«La spending review varrà lo 0,6% del Pil, più o meno 10 miliardi, anche se pensiamo ci sia un margine migliore, uno spazio per tagliare per 20 miliardi». È una delle frasi chiave della conferenza stampa con cui il premier Matteo Renzi, accompagnato dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha presentato l’esame preliminare del Documento di economia e finanza (Def), che sarà approvato nel Cdm di venerdì mattina. Le clausole di salvaguardia, ha detto il premier, «saranno disinnescate in parte con la spending review e in parte con i benefici della crescita». In caso di mancata copertura della spesa sono previsti aumenti dell’Iva e delle accise per 16 miliardi nel 2016 e per 23 miliardi nel 2017.
Le cifre date sulla crescita da parte del governo sono lievitate, nonostante Renzi e Padoan abbiano voluto descriverle come “prudenti”
I “benefici della crescita” si avranno, secondo il governo, perché «l’affacciarsi della crescita dopo tre anni di recessione e la realizzazione di riforme lungamente attese consentono di impostare un ciclo della fiducia: il circolo virtuoso che fa risalire la domanda e insieme alla revisione della spesa crea spazio per la riduzione delle tasse e la ripresa degli investimenti pubblici; il risultato sarà un ritmo di crescita più elevato nel 2016 e 2017, il rafforzamento dell’occupazione e quindi della fiducia».
Tutte le cifre sono da prendere con le molle perché dal 2008 le previsioni sul Pil sono sempre state superiori alla realtà, di ben 14 punti in totale
Le cifre date sulla crescita da parte del governo sono lievitate, nonostante Renzi e Padoan abbiano voluto descriverle come “prudenti”. Nell’autunno 2014 si stimava per il 2016 una crescita del Pil dell’1%, mentre ora si è passati a un più ottimistico +1,4 per cento. In salita anche le previsioni per il 2017, da un +1,3% a un +1,5%, mentre per il 2018 è confermata la previsione di crescita dell’1,4 per cento. Tutte cifre da prendere con le molle perché, come ricordato dal Corriere della Sera, dal 2008 le previsioni sul Pil sono sempre state superiori alla realtà, di ben 14 punti in totale. Per il 2015 vengono confermate le cifre già comunicate: crescita del Pil dello 0,7% e rapporto deficit/Pil al 2,6 per cento.
A differenza di quanto emerso da indiscrezioni della vigilia, il governo ha voluto mantenere una previsione di rapporto deficit/Pil per il 2016 all’1,8%, senza chiedere di sforare rispetto agli impegni presi con la Ue, ossia le previsioni del fiscal compact. Secondo anticipazioni di stampa, il governo avrebbe voluto chiedere di arrivare al 2% e di rinviare il pareggio per il deficit strutturale al 2018. Nelle cifre diffuse dal Mef questo dovrebbe invece arrivare nel 2017. Il rapporto deficit/Pil secondo Palazzo Chigi scenderà allo 0,8% nel 2017 e a zero nel 2018 (per tutti i dettagli si veda la tabella in fondo).
«Il quadro tendenziale aggiornato consentirebbe di raggiungere il pareggio di bilancio strutturale già nel 2016, tuttavia il Governo ha ritenuto opportuno confermare al 2017 il conseguimento di tale obiettivo così da conferire una natura espansiva alla programmazione per il 2016», recita la nota di Palazzo Chigi. «Per il 2016, infatti – continua la nota – il governo si impegna a cancellare l’aumento delle tasse contemplato dalle clausole di salvaguardia, per un valore corrispondente a 1 punto di Pil. Questo intervento viene effettuato grazie ai risparmi della revisione della spesa e al beneficio che si registra grazie alla crescita maggiore e alla spesa per interessi sul debito inferiore rispetto alle previsioni precedenti».
Rimane però un grande punto interrogativo su come sarà tagliata la spesa: dei 10 miliardi da tagliare si hanno indicazioni solo su tre miliardi
Rimane però un grande punto interrogativo su come sarà tagliata la spesa. «Non ci saranno tagli alle prestazioni per i cittadini ma c’è bisogno che la macchina pubblica dimagrisca un po’ e se i sacrifici li fanno i politici o salta qualche poltrona nei cda male non fa», ha detto Renzi. Sulle proteste dei comuni, a partire dal sindaco di Torino, Piero Fassino, per i tagli prospettati il premier ha messo le mani avanti. «Incontriamo prima di venerdì i Comuni e se serve anche le Regioni ma ribadisco che non ci sono tagli per il 2015 ma che nel 2016, 2017, 2018 continui la revisione della spesa è un fatto banale», ha detto Renzi.
Per raggiungere gli obiettivi di bilancio, ha detto Padoan, le privatizzazioni frutteranno «in 4 anni 1,7-1,8 punti di Pil
La spending review, come anticipato nei giorni scorsi sulla stampa, dovrebbe vertere su otto punti: tagli agli enti locali, a cui sarà chiesto il pareggio di bilancio, l’applicazione dei costi standard e la pubblicazione online degli indici di performance. Sono poi previsti tagli relativi alle municipalizzate, in particolare per i trasporti pubblici locali e sul fronte dei rifiuti. La lista dei possibili tagli prevede la riorganizzazione delle prefetture e l’intervento sui 10mila capitoli di spesa dello Stato centrale. E ancora: la creazione di unità indipendenti di valutazione degli investimenti pubblici, al fine di ridurre i costi; la stretta, tutta da definire, sulle pensioni di invalidità; un nuovo modello di assistenza che ottimizzi il coordinamento tra Inps, i Comuni e le Asl. Gli ultimi punti sono una centrale degli acquisti per i beni della Pa, la razionalizzazione delle detrazioni fiscali, la ricognizione degli incentivi alle imprese. Cosa di questo si tradurrà in realtà? Per il momento sono stati dati per certi (dal professore della Bocconi Roberto Perotti, incaricato da Renzi di occuparsi della spesa pubblica) solo tre miliardi di tagli sugli ultimi due capitoli: detrazioni fiscali incentivi alle imprese.
Per raggiungere gli obiettivi di bilancio, ha aggiunto Padoan in conferenza stampa, le privatizzazioni frutteranno «in 4 anni 1,7-1,8 punti di Pil. Ora ci stiamo concentrando su Enel e Poste, ma ci sono anche altre voci come Ferrovie ed Enav. I tempi sono dominati dall’andamento dei mercati e dal tentativo di valorizzare al meglio le aziende di proprietà dello Stato».
Il debito pubblico si attesterà nel 2015 al 132,5% del Pil, scendendo nel 2016 al 130,9%, fino al 123,4% del 2018. Ha sottolineato Padoan: «Nel 2018 la regola del debito sarà pienamente soddisfatta, l’incubo della montagna del debito che può attivare la ghigliottina delle regole sarà finalmente finito». Padoan ha definito «semplicemente falso» il grande “tam tam” sulla stampa su un aumento delle tasse.
Il premier ha voluto polemizzare con l’Istat, che ha conteggiato il bonus degli 80 euro come aumento della spesa e non come un taglio delle tasse
«Non ci sono tagli e non c’è un aumento delle tasse. Le tasse non aumenteranno, un’eventuale riduzione ci sarà nella legge di stabilità per il 2016, se saremo in condizione», ha detto Renzi. Il premier ha voluto polemizzare con l’Istat, che ha conteggiato il bonus degli 80 euro come aumento della spesa e non come un taglio delle tasse. «Da quando siamo al governo l’operazione costante è di riduzione delle tasse. Abbiamo cominciato con gli 80 euro. Le statistiche di autorevoli istituti dicono che è stato un aumento di tasse, perché vengono considerate delle prestazioni sociali e non riduzioni dell’Irpef. Chi sta a casa sa però che le tasse sono diminuite».
PIL (variazione su anno precedente) |
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
Stime aprile 2015 |
+0,7% |
+1,4% |
+1,5% |
+1,4% |
Stime autunno 2014 |
+0,6% |
+1,0% |
+1,3% |
+1,4% |
QUADRO PROGRAMMATICO |
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
DEFICIT NOMINALE / PIL |
-2,6% |
-1,8% |
-0,8% |
0 |
DEFICIT STRUTTURALE / PIL |
-0,5% |
-0,4% |
0 |
0 |
DEBITO PUBBLICO / PIL |
132,5% |
130,9% |
127,4% |
123,4% |
QUADRO TENDENZIALE AGGIORNATO |
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
DEFICIT NOMINALE / PIL |
-2,5% |
-1,4% |
-0,2% |
+0,5% |
DEFICIT STRUTTURALE / PIL |
-0,5% |
0 |
+0,5% |
+0,8% |
DEBITO PUBBLICO / PIL |
132,4% |
130,3% |
127,2% |
123,7% |
QUADRO PROGRAMMATICO |
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
DEFICIT NOMINALE / PIL |
-2,9%* |
-1,8% |
-0,8% |
-0,2 |
DEFICIT STRUTTURALE / PIL |
-0,6%* |
-0,4% |
0 |
0 |
DEBITO PUBBLICO / PIL |
133,4% |
131,9% |
128,6% |
124,6% |
(*): Il rapporto deficit/PIL per il 2015 è stato corretto a 2,6% con la legge di stabilità 2015.