È giusto dire “vado a docciarmi”? Risponde la Crusca

È giusto dire “vado a docciarmi”? Risponde la Crusca

È giusto dire “vado a docciarmi” anziché “vado a farmi una doccia”? L’espressione è sempre più diffusa, ma non si trovano tracce nei giornali. Difficile dire se attecchirà, ma secondo l’Accademia della Crusca non si tratta solo di una moda. 

Si dice “vado a docciarmi”?

Risponde la Crusca Se una parola come docciarsi risulta alle orecchie di molti impronunciabile, o quanto meno inusuale, non si può comunque ignorare una sua consistente diffusione, soprattutto in tempi recenti.

Creare verbi della prima classe a partire da sostantivi, senza ricorrere alla suffissazione, è un procedimento comunissimo in ogni fase di evoluzione della nostra lingua, come ha chiarito Raffaella Setti nel suo approfondimento Appuntamentare , efficientare, scadenzare, bloggare, googlare, postare… ma quanti nuovi verbi in –are! . Probabilmente anche per influsso dell’inglese, che forma verbi denominali con grande facilità, si è affermata la tendenza a cercare forme sintetiche per sostituire locuzioni verbali analitiche, come, nel nostro caso, fare (o farsi) la doccia.

Docciarsi tuttavia, al contrario di quanto si può credere, non è affatto una parola nuova. La voce, registrata su tutti i dizionari, è considerata riflessiva di docciare, forma letteraria col significato di ‘sottoporre a una doccia, far cadere un liquido come una doccia’ (GRADIT). Lo ZINGARELLI 2014 lo registra come raro; il GDLI, curato da Salvatore Battaglia, riporta solo esempi d’autore molto antichi (come Annibal Caro, scrittore cinquecentesco) e sempre nell’accezione specifica di ‘sottoporsi a docce curative’.

Il termine quindi, attestato già molti secoli fa, ha avuto in passato una diffusione molto limitata e mai popolare, tanto che parte della lessicografia lo etichetta come non comune e molti parlanti di oggi lo considerano errato. Ciò è confermato dai giornali, nei quali le occorrenze del verbo docciarsi sono quasi assenti: non si contano risultati nell’archivio del “Corriere della Sera”, soltanto due in quello della “Repubblica” (mentre docciare ha riconquistato una certa popolarità con le docce gelate dello scorso agosto).

È difficile in questi casi stabilire se un neologismo riuscirà o meno ad attecchire. Ma la diffusione è abbastanza significativa da fare pensare che non si tratti solo di una moda

Nuovo slancio è arrivato però dal web, che, come si sa, è terreno fertile per le sperimentazioni linguistiche, perché libero da norme grammaticali e imposizioni stilistiche; in particolare, attraverso luoghi virtuali quali blog, forum, chat, è possibile comunicare con i propri pari e senza arbitri esterni in un linguaggio informale, colorito, creativo, aperto a contaminazioni e parole nuove.

Se utilizziamo il motore di ricerca Google ci accorgiamo che, sebbene le forme analitiche siano decisamente maggioritarie, questa variante possieda comunque una discreta diffusione: mi doccio ottiene infatti 6.030 risultati, ai quali si sommano i 3170 di vado a docciarmi e i 326 di mi vado a docciare (dati del 28/03/2015).

È chiaro che nessuna di queste attestazioni è collegata con un filo diretto a quelle cinquecentesche, tanto più che la doccia come la intendiamo oggi è un’acquisizione relativamente recente. La parola quindi nasce ed è sentita come neologismo e come tale è sottoposta a una certa resistenza in ambiti esterni alla rete.

Alcuni timidi riscontri tuttavia arrivano dal mondo dell’editoria: consultando Google Libri relativamente a mi doccio si ottiene come risultato 21 pubblicazioni, 6 quelle che contengono vado a docciarmi, 2 per mi vado a docciare. L’uso è certamente marginale, se si tiene conto che le forme perifrastiche ottengono invece migliaia di occorrenze; tuttavia potrebbe essere testimonianza di una progressiva apertura, considerando che una larga fetta delle attestazioni risale agli ultimissimi anni. Non solo: questi risultati possono essere significativi per constatare come il verbo non sia utilizzato soltanto a scopi ludici, ma venga scelto da chi scrive probabilmente come riflesso di un linguaggio più vicino alla realtà, all’oralità.

È difficile in questi casi stabilire se un neologismo riuscirà o meno ad attecchire solidamente nella nostra lingua; docciarsi ha però dalla sua il vantaggio di non essere una parola estranea alla tradizione e la sua diffusione, anche se ancora limitata alla rete, è probabilmente ormai abbastanza significativa da far pensare che non si tratti soltanto di una moda passeggera.

A cura di Irene Pompeo
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

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