Tutto cominciò con un telegramma improvvido: la sera del 13 marzo 2013, nelle ore concitate seguenti all’annuncio dato dal cardinale Jean Louis Tauran che il nuovo papa era l’argentino Jorge Mario Bergoglio, dall’ufficio stampa della Cei partì un messaggio di auguri rivolto al nuovo pontefice….Angelo Scola. Un incidente, una gaffe, niente di più, tale però da mostrare, come in una seduta psicanalitica, quali fossero le vere aspettative sul successore di Benedetto XVI coltivate dai vertici della Chiesa italiana.
Il passo falso mise fin da subito sul binario sbagliato il rapporto fra papa Francesco e il presidente dei vescovi italiani e probabilmente non aiutò nemmeno l’arcivescovo di Milano (che in effetti era stato l’avversario principale di Bergoglio in conclave). Da allora l’incomunicabilità fra il cardinale Bagnasco e la Santa Sede ha seguito un percorso tortuoso, quasi mai emerso in modo davvero clamoroso, eppure con una differenza di impostazione e di vedute, di modi d’agire e di priorità pastorali, di contrapposizioni, cresciute nel tempo.
Nelle ore successive alla nomina di Bergoglio, dall’ufficio stampa della Cei partì un messaggio di auguri rivolto al nuovo pontefice….Angelo Scola
Le voci del dopo conclave raccontavano di un Bergoglio sorpreso dal fatto che Bagnasco non si fosse dimesso dall’incarico dopo le dimissioni di Benedetto XVI, come il resto della Curia vaticana, in attesa di essere poi riconfermato dal nuovo papa. Anche il presidente della Conferenza episcopale italiana è, come i capi dicastero vaticani, nominato dal pontefice. E proprio su questo punto il papa aveva chiesto successivamente ai vescovi italiani una svolta: procedete all’elezione diretta del vostro capo, democratizzatevi. Ma questo significava due cose: in primis la fine del rapporto privilegiato e del ruolo di “grandi elettori” svolto da alcuni porporati italiani interni al Vaticano o arcivescovi di peso in Italia, rispetto alla nomina del presidente della Cei. Inoltre, un’elezione diretta comportava un’assunzione di responsabilità in più, un’autonomia che significava anche non aver più le spalle coperte dal Vaticano. L’episcopato si spaccò poco più di un anno fa sulla richiesta del papa partorendo un meccanismo misto e confuso in base al quale prima si seleziona un gruppo ristretti di candidati e poi è sempre il papa a scegliere.
In realtà secondo Bergoglio fatta la riforma elettorale, bisognava eleggere il nuovo presidente, cioè il successore di Bagnasco, una svolta che sarebbe dovuta avvenire già nel novembre scorso. Ma la divisione interna all’episcopato fra riformatori e difensori dello status quo, ha indotto Francesco a non aprire un conflitto permanente con la Chiesa italiana; nel frattempo l’arcivescovo di Genova provava ritagliarsi il difficile ruolo di capo dell’opposizione italiana al pontificato. Il papa, da parte sua, lasciava i vescovi a sbrigarsela da soli con gli affari italiani riducendo al minimo le relazioni con la politica italiana.
Bagnasco è stato, in ogni caso, fermo sostenitore dei principi non negoziabili: la battaglia contro le unioni civili omosessuali è il simbolo di questa scelta
L’accordo Ruini-Bertone e la scelta Bagnasco
Bagnasco era stato eletto presidente per la Cei per la prima volta nel marzo 2007 in ragione di un accordo fra i cardinali Camillo Ruini, a lungo dominatore dell’episcopato italiano, e Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Benedetto XVI, ex arcivescovo di Genova, che voleva gestire in prima persona e per di più dal Vaticano i rapporti fra Italia e Chiesa. L’esordio fu col botto: nel maggio del 2007 veniva convocato il primo Family Day, che vide in piazza, insieme al cattolicesimo più integralista, Berlusconi e mezzo centrodestra. L’evento sancì l’alleanza fra le truppe della destra italiana e la Cei.
Il patto di potere però cominciò a sgretolarsi di lì a poco, via via che l’egemonia berlusconiana s’incrinava sotto i colpi degli scandali privati e di una crisi economica e sociale angosciante. Bagnasco è stato, in ogni caso, fermo sostenitore dei principi non negoziabili: la battaglia contro le unioni civili omosessuali è il simbolo di questa scelta.
Con il cardinale di Genova la Cei ha cercato di liberarsi faticosamente del legame preferenziale con Berlusconi. La strada seguita è stata quella di un’estrema prudenza, mantenuta fin quasi alle soglie della caduta del governo del Cavaliere. In quest’ottica anche l’associazionismo cattolico, sotto la guida di Bagnasco, riunitosi per due volte a Todi (nel 2011 e nel 2012), ha dato segni di dissenso rispetto a un eventuale patto politico fra la Chiesa e la destra italiana, ormai insostenibile. La soluzione immaginata è stata, però, quella della rinascita di un partito cattolico conservatore, magari sotto la guida di un leader stile Angelino Alfano, oppure di un Maurizio Lupi o di un Roberto Formigoni.
Il vechio modello ecclesiale di Bagnasco, è andato in frantumi. Le cause sono tante: l’elezione di Bergoglio e le sue nuove priorità, il dinamismo sociale e pastorale, il tema centrale della misericordia, la chiesa ospedale da campo (che accoglie diseredati e “feriti” dall’esistenza), l’apertura – quantomeno in termini culturali e di sensibilità – sugli omosessuali, il dibattito per concedere la comunione ai divorziati risposati, la scomunica ai mafiosi, la battaglia intransigente in favore dei migranti e dei rifugiati, l’attacco alla finanza internazionale, l’enciclica verde e sociale che recupera però una figura centrale della tradizione cristiana italiana come San Francesco. Ma il cardinale è rimasto al suo posto e per questo sono nati nuovi problemi. Di fatto Bagnasco da presidente della Cei si sta trasformando sempre di più nel capocorrente “ufficiale” dei resistenti al cambiamento (quello sostanziale rimane il cardinale Scola), e anche al sinodo sulla famiglia si è schierato fra i tradizionalisti.
L’isolamento del presidente della Cei
Bergoglio, da parte sua, con stile gesuitico, ha cominciato a fare terra bruciata intorno al “rivale”. Il primo a lasciare il suo posto è stato monsignor Mariano Crociata, ex Segretario della Cei, mandato a Latina. Di recente, poi, il portavoce e sottosegretario della conferenza episcopale, monsignor Domenico Pompili – che ha costantemente supportato il cardinal Bagnasco – è diventato vescovo di Rieti. Le diocesi del Lazio sembrano così essere diventate terra d’esilio. Quindi papa Francesco ha nominato un nuovo Segretario della Cei, nella figura di monsignor Nunzio Galantino. Quest’ultimo gode con tutta evidenza della fiducia del pontefice.
La Chiesa italiana sotto la sua guida non è riuscita a modificare le criticità di fondo che ne disegnano un progressivo declino, in linea con quanto sta avvenendo nel resto d’Europa
Bagnasco ha 72 anni (a gennaio ne compirà 73), l’età della pensione per un vescovo è 75. In passato è stato vescovo a Pesaro e ordinario militare per l’Italia, appartiene alla scuola del cardinal Siri, il celebre arcivescovo di Genova leader del fronte conservatore. Dopo essere stato riconfermato nel 2012 da Ratzinger alla guida della Cei per un secondo quinquennio, Bagnasco ha ottenuto un placet da Bergoglio per restare fino alla conclusione del mandato (nel 2017), anche se il suo ruolo pubblico appare fortemente ridimensionato.
La Chiesa italiana sotto la sua guida non è riuscita a modificare le criticità di fondo che ne disegnano un progressivo declino, in linea con quanto sta avvenendo nel resto d’Europa. Il calo delle vocazioni resta costante, diminuiscono preti diocesani e religiosi (4.586 sacerdoti in meno dal 2002 al 2012, dati Cei), per non parlare del crollo della vocazioni femminili (21.744 suore in meno nello stesso periodo). Le cause sono molteplici, ma certo il quadro generale è inequivocabile. Per altro l’età media dei sacerdoti italiani è alta, più di 60 anni, nel prossimo futuro è immaginabile una riduzione delle parrocchie e un accorpamento delle diocesi (pure chiesto dal papa che anche in questo caso ha incontrato l’opposizione dei vescovi). Di recente, poi, lo stesso Galantino ha sottolineato come in quasi metà delle diocesi italiane vi siano problemi più o meno seri e gravi di cattiva gestione economica. Infine sul fronte abusi sessuali da parte del clero le cose non sono cambiate molto. Nel corso degli ultimi 12 mesi si sono moltiplicati i casi e le denunce senza che però a questa escalation sia seguita una presa di coscienza pubblica del problema da parte della Chiesa italiana.