Non è molto probabile, ma potrebbe capitare. Finire dispersi in luoghi abbandonati, deserti, o naufragati su un’isola deserta o perduti in una prateria infinita. In quel caso, se si ha disposizione legno, fogliame, un lenzuolo e qualche fiammifero, una buon modo per chiedere aiuto sono i segnali di fumo. Sì, come nei western.
Per farlo, prima di tutto serve accendere un fuoco (elementare, ma è sempre bene essere precisi). Il fuoco va alimentato con legname e, soprattutto, con erbe e foglie. Serve che bruci, certo, ma soprattutto che emetta fumo. Le foglie servono proprio a questo.
Poi, serve un lenzuolo bagnato (è importante che sia bagnato) da stendere, al momento opportuno, sul fuoco. Le fiamme non devono essere soffocate, il lenzuolo non deve prendere fuoco, ma il flusso di fumo deve essere interrotto. Quando si risolleverà il lenzuolo, si formerà una nuvola, compatta. È il primo segnale. Se sarà necessario emettere più segnali, si dovrà ripetere l’operazione. Molto semplice.
I segnali di fumo sono stati impiegati, come è noto, nelle comunicazioni tra gli indiani d’America, e tra gli Yamana della Terra del Fuoco. Nell’antichità se ne sono serviti anche i cinesi che stazionavano presso le torri della Grande Muraglia (in poche ore potevano trasmettere messaggi importanti anche a 750 km di distanza), i greci (che addirittura, grazie a Polibio, avevano creato un sistema di conversione alfabetica greco-segnali di fumo) e perfino i tedeschi, durante la Prima Guerra Mondiale. Tecniche che non muoiono mai.
Non esiste un codice condiviso e ufficiali. Spesso si trattava di informazioni segrete, che non dovevano essere comprese da estranei o nemici. Per questo si concordava, di volta in volta, il codice da adottare. In ogni caso, ci sono alcuni messaggi che sono abbastanza comuni. Per i boy scout americani, ad esempio, emettere un solo sbuffo serve a segnalare la presenza. Due sbuffi indicano che va tutto bene. Tre sbuffi, invece, che c’è un problema.