«Sarà un processo ingombrante che coinvolgerà tutta la sinistra, anche quella di governo». Alessandro Marescotti, fondatore della rete telematica Peacelink, è tra le parti civili nel processo per il disastro ambientale dell’Ilva di Taranto. Da più di dieci anni, con la sua associazione, è impegnato in una battaglia di informazione e di denuncia per i danni all’ambiente che ha provocato l’acciaieria in questi anni. E spiega il suo punto di vista su un’inchiesta che per la prima volta nella storia d’Italia «chiama in causa la politica. È questa la novità assoluta del processo Ilva». Giovedì 23 luglio sono stati rinviati a giudizio in 47, tra questi l’ex governatore della Puglia Nichi Vendola, il coordinatore di Sel Nicola Fratoiani, il sindaco tarantino Ippazio Stefàno, l’ex prefetto e candidato a sindaco di Milano Bruno Ferrante, anche alcuni esponenti del Partito Democratico.
In queste ore, a fare impressione, è il silenzio di buona parte del centrosinistra italiano. Ma pure del centrodestra. Non parla nessuno. Nessuno commenta, dal governo di Matteo Renzi fino agli esponenti politici locali, un processo che rischia di cambiare la storia di questo Paese. Vendola nel frattempo si difende, anche se le intercettazioni uscite già negli anni passati buttano una pesante ombra sull’accusa di concussione aggravata. «E le intercettazioni sono state fondamentali – spiega il leader di Peacelink -. Gli inquirenti hanno avuto una grandissima intuizione, perché sennò non si sarebbero capiti i motivi per cui non cambiava mai niente all’Ilva».
«E le intercettazioni sono state fondamentali – spiega il leader di Peacelink -. Gli inquirenti hanno avuto una grandissima intuizione»
Marescotti nasce nel Pci. Ha fatto studi marxisti, ma adesso si definisce un eco pacifista, con una visione nonviolenta. Su Vendola aveva scommesso sin dal lontano 2005. E’ stato un suo elettore. «Sì, lo avevo sostenuto in campagna elettorale, come pure il sindaco Stefàno. Speravo fossero la svolta, dopo anni di governo di centrodestra, invece…». Il leader di Peacelink non vuole dare giudizi affrettati. «Non mi interessano le questioni giudiziarie, su cui dovrà pronunciarsi la magistratura, qui il problema è un altro. In questi anni abbiamo sempre cercato, come associazioni, un contatto con Vendola. E lui non ci ha mai risposto. Non siamo i soli che ci siamo battuti in questi anni per i danni ambientali dell’Ilva. Ho chiesto più volte a Vendola un incontro, come a tanti altri politici, ma ci hanno lasciati soli, non hanno mai risposto su molti casi importanti. Era sempre occupatissimo. Un politico si misura anche in questo. E devo ammettere che ci siamo sentiti un po’ traditi, anche perché arrivavamo dalla stessa area politica».
«Molti hanno barattato l’ecologia per le carriere, c’è chi fa così, a me non è capitato»
Marescotti, infatti, i dirigenti attuali della sinistra pugliese li conosce tutti. «Li ho visti cambiare nel tempo, la stessa Rifondazione Comunista è rimasta scottata in tutta questa storia. Al sindaco Stefàno preparavamo persino le le osservazioni Aia per l’Ilva. Mai presentate da lui». Del resto, a Peacelink si deve gran parte delle scoperte sul caso Ilva. Sin dal 2005, quando proprio la rete di Marescotti scoprì che a Taranto si produceva il 30% della diossina industriale nazionale. Fino a quel momento nessuno aveva mai affrontato l’argomento. «E nel 2007 scoprimmo che il dato aveva superato il 90%», aggiunge. Una storia lunga, fatta di delusioni ma anche di soddisfazioni, soprattutto dopo la decisione del Gup di Taranto di portare avanti un processo che inizierà il 20 ottobre e che potrebbe dare una verità ufficiale sul danno ambientale dell’Ilva. Marescotti è un ecologista, aspetto politico ormai scomparso nella sinistra italiana. «Molti hanno barattato l’ecologia per le carriere, c’è chi fa così, a me non è capitato».