«Mi sembra di essere ovunque tranne che in un convegno sindacale». Le parole dell’imprenditore Gianluigi Viscardi, presidente del cluster “la fabbrica intelligente”, arrivano subito dopo che Marco Bentivogli, segretario generale della Fim, i metalmeccanici della Cisl, ha finito il suo intervento. Siamo nel media center dell’Expo e la Fim è la padrona di casa, in un convegno chiamato “#sindacatofuturo in Industry 4.0”. L’industria 4.0, o interconnessa, è quella che si basa su macchinari in grado di dialogare tra loro, di essere riprogrammati a distanza e quindi di diventare più flessibili e adatti a produrre su lotti piccoli. Per capirci, è l’applicazione dell’Internet delle cose alla fabbrica. In Germania se ne discute da due anni, dopo che è stata istituita una commissione governativa che coinvolge grandi aziende e centri di ricerca. In Italia non se ne discute ma buona parte delle innovazioni sono già arrivate, almeno in una fabbrica su quattro, secondo i calcoli del professor Giorgio Barba Navaretti, uno dei tre professori che hanno parlato al convegno (gli altri sono Franco Mosconi e Luciano Pero). Ma se le cose cambiano, sul fronte della produzione, a una velocità elevatissima, sul fronte sindacale siamo all’anno zero.
Bentivogli: «L’Internet delle cose cancella la catena di montaggio. Non mettiamoci dieci anni a capirlo come avvenne con il “just in time”»
A denunciarlo è proprio il segretario del secondo sindacato italiano dei metalmeccanici, che ai colleghi riserva una bordata dopo l’altra. «L’Internet delle cose cancella la catena di montaggio. Con la produzione “sartoriale” dell’Industria 4.0 si va molto oltre il “just in time” degli anni Settanta. Allora i sindacati impiegarono più di dieci anni per capire che le cose erano cambiate. Oggi proviamo per una volta ad anticipare il cambiamento, a non giocare in difensiva, perché in difensiva al massimo si limitano i danni». Anche perché, aggiunge, «se il sindacato non si adeguerà, si avranno fabbriche senza sindacato, come già oggi avviene sempre più spesso. Ma il sindacato serve, perché senza democrazia partecipativa le parti non trovano un terreno di incontro». Per questo, aggiunge, «il bla bla bla sindacale, quello buono per tutte le stagioni, che parla di concertazione, di partecipazione, di maggiori investimenti da fare al Sud, in Fim è vietato. Dobbiamo studiare. È solo grazie alle competenze che il sindacato rientra nell’organizzazione del lavoro. Ci siamo messi ai margini. Ora è importante tornare, sapendo che i contatti in fabbrica non avverranno più solo con le risorse umane e i vertici, ma direttamente con i responsabili della produzione. Ma per farlo dobbiamo essere preparati».
«Il bla bla bla sindacale, quello buono per tutte le stagioni, che parla di concertazione, di partecipazione, di maggiori investimenti da fare al Sud, in Fim è vietato. Dobbiamo studiare»
Giocare d’anticipo significa, in pratica, demolire una serie di tabù. Il primo riguarda le mansioni e gli orari di lavoro. «Sta cambiando tutto, nelle mansioni serve più spazio alla creatività e le otto ore di lavoro rigido sono probabilmente indadeguate», dice il segretario generale dei metalmeccanici Cisl, che fa spesso riferimento a uno studio di Adapt, il centro studi fondato da Marco Biagi, sul tema. Il secondo riguarda la privacy e le preoccupazioni di un controllo sempre maggiore sui dipendenti. «Il problema si ribalterà, perché saranno i lavoratori a controllare la fabbrica, non il contrario». Il terzo riguarda le gerarchie: «Il lavoratore passa da essere operaio specializzato a co-decisore, che una responsabilità di gran lunga superiore al passato. La gerarchia diventa un rapporto molto più diffuso». Il tipo di operaio che, spiega il professor Barba Navaretti, è il «prototipo del lavoratore asindacalizzato. Quando hai forti competenze non hai bisogno di sindacati. Ed è compito dei sindacati capire come difendere questi lavoratori e chiedersi che senso abbia un contratto nazionale di collettivo».
La violazione della privacy dei lavoratori? «Il problema si ribalterà, perché saranno i lavoratori a controllare la fabbrica, non il contrario»
L’ultimo tabù è quello di riconoscere che «l’automazione ha prodotto una diminuzione di posti di lavoro», ma che «i robot non sostituiranno le persone – continua Bentivogli -. Semplicemente, serviranno persone più qualificate e quindi sono necessari investimenti fortissimi sulla formazione. Il Jobs Act è un’occasione persa, perché non ha rilanciato l’apprendistato». E «il sistema formativo in Italia è scassato, per questo nel contratto collettivo chiederemo di aumentare il peso della formazione, oggi siamo fermi agli accordi degli anni Settanta».
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Questo approccio “senza tabù” potrebbe portare a far tornare il lavoro? «Non sono per un’idea ottimistica assoluta – risponde Bentivogli -. Ma l’industria 4.0 sarà un’opportunità se ci attrezzeremo perché i benefici rimangano per molti e non per pochi. Può rappresentare l’interruzione della narrazione del declino dell’industria, perché la crescita di produttività può portare al reshoring (il ritorno di produzioni delocalizzate, ndr)». Tuttavia, «il governo tedesco sta investendo centinaia di milioni in Industrie 4.0 e quello cinese ha un piano al 2025. Rischiamo che altre nazioni si attrezzino più di noi, dove, ad esempio, la questione della banda larga è stata congelata».
Anche per il professor Franco Mosconi (Università di Parma) «le competenze sono il punto fondamentale. Il pensiero interdisciplinare è la chiave. L’industria 4.0 abbraccerà, oltre alla robotica e all’informatica, anche campi come le biotecnologie e le nanotecnologie. Dobbiamo esserne consapevoli perché da questo dipende cosa faremo imparare ai ragazzi. E una cosa deve essere chiara: le trasformazioni non si limiteranno ai settori informatici ma, come ha spiegato un lavoro della General Electric, riguarderanno i trasporti ferroviari, l’aviazione, la generazione di elettricità, l’oil & gas e la sanità. È qualcosa che riguarda tutta la nostra società».