Non solo hanno fatto carriera dopo il 2001, diversi dirigenti che furono responsabili dell’ordine pubblico durante il G8 di Genova hanno formato in questi quattordici anni le nuove leve delle forze dell’ordine in Italia. Insegnano e hanno insegnato all’Istituto Superiore di Polizia, la fucina delle cariche più alte, tramandando le loro conoscenze, anche se condannati per falso dalla giustizia italiana e soprattutto dopo che la Corte di Strasburgo il 7 aprile scorso ha parlato di «tortura» per i fatti della scuola Diaz del 21 luglio del 2001.
Bisogna riavvolgere la pellicola e tornare a quella notte per raccontare l’ennesimo imbarazzo per le nostre forze dell’ordine. È appena finita l’irruzione da parte del VII nucleo della polizia, il reparto delle forze dell’ordine recentemente tornato al centro delle polemiche dopo le dichiarazioni dell’agente Fabio Tortosa. Mentre le ambulanze portano via i feriti, tra sangue e urla, alla Diaz si materializza Roberto Sgalla, all’epoca responsabile dell’Ufficio Relazioni Esterne della Polizia di Stato. Sgalla che non è mai stato indagato per i fatti di Genova, e’ stato direttore della Scuola Superiore di Polizia fino al 2014 e tiene ancora corsi di aggiornamento. Fu lui a tenere la famosa conferenza stampa alle 2 di notte dove, chiedendo ai giornalisti di spegnere le telecamere, ma comunque ripreso da un operatore, racconterà le prime falsità su quanto accaduto all’istituto Pertini.
«Siamo entrati, abbiamo fatto una perquisizione, abbiamo fermato dei ragazzi. [. . . ] Sicuramente abbiamo trovato tutte le divise dei neri, divise intere… cioè le camicie, le maglie, i pantaloni e i passamontagna»
Carlo Gubitosa ha ricostruito quegli istanti nel libro «Genova, Nome per nome».A inviare Sgalla sul posto fu il questore Francesco Colucci su indicazioni dell’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro. «Sgalla» scrive Gubitosa «dopo aver chiesto lo spegnimento delle telecamere puntate su di lui, spiega che “se volete ascoltare ascoltate, però senza riprendere” e in seguito racconta alle persone presenti che “prima abbiamo avuto una segnalazione, che dentro c’erano dei ‘black bloc’. Secondo: delle volanti stasera, passando qui per un normale controllo del territorio sono state oggetto di lanci di porfido, quadretti di porfido che abbiamo trovato lì dentro. [. . . ] Siamo entrati, abbiamo fatto una perquisizione, abbiamo fermato dei ragazzi. [. . . ] Sicuramente abbiamo trovato tutte le divise dei neri, divise intere… cioè le camicie, le maglie, i pantaloni e i passamontagna”». Sono le prime bugie, a cui la stessa Corte di Strasburgo dedica un passaggio nella sentenza del 7 aprile senza citare l’allora portavoce.
Sgalla ne dirà molte altre di bugie quella notte. Come a “RaiNews 24” alle 2:17 del 22 luglio, quando parlerà in questo modo: «Abbiamo sequestrato molotov, una mazza, spranghe di piombo, molti coltelli, altri oggetti contundenti e anche droga. Abbiamo sequestrato anche divise presumibilmente appartenenti al gruppo di black bloc, quindi pantaloni, magliette nere, passamontagna, bandiere… del materiale cartaceo che potrebbero sembrare dei piani di attacco». Ma ne dirà pure il giorno dopo, quando presenterà ai giornalisti stranieri l’arsenale e le famose molotov, poi rivelatesi false durante il processo. Ora Sgalla dirige la scuola di polizia, vi è arrivato nel 2014. Se si cerca il suo curriculum in rete si possono trovare peana entusiasti sulla sua folgorante carriera. Il migliore è quello di Asaps, portale di sicurezza stradale. «Del dr. Sgalla ricordiamo con piacere i trascorsi presso il Caps di Cesena e poi come direttore dell’Ufficio Relazioni Esterne della Polizia di Stato in un’epoca in cui la comunicazione delle “gesta” del Corpo aveva assunto tonalità irripetibili».
Caldarozzi è stato spesso in cattedra alla Scuola Superiore di Polizia. Se lo ricordano bene gli studenti. In particolare ricordano le sue sigarette, fumate con disinvoltura di fronte ai novelli commissari anche se in un luogo pubblico
Ma se Sgalla non ha mai avuto indagini a suo carico, anche se è stato al centro delle indagini su Gianni De Gennaro proprio perché fu inviato lì quella maledetta notte, di diverso tenore è la situazione di Giuseppe Caldarozzi, nel 2001 vice direttore del Servizio centrale operativo (Sco) di polizia, poi promosso direttore mesi dopo, condannato a 3 anni e 8 mesi per i fatti del G8, ma comunque chiamato come consulente di Finmeccanica nemmeno quattro mesi fa. Ebbene Caldarozzi è stato spesso in cattedra alla Scuola Superiore di Polizia, in particolare al corso biennale per commisari. Se lo ricordano bene gli studenti. In particolare ricordano le sue sigarette, fumate con disinvoltura di fronte ai novelli commissari anche se in un luogo pubblico. «Mica dà fastidio, tanto me ne fotto e fumo lo stesso», ripete spesso durante le lezioni di polizia giudiziaria. E in quanto a insegnami e formazione, anche accademica, impareggiabile è la situazione di Francesco Gratteri, che all’epoca era un grado superiore a Caldarozzi. Oltre a tenere anche lui cattedra alla scuola di polizia, negli anni ha stipulato accordi con le università, in particolare quella de L’Aquila nel 2011: il giornalista di Repubblica Marco Preve gli ha dedicato uno spazio apposito nel libro «Il partito della Polizia». Anche Gratteri è stato condannato in via definitiva per la “macelleria” di Genova, ma ha comunque mantenuto il suo standing istituzionale, tanto da tenere anche corsi di intelligence in Master universitari. Pier Paolo Pasolini, che scriveva che «può educare solo chi sa cosa significa amare», forse, non avrebbe apprezzato.