Produrre vino è un arte che permette all’uomo di vivere la terra in modo più diretto, più autentico. È un lavoro duro, che richiede grande attenzione, dal quale si ricavano molte soddisfazioni, perché ogni vite è diversa dall’altra, è un essere umano con la sua storia da raccontare.
Alberto Malesani
Il vino gira nel bicchiere creando un piccolo vortice in senso orario. La pratica di roteare il calice prima di bere gliel’ha insegnata Lorenzo, l’enologo della sua casa vinicola nell’alta Val Squaranto. “In questo modo il vino sprigiona i suoi aromi” gli ha spiegato. Alberto Malesani ha preso l’abitudine di compiere ogni giorno questo rito e di perdere lo sguardo dentro al bicchiere. Osservando il liquido girare vorticosamente pensa a quando era ragazzo, ai primi amori, al sorriso delle figlie. Spesso tra le onde rosse dell’Amarone, quasi come un’ossessione che non lo vuole abbandonare, scorge un campo di calcio.
Malesani non ha mai smesso di credere di poter allenare ancora ad alti livelli, anche ora che il mondo del calcio sembra poter fare a meno di lui. Ha sempre avuto fiducia nelle proprie capacità, in fondo si reputa qualcosa in più di un semplice allenatore. Quando nel 1993 divenne tecnico del Chievo in C1 e poi in B, fu il primo manager “all’inglese” del calcio italiano. Oltre a guidare la squadra, stilava i contratti dei calciatori e gestiva gli acquisti: nessun allenatore in Italia lo faceva. È grazie a lui se il Chievo è diventato quello che è oggi, ne è convinto. Poco importa se oggi è odiato dalla tifoseria clivense, quando nel 2001 ha accettato la panchina dell’Hellas sapeva che si sarebbe fatto dei nemici in città. Malesani quell’anno portò il Verona in B. All’ultima giornata sarebbe bastato un pareggio con il Piacenza, invece perse 3-0. Fu la sua prima retrocessione.
Le ombre sulle vigne al tramonto diventano prima gialle poi rosse per poi sprofondare nell’oscurità della sera. È quello il momento preferito di Malesani, in cui si siede nel patio e osserva la calma della natura sprigionarsi in tutta la sua potenza e tranquillità. Alla Fiorentina nel 1997 allenava Rui Costa, cercando di inculcargli i tempi giusti per trasformarlo in un centrocampista centrale. Spesso litigava con Edmundo: o’animal era stanco di sedere sempre in panchina. Ora invece gli unici animali che popolano la sua vista sono i fringuelli che cinguettano su un mucchio di legna poco distante. Senza farsi sentire dagli altri ogni tanto prova a imitarne il fischio, sperando di richiamare la loro attenzione. Stormi di rondini volano coordinate. Lontane nel cielo rossastro compongono in formazione traiettorie che richiamano gli schemi del suo modulo preferito, il 3-4-3.