A meno che non abbiate digitato l’indirizzo de Linkiesta sulla finestra di scrittura del vostro browser, non ha avete scelto voi di leggere questo articolo. Non solo, perlomeno. Se l’avete aperto da Facebook, ad esempio, avevate un buon 90% di possibilità di non vederlo nemmeno scorrere sul vostre newsfeed, poiché l’algoritmo del social network – a meno che non si paghi – decide di mostrare un post a circa un follower su dieci. Se l’avete trovato su Google cercando qualche parola contenuta qua dentro, è perché l’algoritmo di Google ha deciso che questo articolo poteva essere una valida risposta alle vostre ricerche e ai vostri interessi.
In entrambi i casi, l’algoritmo ha deciso per voi. O meglio, come il migliore dei maggiordomi, vi ha consigliato cosa scegliere. Consapevole che difficilmente deciderete di non seguire i suoi consigli. È una questione di fiducia. Così come nell’800 è il fideismo nei confronti della macchina a vapore che permette all’uomo di emanciparsi dal “fare”, allo stesso modo è il fideismo negli algoritmi che lo emancipa, duecento e rotti anni dopo, dall’atto del decidere.
Se le macchine sostituiranno chi fa e gli algoritmi chi decide, noi che ci stiamo a fare, al mondo?
Un esempio su tutti: lo scorso 7 maggio, alla vigilia delle elezioni inglesi, tutti gli investitori decidono improvvisamente di disfarsi di titoli di stato europei, soprattutto di bund tedeschi. Una vendita di massa, ha spiegato in una bella analisi Morya Longo sul Sole24Ore, causata dai «consueti movimenti automatici o semi-automatici dei tanti investitori quantitativi e computerizzati che reagiscono al primo stormir di fronda».
In altre parole: ormai gli algoritmi – che tecnicamente sono «procedimenti che risolvono problemi» – stanno sostituendo la decisione umana nei più disparati campi. Algoritmi che mettono in contatto domanda e offerta – di case, di automezzi, finanché di credito – meglio di qualunque intermediario, algoritmi che traducono qualunque testo in qualunque lingua, algoritmi che scrivono i libri e i giornali che vorremmo leggere, che guidano le automobili al posto nostro, che decideranno, nel momento in cui si porra di fronte a loro questa scelta, se schiantarsi contro un palo o investire una persona in mezzo alla strada.
Oggi parliamo di questo, nel nostro speciale domenicale. Soprattutto, vogliamo parlare della società che sta nascendo, attorno alla rivoluzione dell’algoritmo. Una società nella quale «quando avremo computer in grado di svolgere sempre più compiti, cambierà il nostro modo di concepire il lavoro». A dirlo è Larry Page, fondatore e ceo di Google, in una recente intervista pubblicata su Gq. «Non c’è modo di evitarlo», aggiunge. D’accordo: ma se le macchine sostituiranno chi fa e gli algoritmi chi decide, noi che ci stiamo a fare, al mondo?