Mamme blogger nella giungla del web

Mamme blogger nella giungla del web

Lei si chiama Claudia De Lillo, per una vita è stata giornalista finanziaria per l’agenzia Reuters, ora conduce su Radio Due il programma mattutino Caterpillar AM, ha un marito che lavora a Londra, tre figli maschi e, da nove anni, un blog — Nonsolomamma.com — in cui racconta con ironia la sua vita di mamma, un luogo in cui lei si trasforma in elastigirl, i tre figli diventano tre hobbit e il marito mister i.

L’abbiamo raggiunta al telefono e le abbiamo rubato mezz’oretta per farci spiegare cosa vuol dire essere una mamma blogger, con che difficoltà deve confrontarsi ogni giorno la sua scrittura e come riesce a sopravvivere nella giungla del web, che negli ultimi anni è infestato di troll, haters, polemiche e attacchi personali.

«Ho iniziato a scrivere il blog a settembre del 2006» ci racconta, «quando stavo rientrando dalla seconda maternità. A quei tempi facevo la giornalista finanziaria a tempo pieno, alla Reuters, e volevo misurarmi con una scrittura diversa da quella del giornalismo finanziario da agenzia, e poi ero un po’ schiacciata dall’idea di dividermi tra il fare la mamma e il tornare a fare un lavoro in cui dovevo in qualche modo fare finta di essere uguale a prima».

E invece uguale a prima non lo eri affatto, immagino…
Esatto, per questo ho pensato che aprire un blog potesse essere in qualche modo terapeutico, ma che potesse anche essere un buona palestra di scrittura. Avevo voglia di creare uno spazio in cui raccontare in chiave ironica — perché quella mi sembrava la chiave più efficace — come vive una donna questa specie di dissociazione tra il lavoro e la famiglia.

«Ho aperto il blog per vedere se la mia scrittura era efficace. E poi, ovviamente, volevo anche un po’ sfogarmi, oltre che a testarmi»

Avevi già in mente un pubblico a cui volevi arrivare?
No, anche la ricerca del pubblico in realtà è stata una prova. Posto ovviamente che avere un pubblico era quello che mi interessava, perché nessuno scrive per parlare in rete, tanto meno se lo fa in Rete, all’inizio non ho detto a nessuno, né a parenti né ad amici, che avevo aperto questo blog. È stato veramente un mettersi alla prova, rimettersi al giudizio di un pubblico che non mi conosceva e che si avvicinava a me e al mio blog spontaneamente. Quello che è successo, e che in realtà non pensavo all’inizio che potesse succedere, è stato che nel giro di poco tempo si è formata una vera e propria comunità di lettori intorno al mio blog. Non avevo un obiettivo di pubblico preciso in termini qualitativi, volevo vedere se la mia scrittura era efficace. E poi, ovviamente, volevo anche un po’ sfogarmi, oltre che a testarmi.

Negli ultimi anni internet sembra un campo di battaglia, tra troll, haters, polemiche, insulti. Il tuo blog è un’isola felice o ti ci scontri anche tu con questo fenomeno?
Purtroppo di isole felici su internet non credo che esistano. Anche se devo dire che almeno per quanto riguarda il mio blog, la virulenza degli attacchi non è enorme né insopportabile. Nei luoghi online in cui si parla di politica o di calcio, per esempio, effettivamente si assiste a un odio impressionante. In un blog come il mio molto meno, ma nel corso di questi nove anni è capitato che qualcuno andasse oltre il commento acido, è capitato che ci fossero troll, o episodi molto brutti, quasi persecutori. Più che contro di me personalmente, accade più spesso che i conflitti avvengano tra commentatori, dei flame tra loro.

C’è stato un caso particolare che ti ricordi?
Mi ricordo un caso in cui mi avevano dato della “furbona”, attaccando le mie lettrici, che venivano definite delle “lavapavimenti” che stavano ad ascoltare me convinte di leggere una di loro, ma, continuava, non si rendevano conto che io non ero affatto come loro, che ero una privilegiata che le sfruttavo. Accuse che sono ridicole, visto che sul mio blog non ho nessuna pubblicità e non ho mai voluto sfruttare il traffico che genera per guadagnarci qualcosa.

«Il motivo per cui il mio blog ha avuto successo non è per le storie dei figli, per la vita da mamma o quant’altro, ma piuttosto per l’ironia e per la scrittura»

Tornando al pubblico, chi sono e quanti sono i tuoi lettori?
Sui numeri è un po’ difficile metterli insieme. Posso dirti che il contatore del blog segnala circa 4000 persone al giorno, ma, se penso anche al pubblico che segue a la pagina su Facebook non so calcolare esattamente quanta gente effettivamente abbia a che fare con i contenuti del mio blog in un giorno medio. Oltretutto, come ti ho detto, non avendo interessi economici, non mi sono mai interessata a questi calcoli. Per quanto riguarda la sociologia, invece, la maggior parte degli utenti sono donne, soprattutto mamme, ma anche giovani che sono proiettate verso quel mondo, o anche nonne, magari. Negli ultimi anni si è avvicinato anche un pubblico diverso, credo più che altro per via del mio lavoro a Radio Due, ma senza dubbio c’è anche un pubblico maschile per quel che scrivo. In ogni caso il motivo per cui il mio blog ha avuto successo non è per le storie dei figli, per la vita da mamma o quant’altro, ma piuttosto per l’ironia e per la scrittura, ovvero il modo in cui sono raccontate le storie. In fondo è un po’ come se fosse una sit com, e le sit com le guardano anche gli uomini. E poi forse entrare ogni tanto nella testa di una donna, per un uomo, potrebbe anche essere utile.

Come è cambiato nel tempo il tuo modo di scrivere? La pubblicazione dei libri ha modificato la tua scrittura?
È cambiato, sì, ma non a causa dei libri. È cambiato a causa della realtà. A un certo punto, infatti, quando il blog ha iniziato ad avere veramente successo e i numeri sono aumentati, ho cambiato enormemente il mio modo di scrivere e anche il filtro che io applico alla realtà che vivo per trasformarla in racconto. All’inizio ero veramente ingenua, scrivevo i nomi dei miei figli, raccontavo delle cose molto riconoscibili. Perché quando ho iniziato a scrivere il blog, lo confesso, ero pronta a raccontare qualsiasi cosa pur di strappare un sorriso ai lettori. Hai un’incoscienza quando inizi a scrivere sul web, perché ti accorgi del pubblico, lo vedi, vedi i numeri che salgono, e agisci senza pensare troppo alle conseguenze. Hai la sensazione di essere totalmente protetta dall’anonimato, ma in realtà non è così.

«La scrittura autobiografica ha dei rischi enormi, per questo piano piano ho capito come edulcorare la realtà che avevo davanti»

Quando te ne sei accorta?
Un giorno ho ricevuto una lettera praticamente minatoria dai miei vicini di casa che mi scrivevano indignati dal fatto che li avessi descritti nel blog e che, tra l’altro, li avessi messi alla berlina. Malgrado l’anonimato avevano riconosciuto tutto e dicevano “ma come diavolo ti permetti”. E avevano ragione. Grazie a questa lettera ho aperto gli occhi, è stato molto importante per me, ho preso coscienza della responsabilità che hai quando scrivi, verso non solo chi ti legge, ma soprattutto verso le persone di cui scrivi, la mia famiglia, i miei vicini, i miei amici. Insomma, la scrittura autobiografica ha dei rischi enormi. Quindi piano piano ho capito come edulcorare la realtà che avevo davanti, appianando anche alcune tensioni, perché a nessuno piace fare la parte del cattivo. Poi ho cercato di portarlo più verso di me, per proteggere soprattutto i miei figli e mio marito, che non volevo assolutamente fossero coinvolti. Volevo proteggere le persone reali ed esporre soltanto i personaggi.

Maternità salute, benessere, cucina, sono temi che su internet funzionano molto bene e attorno a cui si è sviluppato un vero e proprio mercato. Cosa ne pensi del fenomeno?
Quando ho aperto il blog sono stata una delle prime e nei primi tempi quindi ho guardato con molto interesse quello che succedeva negli Stati Uniti, dove il fenomeno delle mamme blogger era già diffuso da qualche anno. Ed effettivamente il mercato si era già accorto della potenzialità economica e commerciale delle mamme che scrivevano su internet, a cui in molti si sono interessati come veicolo di pubblicità. Quando leggi della vita di una mamma e ti ci immedesimi, ti fidi, quasi come se fosse un’amica, a quel punto è inevitabile che se lei ti dice che se compri una marca piuttosto che un’altra di pannolini la tua vita cambia, tu tendi a fidarti.

«Anche qui in Italia, da ormai qualche anno, si sono accorti della potenzialità di questo mercato, del potere economico e commerciale delle mamme»

E tu come ti poni nei confronti di questo fenomeno?
Io ricevo molto spesso proposte per inserire pubblicità nel blog, ma come puoi vedere facilmnte visitando il sito, che è senza banner, non le accetto. Quello che però mi dà più fastidio però è il fatto che le richieste non siano per mettere un banner o per scrivere recensioni o quant’altro sia chiaramente riconoscibile come pubblicità. No, quello che chiedono è il product placement. Vogliono che tu parli dei loro prodotti in quello che scrivi, che li inserisci nelle storie. E io questa tecnica la trovo profondamente scorretta, subdola.
Anche qui in Italia, da ormai qualche anno, si sono accorti della potenzialità di questo mercato, del potere economico e commerciale delle mamme blogger, e non solo per i siti o i blog che parlano di maternità. Questo perché effettivamente per i figli si fanno acquisti anche in periodi di crisi, si comprano oggetti e si fanno spese che per sé stessi non si farebbero, e anche il senso critico viene messo un po’ da parte quando si tratta di spendere per il benessere e per la felicità dei propri figli. Io però, come ti ho già detto, non ho mai voluto sfruttare economicamente il mio blog. Io sono una giornalista, quello spazio lo uso per raccontare storie e anche se mi arrivano due o tre proposte al giorno in media, a me non interessa.

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