La prima impressione è che si sia rotto un neon. Anzi, tre o quattro. La luce sfarfalla in più punti di un ex capannone industriale i cui intonaci sono in gran parte scrostati. Ma siamo a Berlino Est, via della Comune di Parigi (Pariser Kommune), a un passo dall’ex Muro. Qui, quartiere Friedrichshain, tutto per essere cool deve essere apparentemente trasandato, come i vestiti dei ragazzi che animano la settimana della moda berlinese. Nel capannone industriale i muri scrostati sono un vezzo, e le luci sfarfallanti non sono che i flash di macchine fotografiche che scattano foto a ripetizione. Ogni giorno il Content Creation Hub mette online – in media – 1.000 prodotti. Le foto saranno viste sugli smartphone e sui computer dei 15 Paesi europei in cui opera Zalando, un sito di e-commerce tedesco che rappresenta l’equivalente europeo più vicino ai grandi colossi tecnologici della Silicon Valley: Google, eBay e soprattutto Amazon. Gli ingredienti dell’immaginario collettivo sugli OTT (over the top) della Silicon Valley ci sono tutti: gli arredi informali con profluvio di cucine e biliardini. I manager, probabilmente milionari, in infradito e pantaloncini, con un look che non si discosta dalla foto degli albori, targata 2008: uno scantinato con una decina di ventenni in felpa. I quali solo otto anni più tardi – grazie all’accompagnamento dell’incubatore Rocket Internet – sarebbero stati protagonisti dello sbarco in Borsa dal valore di oltre 5 miliardi di euro, il maggiore Ipo tecnologico in Europa negli ultimi 15 anni. Dallo scorso settembre, per la cronaca, le azioni, dopo un mini-crollo dei primi giorni, hanno aumentato il valore di circa il 50 per cento, mentre il fatturato ha superato i 2 miliardi di euro. Ci sono poi le migliaia di ragazzi impiegati: età media 30 anni, provenienti da tutta Europa, che creano un’atmosfera da campus universitario. Tra questi ci sono buyer, stilisti e 700 sviluppatori digitali, il cuore nerd e tecnologico del sito.
Un’immagine del reparto di “photo-shooting” di Zalando (foto aziendale)
La fabbrica del commercio
Dietro il sito c’è molto più di una piattaforma digitale: c’è una vera industria del commercio
Ma c’è una differenza rispetto a molte altre aziende basate sulla tecnologia. In due giorni di visite a tambur battente tra magazzini, reparti moda, acquisti, tecnologia e innovazione, quello che si ricava è che dietro il sito c’è molto più di una piattaforma digitale: c’è una vera industria del commercio. A differenza di siti come eBay, marketplace che mettono in contatto venditori e clienti, Zalando acquista le merci, le immagazzina e le spedisce, verso tutti i Paesi serviti, da tre centri logistici in Germania. In ogni passaggio, dagli acquisti dai fornitori alla consegna dei vestiti o delle scarpe ai clienti, l’industrializzazione riempie di azioni ogni secondo di lavoro.
Un’immagine del reparto di “photo-shooting” di Zalando (foto aziendale)
Il capannone del “photo-shooting” rende l‘idea: in una serie di piccole nicchie sulla sinistra ci sono una decina di modelle e modelli al caldo dei riflettori. Attorno a loro truccatori, stilisti, photoshopper e fotografi, che scattano e selezionano le foto a ripetizione. Negli spazi centrali in corrispondenza delle nicchie ci sono varie “isole” produttive, ciascuna delle quali fa le stesse cose, per ambiti diversi (abbigliamento formale, sportivo, uomo, donna e così via). Si scattano le foto degli abiti su un manichino, chi è al Photoshop toglie tutti i dettagli sgradevoli (bordi slabbrati o eventuali ombre), ci sono impiegate che misurano e catalogano gli abiti e le scarpe. In totale nell’area lavorano 120 persone.
Il regno del codice a barre
È però solo un assaggio del grado di industrializzazione che si può osservare nella logistica. Il magazzino di Mönchengladbach, vicino a Düsseldorf, è il più recente dei tre siti logistici della società. Ci lavorano 1.800 dipendenti, 900 per ognuni dei due turni, su una superficie di 75mila metri quadrati, a cui se ne stanno per aggiungere altri 50mila. Ovunque ci si giri ci sono tapis roulant che trasportano cassette di plastica arancioni, con un rumore coperto a mala pena dalla musica pop e rock in sottofondo.
Un’immagine di un centro logistico di Zalando (foto aziendale)
Si trovano fianco a fianco scatole di scarpe di ogni marca e modello. Sarà il computer a indicare a chi deve fare “picking” la strada più vicina
Come negli altri centri logistici, i lavoratori camminano tanto. C’è però una differenza rispetto ad altri centri: gli oggetti in entrata, tra nuovi prodotti e resi (che sono ben il 50% dei prodotti spediti) non si portano in aree separate per marchi, ma si mettono semplicemente nel posto più vicino sugli scaffali. Si trovano quindi fianco a fianco scatole di scarpe di ogni marca e modello e lo stesso vale per i vestiti. Sarà il computer, grazie a una catalogazione con codice a barre, a indicare a chi deve fare “picking”, la presa di un oggetto, la strada più vicina. La successione delle decine di corridoi, lunghi ciascuno un centinaio di metri, è imponente e ricorda lo straniamento ricercato nello spettacolo “Infinities” di Luca Ronconi. Una volta presi, i singoli oggetti vengono trascinati dai tapis roulant, sempre seguendo le indicazioni dei codici a barre, nelle diverse area del sorting, o smistamento, dove gli operai riempiono i vari scaffali con i diversi oggetti dei vari ordini.
Un’immagine del centro logistico di Mönchengladbachdi Zalando (foto F. Patti / Linkiesta)
Segue la fase dell’impacchettamento e della stampa dei documenti di consegna. Infine, dai tapis roulant i pacchi cadono da scivoli a spirale verso l’ultimo passaggio, dove i magazzinieri li infilano nei camion, con incastri da campioni di Tetris. L’automazione sarà ancora più spinta in una nuova area del magazzino, chiamata “back sorter”, di prossima realizzazione. Oggi dal click dell’utente alla spedizione passando 4-5 ore, che scendono a meno di due nel caso dei servizi con spedizione express.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Le critiche al magazzino
Dopo i servizi televisivi di denuncia sono stati fatti cambiamenti nei siti produttivi. Sono entrati i sindacati, ma non a Mönchengladbach, dove solo il 5% dei posti di lavoro è a tempo indeterminato
Quello della logistica è stato, fin qui, il passaggio del processo produttivo che più ha subito critiche dall’esterno. Due servizi giornalistici hanno denunciato il basso livello delle condizioni di lavoro degli operai. Il primo dei due servizi, nel 2012, ha avuto come conseguenza la rottura di un contratto con il magazzino preso in affitto da parte di Zalando, la scrittura di un codice etico e la internalizzazione della logistica. Un secondo, realizzato nel 2014 dalla tv Rtl, attaccava il principale magazzino di Zalando, quello di Erfurt.
Un lavoratore cammina tra gli scaffali del centro logistico di Mönchengladbachdi Zalando (foto F. Patti / Linkiesta)
Una giornalista, assunta con contratto temporaneo, raccontò che i dipendenti arrivavano a camminare 27 chilometri al giorno (per la società sono tra i 15 e i 20), denunciò la morte di un lavoratore in fabbrica (circostanza poi smentita dalle autorità), che le cure mediche non erano assicurate in caso di malori (circostanza smentita dall’azienda), che le pause erano ridotte (un’ora su un turno di 8 ore, spostamenti inclusi), che non c’erano sedie per sedersi (introdotte a seguito del servizio), che il sistema It veniva usato per tenere sotto controllo i dipendenti, che mancavano le rappresentanze sindacali. La società ha ottenuto la rimozione del servizio televisivo e ha denunciato la giornalista per spionaggio industriale. Qui ci sono le risposte della società alle accuse. Una delle conseguenze del polverone alzato è che sono entrati i consigli di fabbrica (cioè i sindacati) nei centri logistici, anche se non in quello di Mönchengladbach, dove solo il 5 per cento dei posti di lavoro è a tempo indeterminato. Lo stipendio entry-level a Mönchengladbach è di 9,87 euro all’ora.
Piccola Europa
Per quanto fondamentale per ottenere i risparmi di costo, il magazzino è solo una parte del modello di business del sito di e-commerce. Allo Zalando Fashion Hub è schierato l’esercito dei buyer. A un altro piano ci sono gli stilisti e gli altri professionisti del fashion design. Vengono progettate le linee private label, che sono circa una decina. Tra scampoli, manichini e bacheche con i disegni si tengono diverse riunioni operative.
Un’immagine del Fashion Hub di Zalando (foto aziendale)
Lea Rogosic, merchandiser da Treviso: «Non ho mai lavorato un giorno in Italia»
Una delle divisioni principali dei reparti commerciali è per nazionalità. Per quanto il database sia unico, la scelta è stata di trattare in modo separato il merchandising, la comunicazione e il servizio clienti dei vari Paesi. L’Italia è stata messa insieme alla Spagna, per una somiglianza culturale di fondo, anche se i mercati sono abbastanza diversi quanto ai comportamenti dei consumatori. A guidare il team italo-spagnolo è un ragazzo italiano, Giuseppe Tamola, 29 anni, arrivato come altri dopo un’esperienza in una società di consulenza a seguito della laurea. È uno degli italiani che incontriamo nel giro negli uffici.
L’ufficio dedicato ai mercati italiano e spagnolo nella sede di Zalando (foto F. Patti / Linkiesta)
Oltre a Matteo Bovio, membro della comunicazione corporate e nostra guida nel viaggio stampa, c’è Lea Rogosic, giovanissima merchandiser trevigiana che, dopo la laurea in economia a Milano e un’esperienza in Spagna alla Mango, è passata a Berlino. «Non ho mai lavorato un giorno in Italia», sintetizza. Federico Rossi, responsabile commerciale per l’Italia, ha fatto invece in tempo a lavorare per una società di consulenza specializzata nello sport. «È incredibile la differenza tra la burocrazia e la lentezza dell’ambiente dello sport in Italia e la velocità che si vive qui», spiega. «Anche se l’atmosfera è a metà tra quella di un campus e quella di una start up – aggiunge – la maggior parte di noi è qui per restare, non c’è un senso di precarietà». Da responsabile commerciale ha sott’occhio il consumatore italiano, che ha una particolarità: cerca molto più degli altri le offerte su smartphone.
Federico Rossi e Lea Rogosic, membri del team italiano di Zalando (foto F. Patti / Linkiesta)
Italia, il paese del contrassegno
Per vincere la ritrosia degli italiani è stato introdotta quella che in Germania è una bestemmia: il pagamento in contrassegno in contanti alla consegna
Il mercato italiano, aggiunge Giuseppe Tamola, è salito dal 2013 al 2014 del 100 per cento e nel 2015 «cresce a doppia cifra». La provincia ordina più delle grandi città, in rapporto ai suoi abitanti. E una forte domanda pare arrivi dalla Sardegna. Per vincere la ritrosia degli italiani all’e-commerce è stato introdotto quello che in Germania è una bestemmia: il pagamento in contrassegno in contanti alla consegna. Gli italiani si fanno più problemi dei tedeschi a restituire i capi che non li soddisfano (pare che i tedeschi ordinino gli abiti in più taglie e colori e scelgano i migliori). In compenso, hanno avuto più bisogno di investimenti nelle pubblicità televisive, con una testimonial (figura ignota nel resto d’Europa, Olanda esclusa).
Il cuore della tecnologia
Il centro tecnologico di Zalando è guidato da Eric Bowman, uno dei creatori della serie di videogiochi The Sims
Se l’atmosfera al Fashion Hub è quella di una grande casa di moda, bastano pochi minuti di taxi per ritrovarsi al Tech HQ, il cuore tecnologico di Zalando. Qui lavorano 700 sviluppatori, guidati da Eric Bowman, imponente statunitense sui 50 anni, che rimarrà alla storia per essere stato uno dei creatori dei “Sims”, la fortunata serie di videogiochi di simulazione di vita reale. Il lavoro è organizzato in team, ci spiega, che sono spinti ad avere una logica di competizione imprenditoriale. Sono autonomi l’uno dall’altro, lavorano per progetti separati e, con il passare del tempo, sono stati anche resi liberi di usare software e i linguaggi di programmazione anche molto diversi. È incoraggiato l’uso dell’open source. Molta parte dei programmi è sviluppata internamente. Bowman è orgoglioso di un numero, che a molti di noi dice poco: «internamente sono state scritte 6 milioni di righe di codice». Un centro tecnologico è stato aperto da poco a Dublino e sarà seguito da uno a Helsinki, sede della fu-Nokia.
Eric Bowman, tra i creatori dei Simis, a capo del dipartimento tech di Zalando (foto F. Patti / Linkiesta)
Il Natale 2014 ha segnato un sorpasso storico delle visite da tablet e smartphone rispetto a quelle da desktop
Uno dei trend tecnologici più forti e semplici da comprendere è la crescita sempre maggiore dei dispositivi mobili. Il Natale 2014 ha segnato un sorpasso storico delle visite da tablet e smartphone rispetto a quelle da desktop. Gli acquisti sono ancora inferiori, ma aumentano sensibilmente. Una seconda convinzione ferrea è che siano le app lo spazio del commercio al dettaglio del futuro. App e non un semplice sito ottimizzato per il mobile, perché le applicazioni sfruttano molte più funzioni (foto, video, voce, messaggistica) e in definitiva sono in grado di tenere incollate le persone, soprattutto i più giovani, alle offerte. Si parla di applicazioni perché Zalando ha scelto di crearne più di una. Una di queste è chiamata Amaze, è stata realizzata grazie a una partnership con una società esterna, ed è una semplice replica dell’app principale, sebbene con una navigazione diversa, basata sullo sfoglio delle offerte. Un altro caso, invece, è decisamente più interessante, perché segna il passaggio di Zalando da sito di e-commerce a qualcosa di più complesso.
Il dipartimento tech di Zalando (foto F. Patti / Linkiesta)
Modello Uber
“Zalon” è un servizio di consulenza telefonico messo a disposizione dei consumatori. Lanciato in Germania da un paio di settimane, si avvale per ora di 150 “esperti di moda” free-lance
A parlarcene è uno dei due fondatori in persona, Robert Gentz. Trentadue anni, camicia di jeans e modo di fare quasi timido, è la mente tecnologica e commerciale della società. L’altro socio, David Schneider, classe 1982, incontrato la sera prima a un evento per la settimana berlinese della moda, è invece l’anima più fashion del duo di fondatori. Dopo aver ripercorso la storia del gruppo, parla di “Zalon”, un servizio di consulenza telefonica messo a disposizione dei consumatori. Lanciato in Germania da un paio di settimane, si avvale per ora di 150 “esperti di moda” free-lance selezionati da Zalando (arrivano circa 200 curriculum alla settimana) che guidano i consumatori all’acquisto sul sito di Zalando, attraverso un questionario. Seguendo una tendenza che si sta facendo strada anche in altre società tecnologiche, si tratta quindi di inserire un elemento umano in un sistema che per lo più si basa sulla forza dell’algoritmo. La strategia più di lungo periodo è quella di trasformare la società una “fashion destination”, che fa cioè diverse attività. Già oggi, con le “Brand Solutions” si dà la possibilità ai marchi di creare una propria pagina personalizzata all’interno del sito. Oggi sono 40 e il numero è destinato a crescere. Alle varie aziende che passano da Zalando sono messi a disposizione gratuitamente anche vari dati sulle performance, attraverso un sistema di Analytics. Per quelli più dettagliati le aziende invece pagano.
Robert Gentz, co-fondatore di Zalando (foto F. Patti / Linkiesta)
Zalando potrebbe segnalare il negozio più vicino che ha quella borsa e, magari, mandare un fattorino, anche quelli di Uber
Un altro esempio portato da Gentz è più visionario e si potrebbe sviluppare «in 2-3 anni». Si tratta di mettere la società «al centro dell’ecosistema della moda», mettendo in contatto grazie alla tecnologia i clienti, i produttori, ma anche gli intermediari classici, tra cui i negozianti. Gentz fa un esempio significativo: se una persona vede una borsa su un sito, per esempio quello di una fashion blogger, il sistema potrebbe permettere di riconoscere la borsa e acquistarla su Zalando. In alternativa, Zalando potrebbe segnalare il negozio più vicino che ha quella borsa e, magari, mandare un fattorino – «anche con modelli nuovi, come quello di Uber» – a portarla in ufficio al cliente. «Sono in corso dei colloqui con alcuni piccoli retailer. Non abbiamo ancora capito la formula migliore» per la visione, dice Gentz. Per i negozi tradizionali il messaggio sembra chiaro: vi offriamo una collaborazione, sta a voi decidere se stare al gioco o continuare a competere.
Un’immagine della Zalando Fashion House, allestita per la settimana della moda berlinese (foto F. Patti / Linkiesta)
Nello Shuttle
Per aiutare le idee a passare dalla testa alla realtà c’è una stanzona, al piano terra del quartier generale tecnologico, che al momento è completamente sgombra. Nel giro di pochi giorni si riempirà, ci spiegano i responsabili dell’innovazione, in pantaloncini, maglietta e infradito, di stampanti 3-D, visori di realtà virtuale come Oculus, ricostruzioni temporanee di negozi. Lo scopo è quello di fare test e il nome che è stato affidato alla stanza è evocativo: The Shuttle.
Un’immagine di The Shuttle, la stanza dedicata all’innovazione (foto F. Patti / Linkiesta)
Vari gruppi di lavoro avranno ciascuno una settimana di tempo per usare il laboratorio e cominciare a sviluppare delle nuove soluzioni. Le idee che dopo la presentazione del venerdì risulteranno vincenti davanti a una commissione potranno andare avanti con lo sviluppo dentro la società. Potrebbero partecipare anche le università. Ma, sono d’accordo i vari responsabili della tecnologia interpellati, «oggi qui si impara molto più di quanto non avvenga nelle università». Di certo, rispetto alle migliaia di piccole aziende che non hanno i mezzi di investire in innovazione, siamo distanti anni luce. Oggi Zalando conta circa 8mila dipendenti. Nei prossimi 12-18 mesi ne vuole assumere altri duemila, soprattutto nel reparto di tecnologia.
Uno degli spazi ricreativi nella sede Tech HQ di Zalando (foto F. Patti / Linkiesta)