“The martian” non è un film di fantascienza

L’ultimo film di Ridley Scott funziona molto bene, ma pur essendo ambientato su Marte, somiglia più a un Robinson Crusoe che a un Interstellar

The martian, l’ultimo film del regista Ridley Scott, nei cinema italiani dal 1° ottobre, racconta la storia di un astronauta, interpretato da Matt Damon, che, dopo essere stato creduto morto e abbandonato su Marte durante un’operazione abortita sul pianeta, deve cavarsela da solo e sopravvivere, come un Robinson Crusoe dello spazio profondo, in attesa che qualcuno lo venga a prendere.

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Il film è in buona parte riuscito, è intrigante, è curatissimo nei dettagli, ha ottimi effetti speciali, un’ottima fotografia e attacca alla poltrona sufficientemente da non far pesare per niente i 141 minuti di durata. Ma quel che rende speciale questo film non fa parte di questo elenco. È il fatto che, anche se può sembrare un paradosso date le premesse, The martian, in fondo, non è un film di fantascienza.

Probabilmente — ed è normale che sia così — non ragioniamo molto spesso su quali siano le caratteristiche necessarie a un film per finire sotto l’etichetta “film di fantascienza”. Interpellati sulla questione risponderemmo quasi tutti citando come necessari e sufficienti elementi come lo Spazio, il Futuro, gli Alieni, la Tecnologia. E invece no, è più sottile di così. Perché in realtà soltanto uno di questi elementi è veramente necessario e sufficiente a determinare l’inclusione di un film al genere. Gli altri, anche se può sembrare strano, sono “superflui”.

Può sembrare un paradosso date le premesse, The martian, in fondo, non è un film di fantascienza

La prova del nove è relativamente facile: basta pensare a un paio di controlli incrociati. Il primo è constatare che esistono molti film di fantascienza che non sono ambientati nello Spazio. Qualche esempio? Qualsiasi film che parli di viaggi nel tempo. Non sarà quindi lo spazio l’elemento chiave della fantascienza. Nello stesso modo, non basta il fattore temporale a etichettare la fantascienza. Esistono, infatti, i film di fantascienza che non sono ambientati nel Futuro, quindi non sarà l’ambientazione temporale quella che con certezza ci aiuterà a classificare un film come fantascientifico. E gli Alieni? Neanche quelli sono decisivi.

Degli elementi citati all’inizio resta fuori soltanto la tecnologia. Ed è proprio quello a ben vedere l’elemento chiave. Detta meglio, più che la tecnologia, la “gnoseologia”, intesa come livello di espansione della Conoscenza in una data epoca. La fantascienza, infatti, è per definizione una modalità di reinvenzione della realtà che applica all’interno del proprio mondo narrativo uno scarto tecnologico-gnoseologico rispetto alla realtà del lettore. Uno scarto che — e questo è un fattore decisivo — sia abbastanza vistoso da creare una distanza tangibile tra l’universo narrativo e quello in cui abitiamo.

La fantascienza è per definizione una modalità di reinvenzione della realtà che applica all’interno del proprio mondo narrativo uno scarto tecnologico-gnoseologico rispetto alla realtà del lettore

Ecco, è proprio questo scarto tecnologico e gnoseologico che The martian, pur richiedendo chiaramente una buona dose di sospensione dell’incredulità — come tutti i film d’azione à la Mission Impossibile o à la Die Hard, d’altronde — non ha. Nulla di quel che succede durante il film a Mark Watney — questo è il nome dell’astronauta interpretato da Matt Damon — ci costringe ad ampliare percettibilmente il raggio di possibilità che la scienza ci offre in questo momento, nel settembre 2015.

Ogni soluzione a ogni singolo problema che il destino — ovvero la Natura, lo Spazio e Marte — gli mette davanti è risolto grazie alla scienza, grazie all’applicazione del pensiero razionale, senza bisogno, per l’appunto, di fanta scienza.

A completare la normalizzazione scientifica del film è l’annuncio della NASA, che lunedì 28 settembre, con un tempismo che formidabile è dire poco — e che ha già generato qualche dubbio sulla sua casualità —, ha ufficializzato la scoperta dell’acqua su Marte, facilitando ancora di più, quanto meno nell’immaginario collettivo, la situazione di partenza del film, quella missione umana su Marte, di cui proprio in questi giorni si comincia a discutere come possibilità, ma che in ogni caso non è affatto nuova per le nostre abitudini narrative — Atto di forza e Mission to Mars sono i primi e più facili esempi che vengono in mente.

Questo non può essere un film fantascientifico perché è un film totalmente scientifico, privato completamente del prefisso fanta.

E qui arriviamo al punto più importante: questo non può essere un film fantascientifico perché è un film totalmente scientifico, privato completamente del prefisso fanta. Lo è da tutti i punti di vista: lo è nelle modalità con cui la trama avanza, quell’incessante scomporre razionalmente le difficoltà in problemi da affrontare, e da risolvere, uno alla volta, che è intrinseco della cultura razionalista e del metodo scientifico; lo è nel messaggio, estremamente positivista, progressista e ottimista; lo è nel metodo con cui è stato scritto — sia come film da Ridley Scott che come libro da Andy Weir — ovvero affiancando al lavoro di scrittura un controllo quasi ossessivo della scientificità e della credibilità delle azioni.

Insomma, The martian più che un bel film di fantascienza è un bel film western sulla conquista della Frontiera. Soltanto che al posto del Far West c’è il Far Out, al posto della banca di El Paso da scassinare c’è il Pathfinder da spadinare, al posto degli indiani ci sono le leggi della fisica e, per risolvere qualsiasi tipo di problema, al posto dei fucili Winchester e delle cartucciere legate sulla schiena c’è il pensiero razionalista scientifico. Nel bene e nel male. Ovvero con il suo metodo, con la sua cieca ma tremendamente umana pervicacia e con la sua immancabile pretesa all’infallibilità.