Non si può parlare di divorzio secondo la legge della Chiesa, ma certo la nuova normativa introdotta dal papa in merito alle cause di nullità matrimoniali – il motu proprio “Mitis iudex Dominus Iesus”, il Signore Gesù giudice mite – ci assomiglia non poco. Di fatto il papa, raccogliendo le indicazioni emerse dal sinodo straordinario sulla famiglia dello scorso anno, e in vista della prossima assise dei vescovi sullo stesso tema in programma ad ottobre, ha varato una riforma profonda delle procedure di nullità che prova a collocare la Chiesa di Roma al passo con i tempi, con i cambiamenti sociali, del costume, della vita civile e anche delle legislazione nazionali.
Se l’attenzione dell’opinione pubblica si è soffermata in un primo momento sull’importante snellimento burocratico e giuridico introdotto da papa Francesco, è bene sottolineare che la novità forse più rilevante riguarda le motivazioni in base alle quali è possibile richiedere la dichiarazione di nullità. Fra queste infatti viene elencata «la mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà». Si prende atto insomma che il matrimonio possa essere stato vissuto in modo ipocrita, strumentale, non vero o semplicemente incosciente. Al contrario sarà d’ora in avanti sufficiente ammettere in piena coscienza la propria assenza di fede o superficialità nel momento in cui le nozze venivano celebrate, per ottenere il riconoscimento di nullità. Il “motu proprio” con il quale il papa vara la riforma, insiste naturalmente sul rigore cui sarà comunque sottoposto il procedimento, ma è ben evidente che questa novità è destinata a cambiare di molto le cose.
Sarà d’ora in avanti sufficiente ammettere in piena coscienza la propria assenza di fede o superficialità nel momento in cui le nozze venivano celebrate, per ottenere il riconoscimento di nullità
Se infatti rimangono immutate le tradizionali motivazioni per procedere alla nullità, come il consenso estorto con la violenza, la sterilità o l’impotenza nascoste al coniuge, «la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo», e via elencando, di certo ora i coniugi (o il coniuge) potranno dire che in realtà quel matrimonio non era stato contratto secondo i criteri della fede cristiana. Finisce dunque un’epoca di sotterfugi, di motivazioni incerte o ipocrite addotte per rompere una relazione, di documentazioni imbarazzanti relative alla propria o altrui intimità, delle indagini intrusive e assai poco evangeliche dei tribunali ecclesiastici o della Sacra Rota che potevano scrutare minuziosamente cartelle cliniche imbarazzanti (già denunciate in un celebre articolo di Pier Paolo Pasolini del 1975) di cause complesse capaci di generare spesso un giro d’affari rilevante, e anche su questo punto il papa chiede spese ridotte al minimo.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Ora è la coscienza del credente che conta, e a decidere in tali casi dovrà essere – questo un altro aspetto importante della riforma – il vescovo. E’ stato poi ridotta la procedura: prima servivano comunque due pronunciamenti a livello di tribunali ecclesiastici: alla prima sentenza ne seguiva obbligatoriamente una seconda di “conformità” emanata da un altro tribunale; in caso di appello si andava davanti alla Sacra rota romana (vaticana) e con il ricorso davanti al Tribunale della Segnatura apostolica. Infine si tenga conto che la nullità deve essere poi riconosciuta dallo Stato, il che apre una nuova procedura. Tempi lunghi, costi significativi per molti fedeli, una casistica troppo specifica per non dire estrema, costituivano ostacoli insormontabili per molti fedeli che ricorrevano per questo al divorzio civile.
Così il Papa dà una spinta ulteriore a quella Chiesa della misericordia e del perdono che è al centro del proprio progetto di riforma del cattolicesimo
Nel motu proprio si fa riferimento, fra l’altro, «all’enorme numero di fedeli che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale; la carità dunque e la misericordia esigono che la stessa Chiesa come madre si renda vicina ai figli che si considerano separati». E, come ha rilevato monsignor Pio Vito Pinto, decano della Sacra Rota romana e capo della commissione incaricata dal papa di studiare la riforma del matrimonio canonico: «la prima grande novità è l’invito del Pontefice» rivolto ai vescovi affinché «riassumano l’esercizio dei santi vescovi dei primi secoli della Chiesa», questi ultimi infatti «tenevano a manifestare personalmente la potestà sacramentale — ricevuta con l’imposizione delle mani nell’ordinazione episcopale — di padri, maestri, giudici».
In una tale prospettiva, ha spiegato ancora il capo della commissione, c’è bisogno di una “conversione” degli stessi vescovi, di «un cambiamento di mentalità che li convinca e sorregga a seguire l’invito di Cristo, presente nel loro fratello, il vescovo di Roma, di passare dal ristretto numero di poche migliaia di nullità a quello smisurato di infelici che potrebbero avere la dichiarazione di nullità — per l’evidente assenza di fede come ponte verso la conoscenza e quindi la libera volontà di dare il consenso sacramentale — ma sono lasciati fuori dal vigente sistema».
Insomma la decisione di Bergoglio, la cui elaborazione teologica era in parte stata compiuta da papa Benedetto XVI, vuole rispondere alla domanda di un numero grande di fedeli che chiedono “giustizia”, cercano cioè una via d’uscita di fronte a un fallimento, a una caduta, per ricominciare una nuova vita dentro la loro Chiesa. Monsignor Pinto ha parlato in proposito di riforma che guarda ai “poveri” secondo lo stile di Francesco, e in tal senso, ha sotolineato, i «divorziati sono una categoria di poveri». Così il papa dà una spinta ulteriore a quella Chiesa della misericordia e del perdono che è al centro del proprio progetto di riforma del cattolicesimo seguendo le indicazioni date dal Concilio Vaticano II. E così dopo dato mandato a tutti i sacerdoti del mondo la facoltà di perdonare il peccato di aborto nel corso del prossimo anno giubilare, arriva anche la decisione di rendere più accessibili le procedure di nullità.
Certo la Chiesa non può parlare di semplice annullamento, si tratta piuttosto di riconoscere che il sacramento celebrato non era valido, come se quelle nozze non ci fossero mai state. Questo sul piano formale e teologico-giuridico, perché ovviamente anni di convivenza non possono essere cancellati da un tribunale. Non a caso la Cassazione italiana nel 2014 ha deciso che le sentenze di nullità ecclesiastica non possono essere riconosciute civilmente se il legame fra i due coniugi è durato più di tre anni; il rischio infatti era che, aggirando il divorzio civile e dichiarando nullo il matrimonio, si potesse evitare di pagare gli alimenti alla parte più debole della coppia.
Infine la decisione del papa interagisce con il prossimo sinodo sulla famiglia che dovrebbe affrontare un altro capitolo della stessa vicenda: ovvero la possibilità di concedere o meno il sacramento della comunione anche ai divorziati risposati. Qui l’ala riformatrice degli episcopati che sostiene il papa immagina un percorso penitenziale al termine del quale ammettere all’eucaristia la persona risposata (anche in questo caso, insomma sono la retta coscienza del fedele e il giudizio del sacerdote a risolvere la situazione). Qualcuno, come il cardinale Ennio Antonelli, ha proposto – piuttosto inverosimilmente – che qualora le seconde nozze siano vissute in castità, ci può essere comunione, altrimenti no. Ma in effetti questo contraddirebbe in modo evidente un fondamento del magistero: il matrimonio fra uomo e donne è aperto alla vita, cioè alla procreazione.