Condannato a morte per apostasia. Succede dall’altra parte del Mediterraneo

Condannato a morte per apostasia. Succede dall’altra parte del Mediterraneo

Condannato a morte per apostasia. Rinchiuso in carcere per uno scritto considerato oltraggioso nei confronti del profeta Maometto e in attesa dell’esecuzione. Succede nel 2015, in Mauritania. Una Repubblica islamica di tre milioni e mezzo di abitanti nell’Africa occidentale. A sud del Marocco. Il protagonista della drammatica vicenda è un giovane ingegnere di 29 anni, Mohamed Cheikh ould Mohamed ould Mkhaitir. Qualche giorno fa la sua storia è arrivata in Parlamento. 

La commissione per la tutela dei Diritti umani presieduta dal senatore Luigi Manconi ha convocato in audizione la sorella del condannato, assieme al presidente dell’Osservatorio internazionale per i diritti Nicola Quatrano, che da mesi segue il destino di Mohamed. «È una vicenda atroce – racconta il presidente Manconi al termine della seduta – una condanna per apostasia che credevamo retaggio dei secoli bui, e che invece rientra ancora negli ordinamenti giuridici contaminati dalla sharia». Seduta accanto a lui, nella sala stampa di Palazzo Madama, c’è anche Aisha Mkhaitir. Silenziosa, ascolta gli interventi dei parlamentari. Indossa i colorati abiti tradizionali del suo Paese. Poco prima, in una «commovente testimonianza», ha raccontato ai membri della commissione la vicenda del fratello, condannato a morte lo scorso dicembre. Oggi i due possono incontrarsi in carcere. Pochi minuti alla settimana, sotto stretta sorveglianza. Ma per quasi un anno Mohamed è stato rinchiuso in perfetto isolamento, anche per evitare aggressioni da parte degli altri detenuti. Insieme ad Aisha è arrivata a Roma anche Aminetou Mint Moctar, militante mauritana per i diritti umani, che proprio per aver difeso pubblicamente il condannato è stata recentemente oggetto di una fatwa di morte da parte di un capo religioso radicale. 

«È una vicenda atroce. Una condanna per apostasia che credevamo retaggio dei secoli bui, e che invece rientra ancora negli ordinamenti giuridici contaminati dalla sharia»

Ma la religione non sembra essere l’unica causa della condanna. A giocare un ruolo fondamentale, raccontano, è la rigida suddivisione della società mauritana. «Un paese – spiega Manconi – articolato su un’organizzazione classista fortemente discriminatoria e una gerarchia sociale fondata sulle caste». Nel testo pubblicato su alcuni siti internet e considerato blasfemo, infatti, Mohamed difendeva la casta dei “maalemine”. Il ceto dei lavoratori manuali, i maniscalchi, di cui fa parte, posto in fondo alla scala sociale mauritana. Gli è bastato per essere condannato a morte. Non è l’unica sentenza capitale comminata da una corte mauritana negli ultimi anni, anche se nel Paese l’ultima esecuzione capitale risale alla fine degli anni Ottanta. 

Ma quella di Mohamed Cheikh ould Mohamed ould Mkhaitir è soprattutto una storia che rischia di passare colpevolmente sotto silenzio. Lo spiega il presidente Quatrano, che nei mesi scorsi è stato in Mauritania – nella capitale Nouakchott e a Nouadhibou, la seconda città del Paese – per seguire la vicenda del condannato. «Dal punto di vista geopolitico il Paese non ha alcuna rilevanza – spiega al Senato il presidente dell’Osservatorio internazionale per i diritti –  Quindi anche gravi violazioni dei diritti umani non sollevano l’attenzione internazionale». Un paese, per fare un esempio, dove esiste ancora la schiavitù. «Ufficialmente è stata abolita nel 1981 – continua Quatrano – Ma solo nel 2007, su pressione delle associazioni a difesa dei diritti umani, si è riusciti a ottenere una legge per criminalizzare questa pratica». 

«Ufficialmente la schiavitù è stata abolita nel 1981. Ma solo nel 2007, su pressione delle associazioni a difesa dei diritti umani, si è riusciti a ottenere una legge per criminalizzare questa pratica».

Quatrano denuncia le incongruenze del processo. In conferenza stampa racconta la decisione di rinunciare al proprio mandato da parte dell’avvocato difensore di Mohamed, spinto a lasciare dalle «pressioni della piazza». Come se non bastasse, lo scorso febbraio anche i due avvocati d’ufficio hanno deciso di fare un passo indietro. Preoccupati da possibili ritorsioni. «E attualmente l’imputato è privo di difesa».

Adesso la vicenda arriva in Italia. L’Osservatorio internazionale per i diritti sta organizzando una missione di giuristi, che andrà in Mauritania per seguire il processo di appello. Nel frattempo grazie all’interessamento dell’Anci, in questi giorni il sindaco di Napoli ha conferito la cittadinanza onoraria della città al condannato a morte. È un’azione simbolica, utile per tenere alta l’attenzione su questa vicenda. Parallelamente è partita una raccolta fondi per l’assistenza legale di Mohamed sul sito buonacausa.org. Dopo l’audizione di questi giorni, la commissione per i Diritti umani avvierà una petizione pubblica. I parlamentari hanno chiesto un intervento del governo per fare pressioni, nei limiti del possibile, sull’ambasciata della Mauritania nel nostro Paese. L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica e sollevare l’interesse su questa incredibile vicenda. Qualche settimana fa Mohamed ha recapitato una lettera al presidente dell’Osservatorio. «Mi auguro di potervi ringraziare personalmente e presto – così scrive – Da uomo libero».

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