Il leone insegue la gazzella, si slancia in un balzo e la afferra. È la dura legge della natura, raccontata e mostrata in decine e decine di documentari naturalistici. Ebbene, per la maggior parte, sono immagini finte. In certi casi le prede erano state azzoppate in precedenza dai documentaristi stessi, ad esempio. In altri si è trattato di una sapiente opera di montaggio di scene diverse, presi da momenti diversi e, spesso, girate in luoghi diversi (ad esempio, in zoo e riserve). I documentari sugli animali raccontano la verità, ma non la mostrano.
Secondo quanto racconta qui il produttore e documentarista Chris Palmer, i documentari sono un lavoro “lungo, complicato e che richiede, spesso, tempi molto stretti”. Diventa necessario, “anche se hanno le migliori intenzioni del mondo, inscenare le cose che vogliono filmare”.
Ci sono trucchi che, per Palmer, sono dei veri e propri classici: la finta foca appesa sul retro della barca per attirare gli squali, ad esempio. Oppure la trovata di alcuni documentaristi di riempire di caramelle le carcasse di animali incontrate per strada. Le usano, poi, come esca per gli orsi. Il risultato sarà proprio ciò che vorranno: immagini che mostrano l’orso intento a muovere il muso dentro la carcassa, dando l’illusione che sia stata appena uccisa.
Se si vuole mostrare invece l’atto della cattura, la cosa più semplice è procurare degli handicap alla preda predestinata, posizionarla vicino al predatore e filmarne l’inesorabile fine. Secondo Palmer è quanto è avvenuto in Wild America, documentario del 1996: un cervo era stato messo in mezzo a un branco di lupi. Serviva per essere sicuri di portare a casa la scena. Il massimo della barbarie, però, lo ha fatto la Disney, che con White Wilderness, nel 1958, fa vedere una scena di lemming che commette un suicidio collettivo. Per riprenderla hanno acquistato alcuni esemplari e li hanno spinti giù da una scarpata. Da queste riprese, poi, è nato il mito dei lemming che si suicidano.
Altre tecniche, meno brutali ma comunque disoneste, sono il ricorso al digitale, con animali montati ad arte, alcuni inesistenti e riprodotti con il computer. In compenso, però, si ottengono buone immagini senza disturbare (o peggio) gli animali veri. Tutto sommato è un inganno che si può sopportare.