I Calexico sono sempre i Calexico

I Calexico sono sempre i Calexico

Se non avete mai ascoltato i Calexico provate a immaginare alla colonna sonora perfetta per un viaggio in macchina tra la California, il Messico, il deserto del Sud, un on the road per strade polverose, invase dalla sabbia gialla del deserto, puntellate da benzinai ogni 50 miglia. La ricetta dei Calexico, fondati da Joey Burns e John Convertino a metà degli anni Novanta, si basa su un gran mix di country, rock, folk, western, mariachi e jazz, una ricetta a cui si sta aggiungendo da qualche anno anche un tocco di pop.

C’è chi, dopo aver ascoltato Edge of the Sun, il nuovo disco dei Calexico uscito il 14 aprile, ha scritto che non sembra un disco dei Calexico, che sembra quasi che siano stati altri ad arrangiare, suonare e cantare le dodici tracce che compongono l’album — senza contare le altre sei lo completano nella versione Deluxe — e hanno sia ragione che torto.

Hanno ragione per un fatto abbastanza banale: il gruppo di Tucson capeggiato da Joey Burns e John Convertino — che si avvicina i 20 anni di attività ed arriva con questo all’ottavo album in studio — proseguendo una tendenza non certo nuova per loro, si è fatto aiutare, nella composizione e nella registrazione, dalla collaborazione di altri artisti, dalla cantante statunitense Neko Case, da Ben Bridwell dei Band Of Horses, Sam Beam ovvero Iron & Wine, Nick Urata, Carla Morrison, Gabry Moreno, Amparo Sanchez, e anche un paio di membri dei greci Takim.

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Edge of the Sun potrebbe sorprendere chi i Calexico li amava quando sapevano più della sabbia gialla del deserto da dove sono venuti

A contatto con questi reagenti, Edge of the Sun non poteva non prendere una forma particolare. E infatti, lo fa, ed è una forma che in effetti potrebbe sorprendere chi i Calexico li amava quando sapevano più della sabbia gialla del deserto da dove sono venuti. Canzoni come Falling From The Sky, cantata insieme a Ben Bridwell su un registro decisamente poppeggiante, o come When The Angels Played, in cui qualcuno ci ha giustamente sentito più di una eco del folk dylaniano. O ancora, il lento Woodshed Waltz, o la frizzante Moon Never Rises, con un levare giamaicano. Esempi di qualcosa che non è esattamente Calexico, ma che in qualche modo lo è.

C’è anche l’altra faccia della medaglia, e quelli che dopo aver ascoltato questo Edge of the Sun hanno pensato di aver sbagliato disco hanno anche le loro parti di torto. Perché i Calexico sono sempre i Calexico, amanti delle contaminazioni, abilissimi musicisti, grandissimi narratori di storie di frontiera — non solo del sud degli States — un gruppo che pare sempre in bilico tra due mondi, un po’ come la cittadina da cui hanno preso il nome, quella Calexico nata dalla crasi della California e del Messico.

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I Calexico, come le strade infinite che tagliano il deserto americano, sono simili a sé stessi, anche se non tornano mai sui propri passi.

Calexico, cittadina di frontiera, un nome che in questo album, nato proprio intorno a un viaggio a Mexico City da parte Burns e Convertino — nella zona di Coyoacán, che dà il titolo al brano più “calexico” dell’album, un gran pezzo strumentale — trova per l’ennesima volta giustificazione nell’atteggiamento della band, che continua a percorrere una strada che, come quelle infinite che tagliano il deserto americano, è sempre simile a se stessa, anche se non torna mai sui propri passi.

Questa volta il paesaggio intorno è leggermente cambiato, e si sente l’effetto lungo di una certa virata verso sonorità un po’ più pop già intrapreso nell’ultimo Algiers. Anche se dobbiamo ammetterlo, Algiers è molto più bello e questi non sono i Calexico più in forma e ispirati di sempre, ma non è necessario che sia per forza un problema.

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