Napster? Roba da dilettanti.
Una rivoluzione nata già vecchia.
Il giochino di un tizio un po’ smanettone che ne sapeva di tecnologia e che ha avuto l’intuizione giusta al momento giusto.
Utile e figo, eh, niente da dire.
Ma non parlate di pirateria.
La pirateria, quella vera, quella corsara, quella fatta di fatica e fantasia prima ancora che di illegalità, c’era già da un pezzo ed era appannaggio (un po’ come il primo Napster) di adolescenti brufolosi e nerd, con più inventiva che soldi e praticamente nessuna speranza concreta di dare o ricevere, almeno nel futuro prossimo, un bacio vero.
Così, un po’ per colpa dei brufoli, un po’ per colpa delle ragazze che non c’erano, un po’ perché così va il mondo, i nerd passavano i pomeriggi con la radio accesa e il dito sul tasto ‘rec’ dello stereo. Al primo, ipotetico avvistamento di una canzone bella, trac, la registrazione partiva, la canzone era catturata per sempre e ciao diritti d’autore.
Una volta che la canzone era stata ‘presa’ la si poteva tenere per sé, la si poteva riversare in mix che si consegnavano carichi di speranza alla padrona del nostro cuore, oppure, stanchi, la si poteva cancellare e ricominciare da capo.
Del resto, non costava niente.
Per essere dei pirati veri bastava un nastro vergine, da 60, 90 o, proprio a a esagerare, 120 minuti che poteva essere usato infinite volte e con una qualità del suono costante, nel senso che faceva schifo già la prima volta; serviva poi un registratore con doppia piastra (ma perché poi li vendevano se era illegale duplicare? ah si certo….per uso personale…come no…) e una radio decente a cui rubare le canzoni a cui, inevitabilmente, mancava sempre l’inizio o la fine.
Ah, e poi serviva una scatola di pennarelli per decorare le copertine e scrivere i titoli, in un modo che fosse allo stesso tempo chiaro e originale.
Tutto questo era quello che serviva per avere una collezione di musica praticamente infinita. Nessuna connessione, nessuno sbattimento di download e di notti di veglia, nessuna possibilità di essere beccati. Niente. Solo dita veloci.
Il sistema era talmente facile e efficace da essere stato, per anni, inattaccabile.
Non c’era niente che nessuno potesse fare per impedire a tutti, proprio tutti, di registrare le canzoni alla radio, o meglio ancora, riversare su cassetta i cd: tutti duplicavano, tutti copiavano, tutti riversavano. Anzi, leggenda vuole che ci fossero persino negozi di dischi che sotto banco lo facevano.
Così tra macchine e walkman la musica girava tra copie delle copie.
All’industria musicale, la cosa dava parecchio fastidio, tanto che negli anni ’80 (che ridere!) uscì una campagna promozionale, con le etichette attaccate a ogni disco o cassetta legalmente vendute con scritto “Home taping is killing music” ( e solo avessero immaginato casa sarebbe arrivato dopo….).
Poi le cose sono cambiate. Ci si sono messi di mezzo i masterizzatori, prima, internet e, all’inizio degli anni 2000 iPod e compari hanno cambiato tutto.
Il che ci sta eh, sia chiaro, nessun rimpianto.
Solo magari un po’ di velleitaria, polverosa e un po’ snob nostalgia. Non tanto per la trafila di metti il nastro, gira il nastro, riavvolgi il nastro, conta i secondi, schiaccia rec, togli il nastro….No no. Per quello chissenefrega e anzi, forse meglio: ci volevano ore per fare una cassetta decente.
Fatica e tempo che si risparmiano volentieri.
Quello che forse può mancare un po’ il modo di ascoltare la musica e che era tutta un’altra storia.
Fino a quando la musica ha avuto una sua fisicità, un supporto fisico a cui stare aggrappata, serviva spazio per contenerla. E siccome lo spazio, di una camera, di una macchina o, meglio ancora, di uno zaino, è una cosa finita, per logica conseguenza, lo era anche la musica.
Uno zaino medio poteva contenere un numero limitato di cassette che comunque pesavano.
Anche per questo si facevano i mix, non solo per giocarsi l’ultima straccio di carta con una tipa carina. I mix si facevano per scegliere dieci, 15, massimo 20 canzoni da portarsi dietro per una determinata occasione: chi scrive, per esempio, ha avuto il mix da gita scolastica, il mix da inverno, il mix da vacanza, il mix triste, il mix allegro e, per gentile regalo di una compagna di liceo, il mix da ‘scuola guida-prime guide’: era il 1998 e c’era su Iris, dei Goo Goo Dools.
Difficile fare la stessa cosa con una playlist in un iPod. Possibile certo, ma serve disciplina, capacità di scelta e consapevolezza del limite.
Tutte cose che nessuno, oggi, ha veramente voglia di avere, lasciando che sia il tasto shuffle a decidere per noi, che tanto una canzone vale l’altra.
Nei mix no: occorreva fare scelte precise.
Venti canzoni. Pensaci bene, fratello.
Anche perché migliore è la scelta dei brani, migliore, di sicuro, sarà quello ti succederà con quella musica nelle orecchie.
Pensaci bene, fratello.
PS: due consigli e uno spoiler.
Consiglio numero 1: andate su Amazon e comprate il libro di Thurston Moore Mix Tape: The Art of Cassette Culture, volumetto da veri nerd che spiega e racconta come le cassettine siano stati parte della cultura americana del Novecento senza se e senza ma.
Consiglio numero 2: andate a fare un giro sulla pagina web del MixTape Fan Club, bellissimo sito tutto italiano di nostalgici, musicolfili e narratori di sé, disposti a mettere in bella mostra le loro cassette consumate e le loro compilation di mille anni fa, ben consapevoli del fatto che raccontandoci che musica ascoltavano nell’estete della loro adolescenza ci raccontano anche chi erano, cosa volevano e di cosa avevano paura.
Spoiler: alla fine, l’home recording non l’ha mica uccisa, la musica.