“The Magic Whip”: il ritorno dei Blur, che si vogliono bene

“The Magic Whip”: il ritorno dei Blur, che si vogliono bene

C’è una regola non detta e generalmente anche poco applicata che vuole che quando una lunga storia d’amore finisce la cosa peggiore da fare sia riprovarci. Se qualcosa non è andata bene, di solito, c’è un motivo bello grande, uno di quelli che il tempo ha creato, e che quindi il tempo non può ricucire.

È una grande regola non detta anche per le grandi band, che, come le storie d’amore, funzionano quando tra i partecipanti c’è un feeling totale e una compenetrazione perfetta. E infatti, anche per le band, quando con il tempo qualcosa si rompe, la cosa migliore da fare sarebbe prenderne atto, salvaguardare la memoria di tutti i momenti fantastici vissuti insieme, e andare avanti ognuno per la propria strada.

The Magic Whip sembrava la solita chimera annunciata mille volte e mille volte smentita dai fatti, ma ora è realtà

Ma il mondo sarebbe fiacco e le regole non sarebbero regole se non ci fossero le eccezioni. E oggi siamo qui a parlare di una di quelle eccezioni, ovvero della reunion dei Blur, che escono oggi con The Magic Whip, il preannunciato ottavo disco in studio per la band di Colchester, il primo che ha coinvolto tutti e quattro i membri della band da 16 anni a questa parte, in un’operazione che, fino a qualche mese fa, sembrava la solita chimera annunciata mille volte e mille volte smentita dai fatti, ma che ora è realtà.

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Quando una band come i Blur torna a registrare insieme dopo 16 anni e una biforcazione di strade che sembrava definitiva — quella tra i percorsi musicali di Damon Albarn e il chitarrista Graham Coxon — possono succedere tre cose: la prima è che quel che ne viene fuori sia, banalmente, un pessimo album, una minestra riscaldata che tanto sa di quanto erano belli i bei tempi, quanto poco di musica vera, quella spontanea, onesta, partorita con piacere, con qualcosa da dire sul serio.

La seconda possibilità, vista l’ingombrante ombra musicale che si lascia dietro Damon Albarn in ogni progetto, è che il prodotto di questa reunion sia un figlioccio Albarncentrico, mal riconosciuto dal resto della band, che nel progetto fa la parte opaca e artisticamente marginale che possono fare tre turnisti.

The Magic Whip non è una pataccata, è a un vero disco dei Blur del 2015, e, aggiungiamo, un gran bel disco, assortito e genuino

La terza e ultima possibilità è che venga fuori The Magic Whip, che è a tutti gli effetti un disco dei Blur del 2015, e, aggiungiamo, un gran bel disco, assortito, genuino, che è sul serio un reincontrarsi tra compari che, invecchiando, hanno preso sentieri biforcanti, per niente paralleli, ma che proprio per quel non essere paralleli, a un certo punto, si sono incrociati di nuovo. E un po’ come due amici che non si vedono da un po’ e che si ritrovano a un bancone del pub dove sono cresciuti, sia Albarn che Coxon hanno svuotato sul tavolo la bisaccia e hanno provato a metterlo insieme.

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Quel certo punto di cui parlavamo qualche riga fa c’è stato veramente. Nel 2013 i Blur arrivavano da tre anni abbondanti di tentativi di reunion, iniziati con un doppio concerto a Hyde Park a Londra, il 2 e 3 luglio del 2009. Nel frattempo avevano suonato altre volte insieme — ai BRIT Awards 2012 e alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Londra 2012 — e avevano registrato un altro paio di singoli. Era il 2013, dicevamo, e i Blur, sulla spinta di quelle performance e di quel paio di nuove canzoni, si lanciarono in un tour mondiale che, a maggio, li avrebbe portati in Giappone, al Tokyo Rocks Music festival.

La base musicale dell’intero album è nata a Hong Kong, dove Albarn è dovuto tornare per riuscire a finire i testi

Quel festival, per ragioni mai spiegate fino in fondo — non si tenne mai e, con lui, finì nell’universo parallelo delle cose mai accadute anche il concerto dei Blur al Ajinomoto Stadium. Quel che invece successe, fu che i Blur, che avevano a quel punto una settimana di buco nei programmi, se ne andarono a Hong Kong, e invece di fare i turisti come avrebbero potuto tranquillamente fare, si chiusero in uno studio di registrazione e suonarono. Da quelle sessioni, passate nelle mani di Coxon e del produttore Stephen Street — che ci lavorarono mentre Albarn suonava in giro per il mondo il suo album solista Everyday Robot — venne fuori gran parte del materiale su cui è costruito The Magic Whip.

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Si trattava in gran parte di tracce senza testo, visto che Albarn, in quei giorni di Hong Kong, non era riuscito a scrivere tutto. E a molti, puzzava che non sarebbe mai uscito nulla da quel lavoro, molti tra cui Albarn, che un paio di mesi dopo aveva dichiarato:

Ci sono circa 15 canzoni… ma la cosa fastidiosa è che, se fossi stato in grado di scrivere i testi sul posto avremmo chiuso l’album in quei giorni. Ma qualche volta, se non riesci a farlo in una volta sola, l’ispirazione svanisce, e io sul serio ora non saprei cosa cantare su quelle tracce. Ci sono dei gran pezzi lì dentro, ma potrebbe essere giusto una di quelle sessioni che non porteranno mai a niente.

Era il luglio del 2014. E queste parole Albarn le disse in un’intervista a NME. Quel che successe dopo è l’esatto opposto di quel che pensava Albarn quell’estate: sì, perché il cantante se ne andò da solo a Hong Kong, si rituffò nel mood che era stato così proficuo durante quella settimana e, ribaltando tutte le regole del caso, che dicono invariabilmente che le cose belle sono irreplicabili, riuscì a ritrovare l’ispirazione e a scrivere i testi delle dodici canzoni che formano questo The Magic Whip.

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I Blur sono tornati e l’hanno fatto talmente bene che non ci importa che questo sia o meno l’inizio di una nuova stagione insieme

Dodici tracce riuscite, che passano da un pezzo come Lonesome Street, una specie di bigino de Blur dalle origini ad oggi, a un altro comeGo Out, il secondo singolo, firmato a colpi di riff iperdistrorti da Coxon; da pezzi decisamente damon-iaci come New World Towers o My Terracotta Heart, fino a Ong Ong una ballata rock sbancatutto che qualche anno fa avrebbe consumato gli accendini a fine concerto e che, di questi tempi, succhierà le batterie di non pochi smartphone.

Insomma, i Blur sono tornati e l’hanno fatto talmente bene che in fondo non ci importa che questo sia o meno l’inizio di una nuova stagione insieme. Intanto ci godiamo questo The Magic Whip, poi si vedrà.

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