Dopo il clamore iniziale, sull’inquietante vicenda di Daniele Bosio è sceso il silenzio. Che fine ha fatto l’ambasciatore italiano arrestato nelle Filippine per traffico e abuso di minori? Arrestato nell’aprile di un anno fa, il diplomatico aveva conquistato l’attenzione di buona parte dei media. Poi la sua storia è finita lentamente nel dimenticatoio.
Eppure Bosio è ancora a Manila. In seguito a una lunga serie di vicende giudiziarie e a una detenzione ai limiti della sopportabilità umana, il processo è appena iniziato. È una vicenda strana, quella dell’ex ambasciatore italiano in Turkmenistan. A 15 mesi dall’arresto e quasi un anno dopo la chiamata in giudizio, l’accusa non ha ancora terminato di presentare le testimonianze e le prove in proprio favore. E a nulla è valsa la visita del sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, che lo scorso marzo si è recato nelle Filippine per informarsi sugli sviluppi della vicenda giudiziaria di Daniele Bosio. Una missione per rilanciare il dialogo politico bilaterale tra i due Paesi, stringere nuovi rapporti commerciali ed economici. Ma anche per incontrare il ministro della Giustizia e auspicare «un processo equo e veloce» per il nostro connazionale.
Sarà il tribunale a decidere se Bosio è colpevole o meno del reato di cui è stato chiamato a rispondere. Al centro della questione c’è, semmai, il diritto a un giusto processo
In discussione non c’è la responsabilità penale dell’italiano. Sarà il tribunale a decidere se Bosio è colpevole o meno del reato di cui è stato chiamato a rispondere. Al centro della questione c’è, semmai, il diritto a un giusto processo. La difesa del diplomatico ha più volte sottolineato l’irritualità dell’arresto. Denunciato nell’aprile 2014 da alcune attiviste di una Ong che lo avevano visto in compagnia di alcuni bambini in un parco acquatico, l’italiano si è fin da subito messo a disposizione delle autorità. È stato proprio lui a raccontare di aver condotto i minori nel suo appartamento e di averli fatti lavare nella sua doccia (si tratta di ragazzi di strada, di uno dei più poveri “slum” di Manila) . Al commissariato di Binan, Bosio viene detenuto e interrogato. Senza essere informato dei propri diritti, senza essere assistito da un avvocato e privato dei propri effetti personali, l’ambasciatore finisce in carcere dopo aver firmato inconsapevolmente una rinuncia ai propri diritti di indagato.
In cella Bosio rimane per oltre un mese. Uno stanzone di trenta metri quadrati da dividere con altri 80 detenuti. Ed è qui che l’italiano accusa gravi problemi renali, tali da rendere urgente un trasferimento in ospedale. Intanto la vicenda continua ad essere caratterizzata da lungaggini e stranezze. Il pubblico ministro si rifiuta di tenere in considerazione le dichiarazioni giurate dei genitori dei bambini coinvolti, che assicurano di avere affidato i minori a Bosio per un pomeriggio di svago. Il 26 maggio 2014 il diplomatico viene rinviato a giudizio. Dopo due mesi, però, viene liberato su cauzione. Il giudice conferma che «non esistono prove sufficienti sulle finalità di sfruttamento dell’accusato nel condurre i minori al parco acquatico. Dalle prove finora addotte, dove il riferimento è alle testimonianze dei bambini, sembra che lo scopo della condotta dell’accusato fosse di portare i minori a nuotare».
In attesa di conoscere la verità, inizia la fase processuale. L’avvio del procedimento viene posticipato più volte: da ottobre a novembre, poi dicembre. Si arriva in primavera
Nel frattempo difesa e accusa si sfidano. In attesa di conoscere la verità, inizia la fase processuale. E qui si registrano altre incongruenze. L’avvio del procedimento viene posticipato più volte: da ottobre a novembre, poi dicembre. Nuovo intoppo. L’accusa rimprovera al giudice scarsa imparzialità, sarebbe troppo vicino alla posizione di Bosio. Il magistrato filippino viene sostituito e il processo slitta ancora. Si arriva in primavera. Ma anche l’attesa udienza del 15 aprile deve essere cancellata, perché le accuse si dichiarano “non pronte”. Si arriva così allo scorso 23 aprile. Sono passati 246 giorni. La legge filippina impone la conclusione del processo entro sei mesi dalla chiamata in giudizio, in realtà a maggio e giugno il tribunale cancella altri due appuntamenti. Nelle nebbie di una vicenda ancora tutta da chiarire, restano le parole rilasciate a Manila dal sottosegretario Della Vedova, subito dopo l’incontro con il ministro della Giustizia filippino: «Alla luce dei 12 mesi passati con schermaglie, del fatto che (Bosio, ndr) è stato rilasciato su cauzione e che quindi un giudice ha valutato non gravissima la situazione, ho esposto la preoccupazione generale di un procedimento che non finisca nelle secche». Ma l’impressione è che il processo, nelle secche, ci sia già finito.