LibreriaRampini l’apocalittico: «Il mondo non scamperà al grande caos»

A Pordenonelegge, in occasione dell'uscita del suo nuovo libro, il giornalista di Repubblica parla dell'età in cui viviamo, segnata dal disordine

Viviamo nel regno del Caos, declinato in tema economico – con una ripresa che stenta a partire (ambientale) con calamità naturali sempre più gravi – e geopolitico, per via dei migranti che inseguendo la speranza d’un futuro migliore, portano un elemento destabilizzante nella società europea. Il modello economico cinese non promette un’alternativa migliore e i progressi della tecnica mettono in crisi il mercato del lavoro, frammentandolo e conducendoci verso “l’economia della condivisione delle briciole”. In questo scenario mondiale è impossibile restaurare lo status quo ma è auspicabile trovare elementi positivi nel caos. Nel suo nuovo libro “L’Età del Caos” (Mondadori, pp. 336, €18,50) – presentato in anteprima a PordenoneLegge 2015 – il giornalista e saggista Federico Rampini attraversa la crisi cercando di fornire una bussola con cui orientarci nel prossimo futuro con la voglia di mettersi in gioco affrontando nuove sfide.

Scrive che «Il caos è la nuova normalità». Cosa intende?
È proprio il senso di questo libro che è una ricognizione di tutti i focolai del caos, da quello geopolitico (con il declino della potenza americana) al caos politico, con il declino delle democrazie (e il caos economico) la stagnazione secolare e il fatto che le nuove potenze emergenti, in primis la Cina, hanno molte recriminazioni verso l’Occidente e nessun progetto per guidare il mondo nel futuro. Senza tralasciare il tema del caos ambientale e quello della deriva tecnologica. È illusorio credere che sia possibile inseguire la ricostruzione di un ordine ormai perduto.

Siamo inermi dinanzi al caos?
Nient’affatto. Per questo credo sia molto più importante allenare la mente a capire come si possa vivere nel caos perché sarà la condizione fondante della nostra realtà per lungo tempo.

Sarebbe sbagliato leggere gli imponenti flussi migratori di questi mesi come un viaggio dal disordine verso l’ordine?
L’immagine delle migrazioni è certamente suggestiva, ideata dal giornalista Thomas Friedman del New York Times. Senza dubbio i profughi siriani sfuggono da un disordine totale e mortale ma così facendo trasferiscono un pezzo del disordine mediorientale persino nella apparentemente perfetta società tedesca. Pensate al comportamento di Angela Merkel: prima abbraccia gli immigrati per poi rendersi conto che questo afflusso di persone è ingestibile.

La società americana affronta il dramma della siccità quotidianamente e lei sottolinea che la Cina abbia l’8% di risorse idriche e il 22% di popolazione mondiale. Cosa accadrà?
Anche noi italiani, nel nostro piccolo, abbiamo visto cosa significa essere esposti ad eventi climatici estremi. La “nuova normalità” di cui parlo nel libro consta di eventi polarizzati come estati sempre più calde e calamità metereologiche violentissime. L’ambiente ha ricadute su tutto e proprio dalle regioni desertificate della Cina, un giorno, temo, potrà giungere la miccia per la terza guerra mondiale con la lotta contro l’India per controllare le riserve d’acqua dell’Himalaya, da cui nascono tutti i grandi fiumi asiatici.

Il caos ambientale richiama il tema della sesta grande estinzione…
La quinta estinzione fu quella dei dinosauri, con la Terra che venne resa inospitale dalla caduta di un meteorite. Per la sesta grande estinzione saremo noi stessi l’asteroide.

Le teorie di Jeremy Rifkin sono le basi della sharing economyma nel libro lei riporta anche quelle di Robert Reich…
Sono teorie agli antipodi. Rifkin fu profetico quando disse che la proprietà di un bene non è essenziale, ci basta usarlo quando ne abbiamo la necessità così da poterlo condividere con altri utenti connessi e ramificati. I fenomeni mondiali di Uber e Airbnb sono la logica conseguenza di questi concetti. Viceversa Reich, grande economista della sinistra americana, denuncia il fatto che oggi il lavoro umano venga squalificato e precarizzato mentre grandi ricchezze finiscono nelle mani di chi controlla queste piattaforme tecnologiche. Secondo Reich questa è “l’economia della condivisione delle briciole”.

Anche il giornalismo fa parte di quei mestieri a rischio scomparsa nell’era delle automatizzazioni di internet? C’è una questione etica sul piatto?
Quasi nessuna professione può dirsi al sicuro nell’era di internet. L’esempio del software dell’autodiagnosi ha messo in crisi la figura del medico generico in America. All’inizio di quest’anno il mondo intero ha assistito con orrore alle video decapitazioni che lo stato islamico ha messo in atto contro alcuni giornalisti occidentali: erano tutti freelance perché ormai gli inviati di guerra costano troppo. Il citizen journalism non è la soluzione e senza giornalisti indipendenti da quelle aree, in futuro, ci arriveranno notizie soltanto tramite l’Is o la Cia, entrambi molto capaci a fare propaganda.

Chiudiamo con una considerazione su Twitter. Accolto come una benedizione oggi rischia il tracollo per via della privacy e degli attacchi degli haters. Cosa accadrà?
Mentre parliamo Twitter è in crisi per stessa ammissione dei suoi dirigenti. Twitter non riesce più ad espandersi e una buona fetta dei suoi utenti lo usa in modo sporadico. C’è disillusione rispetto ad una comunicazione così sincopata e superficiale ma ciò che è più preoccupante è che su Twitter sia presente un serbatoio di odio, evidente nell’uso dei tweet diffamanti e minacciosi e nonostante le proteste degli utenti, gli haters agiscono indisturbati.

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