«Serviva Kickstarter per parlare di crowdfunding in Italia»

«Serviva Kickstarter per parlare di crowdfunding in Italia»

«Per la prima volta i creativi italiani potranno utilizzare Kickstarter per raccogliere fondi in euro, utilizzando la lingua italiana e il proprio conto corrente bancario in Italia». È questo il messaggio chiave del comunicato stampa diramato il 16 giugno dalla piattaforma di crowdfunding più grande del mondo, che conta più di 8 milioni di utenti-donatori che, citiamo ancora una volta il comunicato, «hanno investito circa 1,6 miliardi di euro per dare vita a più di 86.000 progetti creativi». Alimentando progetti di ogni tipo, dal giornalismo alla musica, dalla fotografia al cinema ai videogiochi. La notizia ha suscitato entusiasmo in molti commentatori. Lunedì 22 giugno, a una settimana dalla comunicazione ufficiale, sulla prima pagina del Corriere della Sera Beppe Severgnini ha scritto un articolo che ha il sapore del sospiro di sollievo. «Gli Usa un passo avanti, noi indietro». Continuando all’interno, rincara: «Noi abbiamo i contenuti, loro i contenitori. Noi abbiamo le strade; loro i veicoli».

Sebbene l’arrivo di Kickstarter sia di sicuro una notizia per i creativi italiani, il vero nodo sembra essere un altro. Il “finalmente se ne parla”. Sì, perché il crowdfunding in Italia esiste dal 2005, anno di fondazione di “Produzioni dal basso”. È un mercato ricchissimo sul piano dell’offerta, che vede agire più di 50 piattaforme di ogni tipo, dal rewards all’equity crowdfunding. «L’ho letto e per me è stato un po’ il crollo di un mito giornalistico», dice Paola Peretti, esperta di digital marketing sentita da Linkiesta sul tema. «È un articolo superficiale e ci fa capire quale sia il più grande problema del crowdfunding in Italia: nessuno lo conosce, non ha assolutamente awareness, malgrado esista da quasi dieci anni e malgrado ci siano ormai decine di piattaforme italiane di crowdfunding».

«Siamo stati il primo paese al mondo che ha tentato di legiferare, con un decreto del 2012, includendo il crowdfunding online tra le modalità di finanziamento delle startup innovative»

Paola Peretti, che nell’agosto del 2014 ha pubblicato per Egea il libro Crowdfunding. La via collaborativa all’imprenditorialità scritto insieme a Ivana Pais e Chiara Spinelli, è una delle massime esperte italiane di crowdfunding, mondo che ha censito e che ha studiato a partire dal 2008. Ci tiene subito a sottolineare come l’Italia, al contrario di quanto possiamo essere portati a pensare, è una realtà estremamente ricca per il mondo del finanziamento dal basso. «Da noi il crowdfunding è attivo dal 2005 e, almeno dal 2008 — da quando io me ne occupo — è utilizzabile e funziona».

Ora vivi a New York, come ci vedono gli americani da questo punto di vista?
Se negli Stati Uniti chiedi a chi si occupa di crowd, tutti ti diranno che l’Italia, oltre ad essere un paese pioniere sia dal punto di vista delle piattaforme che dei donatori, lo è stato anche dal punto di vista legale. Infatti siamo stati il primo paese al mondo che ha tentato di legiferare, con un decreto del 2012 che include il crowdfunding online tra le modalità di finanziamento delle startup innovative.

«All’estero non capiscono come sia possibile che un paese che ha una storia di crowd lunga dieci anni e che è stato il primo a legiferare poi creato limiti e barriere di accesso burocratico»

E poi cos’è successo? Perché il crowdfunding fatica a decollare?
Purtroppo, come spesso accade in Italia, il decreto è un ottimo punto di partenza — viene citato anche dal Jobs Act di Obama — ma a quella spinta non è seguito nulla. Tanto che in Svezia, dove prima abitavo, ci hanno criticato perché non capiscono come sia possibile che un paese che ha una storia di crowd lunga dieci anni, e che è stato il primo a legiferare proprio per essere all’avanguardia, abbia poi creato limiti e barriere di accesso burocratico. Paradossalmente sono anche queste cose che esistono solo in Italia, sono catene che probabilmente fanno comodo ad alcune realtà finanziarie che si sentono minacciate dalle nuove forme di finanziamento e di creazione d’impresa. Questa è la situazione di quella parte del mondo crowd che vorrebbe rivoluzionare la finanza, del cosiddetto equity crowdfunding. Per quanto riguarda il donation e il reward, l’Italia resta all’avanguardia, come mi sembra abbia sottolineato anche il fondatore di Kickstarter nel comunicato stampa, perché l’Italia è sul serio uno dei paesi più vicini a queste pratiche. Uno dei più attivi a livello di volontariato, un paese generoso, che ama l’imprenditorialità.

«Il digital divide è una barriera vera e oggettiva, che in Italia sembra quasi incurabile»

Quali ostacoli deve affrontare il crowdfunding per diffondersi anche in Italia?
Il problema dei micropagamenti esiste ancora in parte, ma le piattaforme lo stanno aggirando proponendo metodi alternativi alla carta di credito. Da paypal alla possibilità di pagamento tramite bonifico online, a questo punto non credo che nel futuro possa più essere considerato un reale impedimento alla diffusione del crowdfunding. Invece il digital divide è una barriera vera e oggettiva, che in Italia sembra quasi incurabile.

C’è qualcosa in ballo per cambiare la situazione?
Qualche tempo fa mi avevano proposto di partecipare a una commissione in merito, alla fine ho rifiutato. Mi avevano mandato una bozza di legge e, devo ammetterlo, non ci ho capito nulla. E non è certo questione di non sapere ’’italiano, ma è il politichese italiano che fa diventare incomprensibili e complicatissime delle cose semplicissime come questa. Bisogna investire portando la banda larga in tutto il Paese, è un’infrastruttura necessaria. Una volta si costruivano le linee ferroviarie e, anche grazie a quelle si è sviluppata un’economia che è stata alla base di una grande rivoluzione industriale. Ora le nuove ferrovie sono queste. E sono l’unica possibilità che abbiamo per lanciare un’altra rivoluzione industriale.

Ma è un problema economico o c’è dell’altro?
Non è una questione economica, è una questione di interessi.

«La paura della banda larga è la paura di questa dinamica, la paura che la disintermediazione crei dei disequilibri nei vecchi giochi di potere»

E quali sarebbero?
Questa è una bella domanda. Secondo me sono in tanti, anche perché devi pensare che la diffusione della banda larga e l’erosione del digital divide significa anche aprirsi a un’economia nuova. Ad attori come Amazon e Airbnb, che scardinerebbero completamente il sistema di rendite di posizione e privilegi che caratterizzano il nostro paese. Qua in America succede. C’era un bellissimo articolo che sottolineava come gli Stati Uniti si siano ripresi spianando le vecchie logiche, dalla politica al turismo, dal retail all’informazione, settori rivoluzionati dai nuovi attori. Non avevo mai visto una sintesi così chiara della penetrazione dell’economia digital nelle strutture economiche preesistenti. Pensa al mondo della mobilità. Ora, a parte Uber, c’è una nuova startup a New York che ancora non conosce nessuno e che, basandosi sull’idea del car sharing e sviluppando una app facilissima, permette con 5 dollari di spostarsi su e giù da Harlem a Downtown, dalla 125esima all’11esima. Si fermano ad ogni angolo e tirano su chi c’è. Un tragitto che se usi il taxi spendi 50 dollari, mentre in metro spendi poco meno di quei 5 dollari che ti chiedono. È una sorta di taxi collettivo virato al car sharing, una cosa che in molti paesi del mondo esiste da sempre — pensa al Medioriente — e che qui si riesce a fare grazie al digital. Ecco, la paura della banda larga è la paura di questa dinamica, la paura che la disintermediazione crei squilibri nei vecchi giochi di potere.

MESSAGGIO PROMOZIONALE

Perché in dieci anni il crowdfunding in Italia non è arrivato al grande pubblico, o è arrivato solo in parte?
Uno dei più grandi problemi del crowdfunding in Italia è che in moltissimi non lo conoscono, tanto che Severgnini può scrivere tranquillamente sulla prima del Corriere che «Gli Usa sono avanti. Noi indietro». È un problema gigantesco di awareness, che è zero. Sono almeno tre anni che aspetto una puntata di Porta a Porta sul crowdfunding, e non arriverà mai. Eccezion fatta per Report, nessuno ne parla sulla stampa. Non so se è una cosa volontaria, ma è pazzesco che una realtà così sviluppata come il crowdfunding in Italia non riesca a decollare per mancanza di diffusione nel pubblico. E che debba ancora andare avanti con il passaparola. 

«L’arrivo di Kickstarter in Italia farà parlare del crowdfunding, ne ha fatto parlare a Severgnini sulla prima pagina del Corriere e, anche se sono dieci anni in ritardo sulla realtà, ce n’è bisogno»

L’arrivo di Kickstarter cambierà le carte in tavola?
Se mi chiedi quale spero sia l’effetto dell’arrivo di Kickstarter in Italia ti rispondo che è proprio questo: farà parlare del crowdfunding, ne ha fatto parlare a Severgnini e, anche se sono dieci anni in ritardo sulla realtà, ce n’è bisogno. Come quando Amazon sbarca in un paese e fa fare un balzo all’ecommerce, spero che Kickstarter faccia fare un salto di qualità al crowdfunding. Ma non nell’offerta, che è già ampia, bensì nel pubblico che deve sentirselo raccontare. Senza contare che questi sono americani e quindi le cose le sanno lanciare per bene, credo ci saranno molte iniziative. Ma lasciamo stare i discorsi del tipo “arrivano gli americani che sono più bravi di noi”. Non è vero, almeno non questa volta.

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