«Sono convinto che, dopo questa sentenza, lavorando con impegno è possibile ottenere nuovi elementi di verità anche sulla strage di piazza Fontana». Guido Salvini è giudice per le indagini preliminari a Cremona, ma per trent’anni ha indagato sul terrorismo nero legato alla strage di piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 a Milano.
Ne è tra i massimi esperti, perché grazie al al suo lavoro di magistrato emersero verità che negli anni prima erano rimaste sepolte, anche se alla fine gli imputati – tra cui Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi – furono tutti assolti. Ora, dopo che i giudici della Corte di assise di appello di Milano hanno condannato all’ergastolo lo stesso Maggi e Maurizio Tramonte, il primo membro della cellula veneziana di Ordine Nuovo e il secondo ex fonte “Tritone” dei servizi segreti, per la strage di piazza della Loggia a Brescia, Salvini dice a Linkiesta: «Già nel 2008 un rapporto dei carabinieri diretto alla procura di Milano aveva segnalato novità investigative che purtroppo, nonostante le richieste dei famigliari delle vittime, la procura non ha raccolto. Ma è giunto il momento di farlo».
È una richiesta che si lega a quella fatta da Federico Sinicato, legale delle vittime delle stragi di Milano e Brescia, e pubblicata sulle pagine del Gazzettino di Venezia, in un articolo a firma di Maurizio Dianese – autore, insieme a Gianfranco Bettin, del libro «La strage. Piazza Fontana verità e memoria».
Sinicato lo ha spiegato in questo modo: «Adesso, con la stessa pazienza con la quale siamo arrivati alla verità sulla strage di piazza della Loggia a Brescia, potremmo arrivare alla verità processuale anche per la strage di piazza Fontana, del resto i protagonisti sono gli stessi». Ruotano infatti intorno alla Venezia della fine degli anni ’60 tutti i misteri sulla strategia della tensione e il ruolo che all’epoca ebbe Ordine Nuovo, la frangia militare e terroristica della destra italiana che si macchiò di stragi e omicidi, come pure quello del giudice Vittorio Occorsio per mano di Pierluigi Concutelli tutt’ora in carcere. Nodi da sempre irrisolti, che si mischiano ad apparati dello Stato deviati, ai servizi segreti militari e all’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
«Già nel 2008 un rapporto dei carabinieri diretto alla procura di Milano aveva segnalato novità investigative che purtroppo nonostante le richieste dei famigliari delle vittime la procura non ha raccolto. Ma è giunto il momento di farlo»
È una trama complessa, mai dipanata, che parte da Venezia, o meglio da quella Mestre che Dianese e Bettin descrivono come il punto di partenza per snodare una matassa tutt’ora irrisolta nella storia di questo Paese. È da quelle zone del Veneto, tra Spine, Arzignano in provincia di Vicenza e Padova, che bisogna partire per capire i motivi della morte di 8 persone a Brescia e di 14 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano. Perché da lì arrivano gli esplosivi delle bombe. Le stesse. Con un unico artificiere, il veneziano Carlo Digilio, morto nel 2005, reo confesso ma con pena prescritta, per concorso in entrambe le stragi, che fu ascoltato proprio da Salvini e che, iniziando a collaborare, spiegò punto per punto quegli anni, persino il luogo, un casolare, dove venivano confezionate le bombe.
Sinicato rimarca proprio questo punto, perché la sentenza di piazza della Loggia conferma che Digilio era «attendibile». È stata proprio la Suprema Corte a insistere sulla testimonianza del «pentito nero» perché le assoluzioni per Maggi e Tramonte erano state in appello «ingiustificabili e superficiali».
È stata proprio la Suprema Corte a insistere sulla testimonianza del pentito nero Digilio
Il punto ora è come riaprire l’inchiesta su piazza Fontana. Zorzi ne è uscito assolto, come lo stesso Maggi. Ma secondo Sinicato l’artificiere ha fatto diversi altri nomi di veneziani coinvolti nelle stragi, su cui si potrebbe riaprire il processo. «Qualcuno è rimasto ancora fuori dalle indagini e potrebbero essere questi comprimari a portare ad una sentenza chiarificatrice come quella di Brescia».
Il riferimento è, secondo Dianese, «a un paio di padovani che hanno materialmente partecipato alla stagione delle bombe e che solo adesso sono stati individuati», ma in libertà ci sarebbero «anche quelli che sanno e non hanno parlato. In particolare un mestrino, che milita ancora a destra, e un veneziano, che invece è diventato sindacalista di sinistra».
Manlio Milani, leader del comitato delle vittime della strage del 1974 di piazza della Loggia e marito di una delle otto persone rimaste uccise, lo ha detto appena dopo la sentenza di mercoledì 22 luglio. «Credo sia arrivato il momento di riflettere profondamente su una parte di storia di questo Paese che si è consumata tra il 1969 e il 1974. Mi riferisco alle stragi e alla strategia della tensione». Ora la palla passa alla procura di Milano. Cosa faranno i giudici milanesi?