«L’isteria di un Paese caduto in un tranello mediatico internazionale potrebbe fare molto male all’industria italiana». Non ci gira troppo attorno Paolo Barilla, vicepresidente della nota azienda italiana e responsabile dell’associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane. Al centro del caso c’è, ormai da tempo, uno dei prodotti più utilizzati dall’industria alimentare e cosmetica del Belpaese. L’olio di palma. Un alimento finito al centro di una ingiustificata demonizzazione, almeno stando a quanto lamentano i suoi difensori. Ne sono convinti alcuni parlamentari, che ieri hanno depositato due risoluzioni per tutelare l’utilizzo dell’olio vegetale più consumato al mondo.
I documenti vengono presentati a Montecitorio durante un incontro promosso dalle testate giornalistiche Strade e Formiche. Ci sono i deputati Ilaria Capua, Pierpaolo Vargiu e Dorina Bianchi, la ricercatrice dell’Istituto Mario Negri Elena Fattore, il presidente di Aidepi Paolo Barilla. Tutti parlano di un ingrediente sano, sostenibile, fondamentale per il nostro comparto alimentare. E allora perché tanti dubbi? Lo scorso autunno una raccolta firme che ha raggiunto grande successo chiedeva al ministero della Salute di escludere dalle pubbliche forniture alimenti a base di olio di palma. Richiesta confermata nello stesso periodo da due risoluzioni presentate alla Camera dei deputati da Cinque Stelle e Partito democratico. Per i partecipanti all’incontro “La verità, vi prego, sull’olio di palma” si tratta dell’ennesimo attacco ingiustificato. «In un’Italia che da qualche anno si sta ammalando di complottismo – spiega il direttore di Strade Piercamillo Falasca – adesso è necessaria una battaglia di razionalità».
«In un’Italia che da qualche anno si sta ammalando di complottismo – spiega il direttore di Strade Piercamillo Falasca – adesso è necessaria una battaglia di razionalità».
Ma di cosa si tratta? La palma da olio è una pianta coltivata in gran parte delle regioni equatoriali della terra. Eppure la Malesia e l’Indonesia detengono il quasi monopolio, producendo l’89 per cento dell’olio estratto dalla spremitura dei suoi frutti. È l’olio vegetale più consumato al mondo. Vale quasi il 40 per cento dell’intera produzione mondiale. Utilizzato nei settori chimico, cosmetico e farmaceutico, l’olio di palma ha soprattutto un ruolo importante nell’industria alimentare (per quanto solo l’11 per cento del prodotto importato in Italia finisca nell’industria dolciaria). Le ragioni dela sua diffusione sono diverse. C’è una chiara convenienza economica, ovviamente. Ma non solo. L’alimento si presenta naturalmente allo stato solido e semisolido, come il burro. «A differenza degli altri oli vegetali – si legge nel rapporto presentato a Montecitorio – non ha quindi bisogno di essere portato allo stato solido (margarina) mediante idrogenazione». Ma è anche un prodotto inodore e dal sapore neutro, ottimo per la produzione di dolci. Senza dimenticare l’elevato livello di conservabilità, che permette di aumentare la durata del prodotto finito. Più di ogni altra cosa, spiegano i diretti interessati, è un ingrediente senza alternative. «Il burro è di difficile conservazione e tende a irrancidire e ossidarsi – spiega l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane – Le margarine di fatto non sono un’alternativa, visto che contengono olio di palma; l’olio d’oliva non ha la consistenza adatta e tende a condizionare il sapore».
In poche ore la polemica si allarga a macchia d’olio (di palma). Il deputato a Cinque Stelle Mirko Busto, esponente della commissione Ambiente, attacca i partecipanti all’incontro. «È vergognoso che alcuni deputati e senatori siano diventati complici dell’Aidepi, l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane, nel vano tentativo di convincere l’opinione pubblica sulle fantomatiche qualità dell’olio di palma. È la riprova che questo Parlamento è pieno di burattini che davanti al potere economico delle grandi aziende dimenticano di utilizzare il buon senso per mettere al primo posto i loro interessi personali». Poco dopo replicano anche i Cinque Stelle della commissione Agricoltura. «Sull’olio di palma non c’è nessuna “isteria nazionale” ma solo una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori che ora, grazie all’indicazione in etichetta, possono sapere se questo grasso vegetale è presente o meno nei prodotti acquistati e quindi essere liberi di scegliere».
I Cinque Stelle attaccano: «È vergognoso che alcuni deputati e senatori siano diventati complici. È la riprova che questo Parlamento è pieno di burattini che davanti al potere economico delle grandi aziende dimenticano di utilizzare il buon senso per mettere al primo posto i loro interessi personali»
Le critiche all’olio di palma riguardano principalmente due aspetti: i rischi per la salute dei consumatori e quelli per l’ambiente. Ma il consumo di questo ingrediente è davvero dannoso per l’uomo? Il position paper presentato dal magazine Strade sostiene il contrario. «L’olio di palma è un grasso saturo, e in quanto tale andrebbe trattato alla stregua degli altri grassi saturi, come il burro. Non c’è dubbio che non debbano costituire una parte preponderante della nostra alimentazione, e che anzi vadano consumati con moderazione nell’ambito di una dieta bilanciata, ma l’olio di palma non presenta, alla luce di una sistematica revisione della letteratura scientifica disponibile sull’argomento, un profilo di rischio maggiore rispetto agli altri grassi saturi». Non solo. Stando ai dati forniti da Aidepi, l’olio di palma avrebbe una quantità di acidi grassi saturi (pari al 47 per cento) persino inferiore rispetto al burro.
Diverso il tema ambientale. Data la forte richiesta, oggi la coltivazione intensa delle palme da olio sta mettendo seriamente a rischio la foresta pluviale del Sud Est Asiatico. Una deforestazione che interessa in particolare Malesia e Indonesia, con evidenti ripercussioni sulla salute del pianeta. Eppure i sostenitori dell’olio di palma difendono la produzione. A sentire loro l’abbattimento delle foreste è un processo in parte inevitabile, che riguarda senza distinzione i paesi in via di sviluppo e in forte crescita economica. «In primo luogo le foreste vengono abbattute per il legname, e solo in un secondo momento le aree in questione vengono messe a coltura. Le colture che rimpiazzano le foresta non si limitano certo alla sola palma. In Brasile, ad esempio, le foreste vengono per lo più sostituite da piantagioni di soia». Da questo punto di vista non è secondario notare come la palma da olio sia la coltura più produttiva, a parità di terreno, rispetto alla colza, al girasole e alla soia.
L’olio di palma è l’olio vegetale più consumato al mondo. Vale quasi il 40 per cento dell’intera produzione mondiale. In Italia l’11 per cento del prodotto importato viene usato dalle aziende dolciarie
Insomma, a sentire le aziende che importano olio di palma, non ci sarebbe nessun problema etico. Proprio per superare la questione, nel 2004 è stato creato il RSPO, Roundtable of Sustainable Palm Oil. «Un sistema di certificazione cui partecipano tutti gli attori della filiera e Ong come il WWF», con l’obiettivo di promuovere la diffusione dell’olio di palma assicurando allo stesso tempo standard etici e ambientali certificati. Oggi, spiega Barilla, «la gran parte delle aziende aderenti ad Aidepi che utilizzano olio di palma si sono impegnate ad acquistare il 100 per cento di olio di palma sostenibile certificato RSPO e hanno già raggiunto l’obiettivo». Basterà a convincere i consumatori italiani?