Cinque cose che Francis Ford Coppola può insegnare al mondo

All’incontro Meet the Media Guru il regista americano ha parlato di molte cose. Delle sue origini e della sua famiglia. E, nel discorso, ha snocciolato perle di saggezza

Dopo aver sbancato con il Padrino, creato capolavori come Apocalypse Now e sfornato altri film, tutti diversi per forma e genere, Francis Ford Coppola può, con estrema tranquillità, posare a guru. Anche perché l’incontro al teatro Dal Verme di Milano, per il giro di conferenze Meet the Media Guru, suggerisce proprio quello. Il regista parla della sua regione d’origine, la Basilicata (sponsor della serata) e si dilunga sui racconti della famiglia d’origine, tra nonni e dei bisnonni con gli stessi nomi, cioè Carmine e Agostino.

Si accenna al brigantaggio dell’avo Agostino, all’amore per la musica nel nonno (anche lui Agostino), imparato seguendo una compagnia di opera a Forlì, e la maestria nel flauto del padre, Carmine. Parla di Italia, di matrimoni tra consanguinei (il trisnonno Carmine, un altro, che sposò la cugina, rimasta mutilata dopo un’operazione), dell’ospitalità ricevuta durante la sua prima visita (“dormì nel letto di una coppia sposata, insieme al marito”). E poi, non perde occasioni a dire la sua su più o meno tutto. Insegnando molte cose.

Sulla verità
«L’Italia, in realtà, ha un difetto. È dovuto al fatto che, nella sua storia, è stata invasa da tutti i popoli possibili: spagnoli, francesi, arabi, chiunque. Gli italiani, allora hanno sviluppato questa caratteristica: non dicono mai la verità. È sbagliato». Se si dicesse di più la verità, «si risolverebbero all’istante molti problemi». Gli italiani mentono, «lo hanno imparato per difendersi dagli invasori», ma ora è tempo di cambiare. «Di fronte a domande imbarazzanti, se non si vuole rispondere, basta dire “questa è una domanda inappropriata”, e ci si libera del problema».

Sulla musica
«La musica è una cosa meravigliosa. Tutte le cose meravigliose hanno un problema: mangiare, se è tanto, fa ingrassare. Bere, se è troppo, ti fa star male. Le donne, se esageri, corri il rischio di essere abbandonato da tua moglie. Con la musica questo non accade: non è mai troppa, non fa mai male».

Sull’arte
«Non bisogna confondere l’arte con l’industria». Nel caso del cinema, «entrambe fanno film», ma sono film diversi. Lo stesso vale «per lo storytelling: è industria. Si fanno cose sapendo di andare incontro al gusto del pubblico, si scelgono apposta per andare incontro al pubblico. L’arte è diversa: significa anche correre dei rischi. Fare arte senza rischi è come fare l’amore e dopo non pensare che potresti avere un figlio».

Sui film
Fare un film «implica sempre due aspetti: da un lato la scrittura, dall’altro la recitazione». Il rapporto con gli attori è importante, «e io cerco sempre di incoraggiarli, come un coach. Li ascolto, faccio loro i complimenti. Bisogna capire gli attori e saperli apprezzare», perché «se uno suona un violoncello, tra lui e il pubblico c’è di mezzo il violoncello che lo ripara. L’attore questo non ce l’ha: è da solo, ed è solo lui di fronte a tutti. E questo un regista lo deve capire».

Sul talento
«Il talento vero sa farsi distinguere da solo. Per capirsi, è come andare a una festa: si conoscono tante persone, belle, meno belle, interessanti, noiose. Poi, si torna a casa e si va a dormire. E solo alcune restano in testa. Solo alcune conversazioni, alcuni spunti, alcuni personaggi. Il talento funziona allo stesso modo. È una selezione naturale, si fa riconoscere da solo e rimane impresso».

Sulla moda
​Un innovatore: «È vero, ho un calzino rosso e uno giallo. C’è una storia dietro, e riguarda me e i miei figli, ed è piuttosto lunga. Allora, per chi mi chiede “perché ho i calzini spaiati”, c’è una spiegazione molto più veloce: “perché no?”».

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