Tra gli autori presenti a Milano per il festival I Boreali, questa settimana c’è anche Jon Kalman Stefansson, scrittore islandese che per Iperborea ha pubblicato tre romanzi, l’ultimo dei quali intitolato Luce d’estate, ed è subito notte. L’abbiamo incontrato e abbiamo parlato della crisi economica che ha cambiato il suo paese, ma anche del ruolo che può e deve avere l’arte e la letteratura per cambiare la società in cui viviamo.
Come hai vissuto la crisi economica che ha colpito duramente l’Islanda?
La crisi è stata un momento doloroso, ma anche molto interessante per l’Islanda. Praticamente tutto il sistema bancario ed economico è crollato e ci sono state settimane bellissime durante le manifestazioni e le proteste, che avvenivano praticamente ogni giorno. Dico bellissime perché, come in ogni momento di crisi profonda, quando tutto crolla è come se un velo venisse tirato giù e agli occhi si mostra tutta la corruzione, tutto il malaffare, tutti i problemi di una società che solitamente fa fatica a guardarsi allo specchio. E infatti in quelle settimane la gente si è ritrovata nelle strade, ha ricominciato a parlare, a discutere, a immaginare una nuova società. È stato come un risveglio della società, si è discusso di educazione, di lavoro, di futuro.
E poi cosa è cambiato?
Poi, lentamente, tutto è scivolato nuovamente verso il solito pantano. L’economia ora è in crescita, abbiamo una valuta forte, tanti turisti che arrivano da tutto il mondo, insomma, tutto sembra si sia messo a posto, ma solo superficialmente. Abbiamo un governo di destra che vuole tornare a 40 anni fa, che si disinteressa dei problemi dell’educazione e delle difficoltà dei lavoratori, che sembra piuttosto lottare al fianco dei ricchi, delle grandi compagnie. È un periodo difficile per l’Islanda e per gli islandesi.
Questa crisi ti ha cambiato come scrittore?
Come scrittore io all’inizio credevo che la crisi non mi avrebbe influenzato, ma alla fine, proprio per il fatto che tutto doveva cambiare e alla fine nulla è cambiato ho iniziato a pensare che avremmo dovuto guardare indietro alla nostra storia, alle nostre radici, per capire chi siamo. Ed è questo che fa la letteratura ed è per questo che non poteva lasciarmi come mi aveva trovato.
Secondo te è una crisi solo economica o c’è dell’altro?
Sono convinto che una delle ragioni della crisi in Islanda e delle difficoltà in cui ci troviamo ora è proprio perché non siamo stati in grado di guardarci allo specchio, e questo vale per noi islandesi, ma anche per tutto il resto del mondo occidentale. È più facile vivere senza fare i conti con sé stessi, è quello che abbiamo fatto per troppi anni, e ora è ancora più semplice, basta perdersi tra gli status di Facebook, per esempio. È la cosa più semplice da fare, è vero, ma è anche la peggiore. Prima o poi ci si trova sempre a dover fare i conti con sé stessi, e la letteratura, e l’arte in generale, possono proprio essere quello specchio, sono l’occasione di ragionare su noi stessi e sul mondo che abbiamo intorno, ed è un’occasione che non dobbiamo perdere, perché il tempo passa e rischiamo di arrivarci troppo tardi.
Che ruolo ha la letteratura in un contesto simile?
La letteratura è sempre stata una voce importante per noi stessi e per le nostre società, perché la letteratura ha un potere incontrollabile, può mettere in parole qualcosa che va molto al di là delle parole stesse, e questa è la forza sia della narrativa che della poesia. Qualcosa succede quando inizi a leggere. Non è un caso che la prima cosa che fa sempre un dittatore quando prende il potere è cercare di controllare l’arte, la letteratura, la narrazione del mondo e l’immaginario collettivo. È un discorso che vale anche per il giornalismo, ma mentre il giornalista pensa sul breve tempo e con un articolo può contribuire a cambiare il mondo, lo scrittore ha i tempi del racconto, tempi lunghi. Anche lo scrittore può cambiare il mondo, forse anche più profondamente del giornalista, ma ha bisogno di tempi lunghi.
Ma abbiamo ancora tutto questo tempo?
Io in verità sono un ottimista, e penso che non sia mai troppo tardi per cambiare le cose. La cosa peggiore che possiamo fare è cominciare a pensare che sia tutto perduto, che sia troppo tardi. Pensarlo è già un atto di resa e noi non dobbiamo arrenderci. Dobbiamo credere di poter cambiare traiettoria, di raddrizzare la sorte che ci sembra inevitabile, solo così, credendoci, possiamo trovare la forza di farlo. Uno degli errori più grossi che abbiamo fatto negli ultimi anni, uno di quelli che ci ha portato alla crisi che stiamo vivendo, è stato credere che i problemi, nostri e del mondo, fossero più grandi di noi, che non potessimo farci niente. Ci siamo rassegnati, ci siamo chiusi nelle nostre vite, pensando soltanto a noi stessi, ad essere contenti nel nostro piccolo. Anche in questo la letteratura è preziosa, perché ci fa uscire da noi stessi, ci fa capire di non essere soli al mondo facendoci vivere altre vite, altri mondi.
La lettura sembra essere di questi tempi un’attività in crisi, perché dobbiamo continuare a rivendicarne l’importanza?
Leggere è di vitale importanza per tutti, per molte ragioni, ma la prima è senz’altro che senza lettura siamo più poveri, meno forniti di strumenti per capire il mondo che abbiamo intorno, per essere critici nei confronti della politica. Un popolo di non lettori è molto più facile da controllare, gli si possono vendere per buone molte più bugie. Perché la lettura è un’attività che ti permette di allenare il senso critico, ti aiuta a leggere tra le righe, di comprendere il sottotesto e la retorica di molti discorsi politici. Nel nostro mondo è fondamentale saper leggere tra le righe, viviamo in un mondo di discorsi — non solo scritti — e se non siamo abituati a leggere ci faremo sempre più abbindolare dalla retorica del potere, che di solito, più è potente, più serve a celare sotto qualcos’altro, qualcosa che non vogliono venga fuori.
Cosa possiamo fare per tenere viva la passione per la lettura nelle nuove generazioni?
Come autore direi che dobbiamo scrivere libri sempre migliori, perché i buoni libri arrivano sempre ai lettori, in un modo o nell’altro, e resistono al tempo. In generale direi che tutti possiamo fare molte cose, anche se non siamo degli scrittori. Possiamo parlare di libri sui nostri social network, pubblicando, al posto degli status autoreferenziali su cosa mangiamo a cena o su dove siamo in vacanza, stralci di quello che leggiamo, pezzi di poesie, incipit di romanzi, racconti e quant’altro. Cercare di contagiare le persone che ci stanno attorno con l’esempio, che è l’arma più potente per educare, molto di più dell’imposizione. Un’altra cosa è non perdere l’abitudine di leggere storie ai nostri figli. È importantissima e non deve sparire dalle nostre abitudini. So che è più facile mettere tuo figlio davanti a una televisione, ma raccontandogli una storia, leggendogli un libro, un genitore non sta solo intrattenendo suo figlio, gli sta passando la passione e l’importanza per la lettura e per la coltivazione del proprio immaginario. Poi i casi della vita magari lo porteranno lontano dai libri, soprattutto tra i venti e i trent’anni, ma poi, se l’imprinting c’è stato, tornerà a leggere perché ne riconoscerà il valore e, forse ancora più importante, si ricorderà che nei libri non ci sono solo parole, c’è qualcosa di più importante e impalpabile: tra le parole c’è la vita, ci sono le relazioni tra le persone, i sentimenti, le paure.
Qual è la tua speranza per il futuro?
C’è un detto che non è certo nuovo, ma credo che sia sempre molto attuale: togheter we stand, divided we fall. Credo che la più grande minaccia di oggi, nonché una delle cause più forti della crisi delle società in cui viviamo, sia proprio la frammentazione e la conseguente la paura dell’altro, del diverso. È una paura in cui pascolano i partiti populisti, capeggiati da politici dalla mente ristretta che stanno convincendo molta gente che noi non siamo parte del mondo, ma che siamo solo parte dell’Italia, della Germania, dell’Islanda. Chiaro che siamo parte delle nostre rispettive nazioni, ma quando ci dimentichiamo che apparteniamo tutti alla stessa comunità, ovvero all’Umanità, stiamo tradendo i nostri figli e i nostri nipoti, stiamo tradendo il futuro. E anche qui, come dicevamo prima, la letteratura può gioca un ruolo importante, perchè quando leggi un libro che è stato scritto in Islanda o in Burkina Faso, o in Siria o in Giappone, capisci che siamo tutti uguali. Per rispondere alla tua domanda, quindi, la mia speranza è che superiamo tutti le nostre paure e torniamo a considerarci come membri di una stessa grande comunità globale, l’Umanità.
Stefansson, che ha aperto il festival I Boreali il 20 maggio insieme a Bjorn Larsson, incontrerà il pubblico venerdì 22 maggio alle 18, al Chiostro Nina Vinchi del Teatro Grassi di Milano, in compagnia di Burno Gambarotta.