Mafia Capitale arriva in Parlamento ed è subito scontro. Neanche il tempo di conoscere le indiscrezioni sul nuovo filone di inchiesta e alle Camere inizia il rimpallo delle responsabilità. Mentre il Movimento Cinque Stelle chiede lo scioglimento del Campidoglio, il segretario leghista Matteo Salvini pretende le dimissioni del sindaco Marino. La leader di fratelli d’Italia Giorgia Meloni propone una commissione di inchiesta per indagare sui rapporti tra coop e politica, intanto il Partito democratico sottolinea le responsabilità, anche morali, dei propri avversari politici. Altri consiglieri capitolini finiscono in arresto – esponenti di centrodestra e centrosinistra – e gli insulti partono con raro tempismo. È quasi una gara a screditarsi a vicenda, una partita per stabilire chi è il più impresentabile. Un confronto acceso, come è giusto che sia di fronte alla gravità della vicenda. Spesso non privo di cinismo e speculazione politica.
I Cinque Stelle ci vanno giù pesante. Difficile altrimenti. Per un Movimento fondato su legalità e lotta alla corruzione è impossibile non entrare a gamba tesa in una storia come quella di Mafia Capitale. La conferenza stampa viene convocata a Montecitorio a tempo di record. Le accuse al Partito democratico sono dure. «Non accettiamo lezioni di legalità da parte del Pd e di Matteo Orfini», spiegano. Il presidente dem, commissario del partito romano, finisce al centro di una pesante polemica. «O è cretino o è colluso» spiega la deputata grillina Roberta Lombardi, al limite della querela. I pentastellati chiedono le dimissioni di Orfini, accusandolo di aver dato copertura politica e mediatica ad Andrea Tassone, ex presidente del municipio di Ostia oggi ai domiciliari. I grillini pretendono un passo indietro da parte del sindaco Ignazio Marino, per evitare che la Capitale subisca l’onta dello scioglimento per mafia durante il prossimo Giubileo. Ma viene chiamato in causa lo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il Cinque Stelle Luigi Gaetti, vicepresidente dell’Antimafia, propone di estendere la discussa lista degli impresentabili anche a deputati e senatori. Durante il prossimo ufficio di presidenza della commissione chiederà di verificare «la posizione e lo stato» di tutti gli eletti. Viste le recenti polemiche, è una questione che rischia di creare non pochi problemi all’interno di diversi partiti. Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio insiste. «È finita l’epoca delle scuse. Da quando Renzi è segretario del Pd ci sono stati 50 tra arrestati e indagati». Il leitmotiv è sempre lo stesso. «Noi siamo gli unici estranei a questo schifo».
È quasi una gara a screditarsi a vicenda, una partita per stabilire chi è il più impresentabile
A poche ore dagli ultimi arresti, i partiti se le danno di santa ragione. Alcuni esponenti dem accusano di sciacallaggio i Cinque Stelle. Intanto, uno dopo l’altro, intervengono i principali leader. Un’accusa dopo l’altra. A margine di un incontro con la presidente cilena Michelle Bachelet, il premier Renzi respinge ogni addebito. «Un Paese solido è quello che combatte la corruzione come sta avvenendo in Italia con decisione e forza, mandando chi ruba in galera, perché è giusto che chi ha violato le regole paghi tutto e fino all’ultimo giorno». Le opposizioni si scatenano. Il leghista Salvini chiede la testa del sindaco romano. «Che cos’altro deve accadere perché Marino se ne vada e si torni alle urne?». L’occasione è utile per tornare sulla vecchia battaglia dell’immigrazione. «Mafia Capitale, altri 44 arresti per il business degli immigrati – scrive su twitter – Fermare subito le partenze e gli sbarchi, bloccare subito tutti gli appalti. Renzi e Alfano spargono clandestini negli alberghi di mezza Italia, capito chi ci guadagna?». Giorgia Meloni porta lo scontro direttamente nelle aule parlamentari. Alla richiesta di dimissioni del sindaco di Roma, aggiunge una domanda alle Camere. «Si discuta e si voti subito la proposta di legge di Fratelli d’Italia per istituire una commissione di inchiesta sui rapporti tra coop e politica».
Ma è l’attesa conferenza stampa del presidente Pd Matteo Orfini ad accendere definitivamente lo scontro. L’esponente dem difende il sindaco Marino, senza mezzi termini. Come dimostrano le tante intercettazioni, il primo cittadino è stato il vero ostacolo alla criminalità organizzata. Orfini ricorda l’impegno dell’amministrazione capitolina per ripristinare la legalità a Roma, avviata ben prima dell’esplosione dello scandalo Mafia Capitale. «Marino si è recato più volte in procura per consegnare carte e atti amministrativi da cui emergevano perplessità e dubbi» sulla precedente amministrazione. Nessuna giustificazione. Orfini riconosce le responsabilità del partito, a lungo incapace di capire cosa stava succedendo in città. E promette fermezza nei confronti di chi ha sbagliato. Ma chiama più di qualcuno alle proprie colpe. «È curioso che una personalità come Carminati (considerato il principale responsabile del sodalizio criminale, ndr) abbia potuto agire e costruire un sistema simile senza che nessuno se ne accorgesse. Chiederò al Copasir di occuparsi di questa vicenda».
«C’è chi va in giro stupidamente con le ruspe sulla maglietta. Noi le ruspe le usiamo davvero, mandandole a Ostia a smontare gli abusi edilizi»
Il presidente dem se la prende con la Lega. «C’è chi va in giro stupidamente con le ruspe sulla maglietta. Noi le ruspe le usiamo davvero, mandandole a Ostia a smontare gli abusi edilizi cresciuti negli anni in cui quelli che oggi si mettono quelle magliette governavano questo Paese». Il sistema criminale capace di lucrare sul «dolore dei più deboli»? Per Matteo Orfini ha potuto operare proprio grazie alle norme volute dall’allora ministro Roberto Maroni. Senza dimenticare che i massimi responsabili della politica di Salvini, oggi a Roma, «sono proprio i principali esponenti del modello Alemanno». Non manca una frecciata a Giorgia Meloni. «Forse è lei a dover spiegare qualcosa. L’ex sindaco Gianni Alemanno e il consigliere Gramazio sono indagati per 416 bis».
Inutile dire che la risposta più pesante è dedicata ai Cinque Stelle. La copertura politica dell’ex minisindaco di Ostia Tassone è una bufala. «Quel presidente di municipio è stato dimesso per un’iniziativa del Partito democratico. Dopo il commissariamento del partito di Roma non abbiamo avuto alcun dubbio a intervenire dove non vedevamo chiaro». E ancora. «Non è un caso se i principali esponenti del Cinque Stelle siano gli idoli dei clan di Ostia, nel momento in cui il loro leader dice che la mafia non esiste». Il riferimento è a un vecchio post su facebook, in cui un sedicente boss del litorale rilanciava alcune dichiarazioni del grillino Alessandro Di Battista. «I Cinque Stelle chiedono le dimissioni di Marino, esattamente come chiede la criminalità». Orfini difende il Pd, il partito dell’anti Mafia Capitale. «L’unico che sta facendo qualcosa, rigenerando la propria classe dirigente». Inevitabile, a stretto giro arriva la risposta di Di Battista. «Matteo Orfini è alla frutta, e considerando che gli hanno arrestato e indagato quasi mezzo partito, se parliamo di frutta parliamo di arance». Una polemica dopo l’altra. Dichiarazione dopo dichiarazione. Sullo sfondo restano le inquietanti vicende della criminalità organizzata nella Capitale.