, gli infermieri sono 580, 265 in meno rispetto a quelli previsti); gli operatori sanitari 110, invece che 318

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: se in Calabria è praticamente impossibile prendere provvedimenti, in che stato vive la sanità? Per rispondere alla domanda partiamo da un episodio. Siamo a Cosenza e, più precisamente, all’ospedale “Annunziata”. Un ospedale di un’importanza fondamentale, avendo un potenziale bacino di utenza di oltre 700 mila abitanti. Pochi giorni fa tre medici sono stati colti da forti malori: due da infarto e uno da ictus. Il motivo? Turni lavorativi troppo stressanti, conseguenza di un organico evidentemente sottodimensionato. Riportiamo alcuni dati per capire di cosa stiamo parlando: su 40 unità operative, 16 sono affidate, anche qui, a facenti funzione; i medici presenti sono circa 350 su 622 previsti; gli infermieri 580 (265 in meno rispetto a quelli previsti); gli operatori sanitari 110 su 318 previsti. A pagare gli effetti di un simile stato dell’arte, ovviamente, sono i cittadini. Le liste d’attesa per interventi di chirurgia semplice, ad esempio, si allungano di giorno in giorno. Per un’operazione all’ernia bisogna attendere oltre un anno. Un intervento alla colecisti, che andrebbe effettuato entro poche settimane per evitare  sgradevoli complicazioni, lo si riesce a fissare in cinque o sei mesi. Tutto questo, nella migliore delle ipotesi. Perché spesso, vista la situazione al collasso, si può rimettere anche la propria vita. Secondo gli ultimi dati pubblicati a inizio anno dal CoDiCi (Centro per i Diritti del Cittadino), la Calabria risulta essere al primo posto con l’81% nella classifica delle denunce per decessi imputabili a presunti errori medici o allo stato delle strutture ospedaliere. Eppure, nonostante tali dati, i reparti continuano a chiudere. L’ultimo in ordine di tempo la Pediatria a Lamezia Terme: ora donne gravide e neonati devono recarsi a Catanzaro. Anche qui però la situazione è al collasso. Prendiamo, ad esempio, il Pronto Soccorso del capoluogo di regione: a fronte di oltre duecento accessi medi a notte, sono solitamente operativi due medici e quattro infermieri.

«Bisogna assumere altri dipendenti, prima che sia troppo tardi», dicono in tanti. Fiato sprecato, almeno finché non verrà nominato il nuovo commissario. E così, in questo stato desolante, può capitare anche l’incredibile. Come denunciato in un’interrogazione parlamentare ancora da Dalila Nesci (per ora senza risposta da parte del governo) all’ospedale di Crotone una signora di quasi 90 anni ha vagato nella struttura per ben dieci giorni, dormendo su barelle o sedie, in attesa di ricevere assistenza. Un’attesa vana, non essendo mai arrivata, nonostante nei suoi giorni di vagabondaggio tra i reparti di medicina d’urgenza, sia anche caduta riportando un trauma ad un occhio. Intanto il commissario è ancora invisibile. La palla torna ora in mano a Renzi. Nella speranza che i dissidi, tutti interni al Pd, non pregiudichino la sanità calabrese. Ormai allo sbando.