Miliardi di euro, paradisi fiscali, qualche buon programmatore e un popolo di giocatori. Il cocktail è quello che fa prosperare i casinò online e che spesso li porta fuori dal controllo delle autorità e dei monopoli. Una condizione ideale per le organizzazioni criminali che in questi anni stanno sfruttando il canale per fare e riciclare denaro. D’altronde non ha usato mezzi termini lo scorso luglio il capo della Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria Gaetano Scilla quando ha dichiarato che il volume del gioco online gestito dalla ‘ndrangheta «rappresenta il 10% del pil calabrese». Dichiarazioni che arrivavano nella giornata dei 41 arresti dell’operazione “Gambling” coordinata dalla procura della stessa Reggio Calabria.
I conti li ha fatti direttamente il giudice per le indagini preliminari Caterina Catalano: «la Calabria, a fronte di un PIL di 29.426 milioni di euro, registra volumi di gioco pari a 2.290 milioni di euro. Il friuli Venezia Giulia, che esprime un Pil maggiore dell’11% (32.778 milioni di euro), vede valori di gioco inferiori di ben il 35% (1.508 milioni di euro)».
Il volume del gioco online gestito dalla ‘ndrangheta «rappresenta il 10% del pil calabrese»
Le indagini hanno portato oltre ai 41 fermi il sequestro di 11 società estere, 45 imprese operanti in Italia, 1.500 punti commerciali, 82 siti nazionali e internazionali e immobili per un valore di circa 2 miliardi di euro. Era l’impero della società Betuniq, che secondo l’accusa faceva transitare sui suoi conti i soldi sporchi della ‘ndrangheta tra Malta, Panama, Romania e Antille Olandesi. Le altre società di fatto erano tutte scatole cinesi usate appunto per riciclare il denaro della cosca Tegano.
Il dominus dell’organizzazione è Mario Gennaro, alias “Mariolino”, che per evitare i controlli sull’attività ha schermato la società dislocando in stati esteri i server per la raccolta delle giocate e la gestione delle stesse, aggirando la normativa che regola il settore del gioco d’azzardo. Si è così riusciti di fatto a creare un sistema di gioco definito “parallelo”, cioè al di fuori del sistema legale che tramite server situati all’estero e con dominio “.com”, il quale consente l’accesso alle piattaforme di gioco senza che le autorità possano esercitare i controlli e i monitoraggi previsti dalla legge. Dell’illiceità dell’operazione i protagonisti della vicenda ne sono ben coscienti. «Il “punto com” è una cosa illecita!», si legge in uno dei dialoghi intercettati dagli investigatori tra due indagati.
Quello che l’operazione “Gambling” svela di nuovo è sostanzialmente il sistema con cui si alimenta questo binario parallelo a quello ufficiale e legale. Dalle carte emerge come i centri operativi per la raccolta delle giocate non fungessero da semplici intermediari ma che di fatto venivano impiegati come vere e proprie agenzie di scommesse e giochi a distanza, munite di concessione governativa (che invece mancava), offrendo al pubblico e consentendo alla clientela, specificano gli inquirenti, “di giocare sui siti con suffisso “.com” gestiti da società con sede all’estero, inibiti dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Non finisce qui perché sui canali viaggiavano soldi freschi con l’accettazione di denaro contante e il pagamento di vincite cash tanto che presso le sale giochi e scommesse si raccoglievano anche assegni portati su e già da corrieri fidati. Un sistema di riscossione autenticamente “porta a porta”: somme venivano inviate presso la sede operativa di Betuniq (prima a Padova, poi a Malta) in parte in contanti tramite gli stessi corrieri, e in parte mediante l’accredito su conti correnti bancari e postali.
«È evidente – scrivono i pm – come le sopra riscontrate prassi operative, abusive e distorte, avessero trasformato i punti di commercializzazione (i Centri di Trasmissione Dati) in vere agenzie di scommesse, dove venivano sistematicamente praticati la raccolta a terra delle giocate e il pagamento in contanti delle vincite, in spregio al divieto di qualunque forma di intermediazione fra concessionario e scommettitore».
Recentemente la stessa rete parallela delle scommesse, che di certo non finisce con le società scoperte nell’ambito dell’operazione “Gambling”, è finita all’attenzione anche e soprattutto del mondo dell’informatico. Non è un caso se l’ultimo rapporto dell’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica dedica al tema un intero paragrafo.
Le operazioni della Guardia di Finanza, si legge nel report, hanno permesso di individuare “vaste reti telematiche di scommesse su eventi sportivi di qualsiasi genere, parallele a quella legalmente autorizzata, completamente efficienti e in grado di pagare ingenti somme di denaro anche oltre la soglia prevista antiriciclaggio, senza lasciare apparentemente traccia”. Un’indicazione precisa dei fatti avvenuti proprio nell’inchiesta “Gambling”, ma il sistema è dannoso anche per le tasche dei giocatori: “i gestori di tali sistemi, al fine di aumentare ulteriormente gli illeciti guadagni – all’esito dei risultati, attraverso l’alterazione di giocate precedentemente effettuate – simulano l’esistenza di più vincitori rispetto a quelli reali riducendo in modo fittizio la consistenza del montepremi visibile sulla rete, in tal modo truffando gli abusivi giocatori risultati effettivamente vincitori”. Insomma, una truffa vera e propria.
“È chiaro che, in assenza di una normativa ad hoc, il fenomeno del riciclaggio attraverso l’utilizzo delle critpovalute sta rapidamente proliferando attraverso l’utilizzo di casinò on line o altre forme di offuscamento del denaro proveniente da attività illecita. Il furto di bitcoin e il reato di riciclaggio rappresentano indubbiamente due profili patologici connessi alla crescita esponenziale dei bitcoin e di tutte le altre critpovalute”
Anche l’utilizzo di criptovaluta, meglio nota come Bitcoin, fa salire il rischio di riciclaggio nei giochi. Il settore è già tra i più rischio, e il rischio aumenta con l’utilizzo dei bitcoin. “Lo scambio di bitcoin – si legge nel rapporto Clusit 2015 – avviene molto spesso attraverso l’utilizzo di Tor che consente di proteggere l’identità degli utenti”. Rischio di riciclaggio acuito da un vuoto normativo importante: “è chiaro che, in assenza di una normativa ad hoc, il fenomeno del riciclaggio attraverso l’utilizzo delle critpovalute sta rapidamente proliferando attraverso l’utilizzo di casinò on line o altre forme di offuscamento del denaro proveniente da attività illecita.Il furto di bitcoin e il reato di riciclaggio rappresentano indubbiamente due profili patologici connessi alla crescita esponenziale dei bitcoin e di tutte le altre critpovalute”. La speranza, chiosa il report “è che sia arrivato il momento di pensare seriamente ad una regolamentazione giuridica che sia in grado di non frenare la crescita del fenomeno bitocoin, ma che, allo stesso tempo, ne limiti il potenziale d’utilizzo illecito”.