«La sentenza della Consulta mi ha sorpreso, lo ammetto. In questo Paese sembra quasi che la Costituzione non tuteli le giovani generazioni». Non ci gira troppo attorno, Elsa Fornero. La bocciatura del blocco dell’indicizzazione delle pensioni introdotto dal governo Monti ha avuto l’effetto di un viaggio nel tempo. «Mi ha riportato al passato: quando i diritti acquisiti erano considerati intoccabili, a prescindere da chi ne doveva sopportare l’onere». Ministro del Lavoro e del Welfare nell’esecutivo tecnico dei “professori”, Fornero è tornata a fare il “professore” e partecipa a molti incontri internazionali. La settimana scorsa era a Winnipeg, in Canada, ospite a un convegno dei fondi pensione canadesi. La prossima sarà a New York, a un incontro organizzato dalla Banca Mondiale. «Evidentemente all’estero apprezzano il lavoro che abbiamo fatto al governo in un momento drammatico per la vita del Paese».
In Italia non sempre è così. «Che vuole – racconta Elsa Fornero con amarezza – sono solo un professore universitario, non ho un partito né un sindacato che mi difenda. Sono un bersaglio a costo zero». Di quell’esperienza ricorda l’entusiasmo iniziale e i risultati raggiunti: le misure erano certo impopolari, ma necessarie per salvare l’Italia «di fronte a una vera emergenza finanziaria. Senza quelle misure in quel momento ci saremmo incamminati sulla strada della Grecia, con conseguenze – tra l’altro – molto peggiori per l’Europa e per l’euro». Nessuna superbia, Fornero riconosce anche gli sbagli. «Sono stati commessi errori, certo, ma solo chi non fa non sbaglia. Del resto un errore importante fu determinato da dati forniti al Ministero dall’Inps, relativi agli “esodati”: come giudicherebbe Lei un ente pubblico che prima fornisce certe cifre e, a distanza di pochi mesi, le quintuplica? Molti dimenticano, inoltre, che quello non era il “mio” governo. Le scelte furono condivise da tutti i ministri e approvate dal Parlamento con maggioranze schiaccianti, salvo poi ciniche prese di distanza dei partiti per ragioni di consenso elettorale».
Adesso c’è Matteo Renzi. «Non mi piacciono i suoi modi, ma sto dalla sua parte». Difficile altrimenti. Molte delle attuali riforme sono la prosecuzione e non già la negazione di quelle proposte dell’esecutivo Monti. «Non penso solo alle pensioni. Anche sull’articolo 18 l’attuale governo è partito dal nostro lavoro». E sulla previdenza? «I rimborsi decisi a Palazzo Chigi vanno nella giusta direzione e rappresentano una sostanziale conferma del provvedimento a suo tempo deciso. Potevano caricare ancora una volta i diritti acquisiti sulle spalle dei più giovani, hanno preferito fare una scelta coraggiosa». È evidente che l’ex ministro ha a cuore la situazione delle nuove generazioni. Anche quando si parla della possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro in cambio di pensioni più leggere. «La flessibilità è una buona cosa, ma dipende chi la paga. È scritto anche nella Bibbia: “i padri mangiarono le uve acerbe, i figli ne ebbero i denti allegati”».
«Evidentemente la nostra Costituzione non tutela le generazioni più giovani»
Recentemente la Consulta ha bocciato il blocco dell’indicizzazione delle pensioni voluto dal governo Monti, di cui lei era ministro. Come ha accolto la sentenza?
Mi ha sorpreso, lo ammetto. La prima reazione si è accompagnata a un’amara considerazione: evidentemente la nostra Costituzione non tutela le generazioni più giovani. E meno ancora quelle future. Vede, il sistema previdenziale è un patto tra generazioni, affidato allo Stato proprio perché garantisca tutti. Questa sentenza, invece, mi è sembrata un ritorno al passato. Quando i diritti acquisiti erano considerati intoccabili, a prescindere da chi ne doveva sopportare l’onere.
Il governo ha deciso di recepire la sentenza prevedendo rimborsi parziali. Saranno tutelate solo le pensioni più basse, attraverso quella che alcuni critici considerano poco più di una mancia.
Anzitutto leggo il provvedimento del governo come una sostanziale conferma della misura che fu introdotta a suo tempo dal governo Monti. È una correzione che aggiusta la nostra riforma – approvata di fronte a una vera emergenza finanziaria – ma non la cancella. Il governo ha preso una decisione rapida, difficile da contestare, che realizza quella gradualità e quella progressività che noi, con un errore dovuto forse alla fretta, non avevamo introdotto. Una risposta anche molto coerente con la spirito della sentenza: tutti devono partecipare ai sacrifici richiesti. Sull’entità del rimborso non mi sembra molto logico parlare di mance elettorali.
Insomma, il decreto del governo tutela quel patto intergenerazionale che vede i contribuenti più giovani in una situazione di chiaro svantaggio?
Assolutamente sì. Il governo poteva anche ammettere la restituzione totale, magari caricando ancora una volta certi diritti acquisiti sulle spalle dei più giovani. Invece ha preferito fare una scelta coraggiosa.
«Chi è pronto ai ricorsi non è il più povero dei pensionati»
Non teme i ricorsi che potrebbero presto arrivare?
Chi è pronto ai ricorsi non è il più povero dei pensionati. Penso, per esempio, alle organizzazioni Federmanager e Manageritalia. Eppure anche all’interno di queste categorie qualcuno non è d’accordo: ritiene che non sarebbe così improprio, date le difficoltà del paese, partecipare ai sacrifici che già sostengono molti cittadini. Personalmente mi limito a un auspicio: spero che prima di presentare i ricorsi ci sia un dibattito. E magari un vero e proprio ripensamento. Non va dimenticato che si tratta di categorie che hanno fortemente beneficiato, in anni passati, della “solidarietà” pubblica, come quando l’Inpdai venne trasferito alla gestione Inps, nel 2003.
Con la prossima legge di Stabilità il governo modificherà ulteriormente il sistema previdenziale. Cosa cambia?
Premetto che quando si parla di riforme la comunicazione è molto difficile. Il nostro governo di tecnici, ad esempio, non riuscì a comunicare bene il proprio lavoro. Forse perché non aveva la cassa di risonanza dei partiti. È curioso, nel nostro caso le riforme furono approvate dal Parlamento, ma il mondo politico ne prese immediatamente e cinicamente le distanze. Ad ogni modo, l’impianto complessivo della riforma difficilmente si può modificare. Penso all’aumento dell’età pensionabile, richiesto dalla demografia. Non si fanno le riforme guardando al passato; bisogna guardare al futuro. Se si guarda alla distribuzione per età della popolazione, è impossibile non prevedere l’enorme cambiamento che avverrà nei prossimi anni. La vita si allunga rapidamente e le generazioni più giovani peseranno sempre meno sul totale della popolazione. Un allungamento della vita lavorativa è inevitabile. E poi il metodo contributivo. Non può rimanere una formula astratta, bisogna che entri nella vita delle persone, contribuendo a cambiarne i comportamenti. Il metodo va riaffermato, spiegato correttamente ai cittadini: ogni euro che un lavoratore mette da parte servirà a pagare la sua pensione. È un metodo efficiente, trasparente e certo non incompatibile con la solidarietà vera, e molto meno permeabile ai privilegi. Per di più, non c’è nulla di meglio del metodo contributivo anche per recepire le istanze di flessibilità.
«La flessibilità è una buona cosa, ma dipende chi la paga»
Il presidente Renzi ha annunciato che chi vorrà andare in pensione prima potrà farlo, in cambio di un assegno più leggero.
La flessibilità è una buona cosa, ma dipende chi la paga. Grazie al metodo contributivo, quanto più lunga è stata la vita lavorativa tanto più alta sarà la pensione. Oggi però siamo ancora immersi nel retributivo. Se le persone si ritirano prima, sarebbe corretto che siano loro a pagarsi l’uscita anticipata dal lavoro. Non credo sia giusto far pagare ai giovani anche questo conto. Il nostro governo non poteva introdurre questa flessibilità in quanto ci sarebbe stata una minore riduzione della spesa pensionistica in contrasto, come si tende sempre a dimenticare, con gli impegni internazionali presi dall’esecutivo precedente e che condizionarono la vita del nostro governo. Ma se il presidente del Consiglio ritiene che oggi questa prospettiva non metta a rischio la sostenibilità dei conti, va sicuramente bene. È un aggiustamento del sistema, non una nuova riforma.
Può favorire un ricambio generazionale nelle aziende? Nasceranno nuovi posti di lavoro?
Nel mezzo di una crisi come quella che stiamo vivendo, la sostituzione tra lavoratori giovani e anziani può anche essere realizzabile. Ma io ho sempre rifiutato, come gran parte degli economisti, l’equazione “fuori tu che entro io”. Non funziona così. Certo, nel breve periodo, specie se di recessione, può anche succedere. Ma non si possono dare risposte solo per il breve periodo. Dobbiamo cambiare mentalità e puntare a creare occasioni di lavoro per tutti, anziché pensare alla soluzione più facile, quella del pensionamento anticipato. In Italia abbiamo per troppo tempo coltivato l’illusione di risolvere i nostri problemi strutturali mandando in pensione anticipata i lavoratori; un’illusione che abbiamo pagato a caro prezzo.
«I vitalizi sono un sistema arcaico, da superare. Questa sì, è insensibilità sociale»
C’è un tema che non è direttamente legato al sistema previdenziale ma di cui si discute molto. I vitalizi dei politici. Che idea si è fatta?
I vitalizi sono un sistema arcaico, da superare. Sono privilegi senza alcuna giustificazione. Dovrebbe valere il sistema contributivo anche per i politici: se sei stipendiato per il servizio che rendi alla collettività ti paghi i contributi come tutti i cittadini. Ho letto sui giornali la notizia dei ricorsi presentati da alcuni consiglieri regionali contro la cancellazione dei propri vitalizi. Trovo davvero sconfortante che questi signori si aggrappino ai loro privilegi. Questa sì, è insensibilità sociale. D’altronde la classe politica non ci ha dato molti buoni esempi.
Da ministro non poteva fare nulla?
Prima di presentare la mia riforma andai a parlare con i presidenti di Camera e Senato e li convinsi ad anticipare (di tre anni) l’entrata in vigore del sistema contributivo anche per i parlamentari. Non fu facile ma li convinsi. Ritenevo normale che di fronte ai sacrifici imposti ai cittadini anche la politica facesse la sua parte. Provai a fare qualcosa anche per le Regioni, purtroppo mi spiegarono che non era materia su cui poteva intervenire il governo.
A due anni da quell’esperienza di governo cosa fa Elsa Fornero?
Ho ripreso in pieno il mio lavoro universitario. Tengo due corsi; ho scritto due saggi scientifici, pubblicati su riviste straniere, che spiegano le riforme italiane. Svolgo relazioni a convegni (soprattutto all’estero) e seguo tesi di laurea. Tutte cose molto normali per un accademico. È comunque bello poter lavorare con i giovani e poter viaggiare.
All’estero tutti la cercano, gli italiani invece si sono dimenticati di lei?
Veramente non mi pare si siano dimenticati. Ammetto che questa situazione mi lascia una grande amarezza. Ogni tanto mi interrogo sulle ragioni che mi indussero ad accettare l’offerta di Mario Monti. La risposta è sempre la stessa: ho cercato di lavorare per il mio Paese, senza mai approfittare del mio ruolo. Questo non vuol dire non aver commesso errori, certo. Eppure molti dimenticano che quello non era il governo di Elsa Fornero. Tutte le scelte furono prese assieme agli altri ministri, che le condivisero, e sempre regolarmente approvate dal Parlamento, ad ampia maggioranza. Non ricordo riunioni, nelle fasi, peraltro brevi, di preparazione delle riforme, con i miei collaboratori, nelle quali ci domandassimo se i provvedimenti sarebbero piaciuti a questo o a quel partito. Guardammo al Paese nel suo complesso con lo scopo di contribuire a risolvere i suoi problemi.
Sono passati due anni, ma sembra un secolo. Adesso a Palazzo Chigi c’è Matteo Renzi.
Sulle pensioni il governo Renzi si è impegnato a rendere la nostra riforma più accettabile; se ha le risorse finanziarie per farlo, è anche grazie all’azione del nostro governo. In generale è più facile correggere una riforma che scriverla ex novo. Ma non parlo solo di pensioni. Anche sull’articolo 18 l’attuale governo è partito dal nostro lavoro, non l’ha certo sconfessato. Forse si dovrebbe rivisitare quello che è stato fatto dal nostro esecutivo, senza demonizzare continuamente quell’esperienza. Mi rincuora che almeno all’estero il nostro lavoro venga apprezzato.
Dei partiti politici non conserva una buona impressione. E di Renzi che idea si è fatta?
Certi suoi modi non mi piacciono, ma forse è una questione generazionale. Ne ho complessivamente un’opinione positiva, avendo conosciuto il cinismo e l’opportunismo della classe politica che il presidente del Consiglio vuole rottamare non si può non dargli un’apertura di credito. Il Paese ha comunque di fronte una ricostruzione difficile, non è garantito che Renzi ce la faccia. Io glielo auguro, sinceramente, da cittadina.
«Ho ancora voglia di fare molte cose nella mia vita, ma la politica non è una di queste»
In una nuova fase Elsa Fornero non potrebbe tornare a misurarsi con la politica?
Questo no. Ci vuole un ricambio generazionale, fondato sull’età anagrafica, sul merito, sulla capacità di rappresentare le istanze del paese, di guidare verso una nuova ripresa che non sia soltanto economica, ma anche civile e morale. Ho ancora voglia di fare molte cose nella mia vita, ma la politica non è una di queste.